Skip to main content

007 inglesi sul cloud Usa. Un dilemma inevitabile secondo il prof. Teti

Di Antonio Teti

Gli “appaltatori privati” sono diventati, in particolare nel corso degli ultimi due decenni, una componente essenziale del mondo dello spionaggio. L’analisi del professor Antonio Teti, responsabile del settore Sistemi informativi e Innovazione tecnologica dell’Università G. D’Annunzio di Chieti Pescara, esperto di Intelligence e Cyber Intelligence

Sarà la statunitense Amazon Web Services (AWS), d’ora in poi, a gestire l’enorme mole di dati riservati di GCHQ, MI5 e MI6, ovvero le principali agenzie di intelligence di Sua Maestà. La notizia è del 27 ottobre scorso, ma le preoccupazioni che ha sollevato, e non solo nel Regno Unito, ha prodotto uno sconcerto che ha messo in discussione lo stesso ruolo della Priti Patel, attuale segretario di Stato per gli Affari interni del Regno Unito, per i rischi derivanti sul piano della sicurezza nazionale. Il contratto siglato con AWS prevede la memorizzazione di dati “riservati” e comunque definiti “sensibili” per la sicurezza nazionale, all’interno dei sistemi informativi del cloud di Amazon.

Conor McGinn, esponente del Partito laburista, ha inoltrato una formale richiesta di chiarimenti sulle motivazioni che hanno condotto alla stipula di un contratto dell’ammontare di un miliardo di sterline, per i prossimi dieci anni, per garantire servizi di hosting dati delle rispettive agenzie inglesi, incluso il ministero della Difesa a un’azienda statunitense e se era stato condotto un risk assessment prima della firma dell’accordo. McGinn ha altresì affermato: “Questi rapporti sono profondamente preoccupanti e sollevano seri interrogativi sulle più ampie garanzie di sicurezza in atto quando si tratta dei potenziali rischi che possono derivare dalla esternalizzazione di elementi critici dell’infrastruttura di sicurezza nazionale del Regno Unito a società che non hanno sede nel Regno Unito”. Anche se i server utilizzati per la memorizzazione dei dati, per quanto è dato sapere, dovrebbero risiedere nel Regno Unito e il sistema cloud sarebbe basato su piattaforme di intelligenza artificiale, permane la rischiosità derivante dall’affidamento di informazioni di particolare rilevanza ad un’azienda privata statunitense.

Va precisato che nel corso degli ultimi anni il governo britannico ha erogato centinaia di milioni di sterline a Amazon per la fruizione di servizi analoghi, soprattutto grazie all’accettazione del contratto proposto da Amazon e denominato One Government Value Agreement (OGVA). Il contratto prevede particolari agevolazioni agli enti pubblici, come l’applicazione della riduzione del 18% sui costi a quei clienti che aderiscono per un triennio al servizio Storage AWS ed altri servizi correlati. In funzione dell’adozione di questo particolare contratto, il governo di Londra, per i servizi offerti da Amazon, ha stanziato 120 milioni di sterline per il ministero degli Interni, 94 milioni di sterline per Her Majesty’s Revenue and Customs, il dipartimento che si occupa della riscossione delle imposte, 57 milioni di sterline per il dipartimento per il Lavoro e le pensioni e 24 milioni di sterline per il ministero della Giustizia.

Sul contratto cloud, al momento, i servizi segreti non hanno rilasciato dichiarazioni, pur tuttavia sembrerebbe che tale decisione non abbia contribuito a migliorare i già non facili rapporti tra Patel e le agenzie di intelligence britanniche. Secondo una notizia riportata dal Sunday Times a febbraio del 2020, alcuni anonimi intelligence officer avrebbero affermato che l’MI5 avrebbe ritenuto la Patel “estremamente difficile da trattare” e che “non afferra le sottigliezze dell’intelligence”, comportamenti che avrebbero condotto a una “riduzione” delle informazioni tramesse al segretario di Stato. Alcuni sostenitori della Patel asserirono all’epoca che l’MI5 aveva alimentato contro di lei un clima di sfiducia motivato da ipotetici comportamenti di “sfida” della stessa verso l’Agenzia.

La risposta dell’MI5 a tale critica non si fece attendere e dopo qualche giorno una fonte non meglio precisata dichiarò sul quotidiano che “I rapporti che suggeriscono che il segretario di Stato e l’MI5 non hanno un forte rapporto di lavoro sono semplicemente falsi. Il segretario di Stato viene informato quotidianamente su questioni di intelligence esattamente allo stesso modo di qualsiasi precedente detentore del medesimo incarico. Nessuna informazione viene trattenuta. Qualsiasi rapporto che suggerisca il contrario è semplicemente sbagliato e non serve l’interesse pubblico”. Secondo alcune fonti, sembra addirittura che Patel non avesse partecipato per diversi mesi alle consuete riunioni settimanali con i funzionari dei servizi segreti su diverse questioni chiave.

A luglio 2020, la Patel avrebbe derubricato un importante rapporto (Russia Report) sull’interferenza della Russia negli affari interni del Regno Unito per mezzo di campagne di disinformazione, a una sorta di “out date”, ovvero un documento datato e obsoleto. Il professor Anthony Glees, noto esperto di intelligence, in un’intervista contestò l’affermazione della Patel affermando: “Penso che sia un’affermazione ridicola perché il rapporto riguarda il referendum scozzese del 2014 fino alle elezioni generali del 2019.

Non è obsoleto a meno che si sostenga che è successo qualcosa di molto drammatico nei primi sette mesi di quest’anno, e non credo che nessuno, nemmeno Priti Patel, proverebbe a negarlo”. Nel 2016, durante il governo guidato da Theresa May, Patel era stata costretta a dimettersi da segretario per lo Sviluppo internazionale in quanto era emerso che la stessa non aveva riferito al numero 10 di Downing Street di aver avuto una serie di incontri, non ufficiali consumati durante una vacanza, con ministri israeliani, uomini d’affari e lobbisti di alto livello. Forse è per questo che a Westminster sono rimasti a dir poco basiti quando Boris Johnson l’ha nominata per l’attuale incarico che ricopre.

Al di là delle possibili considerazioni sui rapporti tra potere politico e i servizi segreti, annoso e complesso problema su cui si dibatte da decenni a livello mondiale, ciò che assume una particolare rilevanza sulla questione è la decisione di delocalizzare dati classificati, essenzialmente riconducibili alla sicurezza nazionale, nei sistemi informatici di aziende private. Secondo Gus Hosein, direttore esecutivo di Privacy International, “si tratta dell’ennesimo preoccupante partenariato pubblico-privato, concordato in segreto. Se questo contratto andrà in porto, Amazon sarà posizionato come fornitore di riferimento di servizi cloud per le agenzie di intelligence del mondo. Amazon deve solamente rispondere per quali servizi di sicurezza dei paesi sarebbe disposta a lavorare”.

Va evidenziato che Amazon ha ottenuto il suo primo grande contratto di cloud service, nel 2013, dalla Central Intelligence Agency (CIA) per un importo pari a 600 milioni di dollari. Successivamente sono stati siglati dalla CIA altri importanti contratti con Microsoft, Google, Oracle e IBM. Nel 2020, il generale Keith Alexander, ex capo della National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti, è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Amazon.

Il contratto Amazon-MI5 assume la connotazione dell’ennesimo evento che conferma la crescente confusione dei confini tra gli apparati di intelligence istituzionali e quelli del settore privato. Come evidenziato nel mio ultimo libro “Spycraft Revolution. Spionaggio e servizi segreti nel terzo millennio”, edito da Rubbettino, gli “appaltatori privati” sono diventati, in particolare nel corso degli ultimi due decenni, una componente essenziale del mondo dello spionaggio. Si sta concretizzando, altresì, l’azzeramento della vecchia regola delle agenzie di intelligence del “dentro o fuori” degli intelligence officer, che prevedeva la loro uscita dal mondo dell’intelligence una volta conclusa l’attività lavorativa. Oggigiorno i funzionari della maggior parte dei servizi segreti del pianeta entrano regolarmente nel settore privato una volta usciti dalle rispettive strutture governative.

Vale l’esempio del decennio successivo agli attacchi dell’11 settembre 2001, periodo in cui molteplici società di intelligence private e consulenti di sicurezza hanno assunto decine di ex intelligence officer della CIA per ottenere l’accesso al fiorente mondo dei contratti del comparto intelligence. Anche la significativa riduzione dei budget delle agenzie di intelligence e la crescita di nuove richieste di prodotti di intelligence analysis nel mondo virtuale hanno contribuito alla destabilizzazione dei vecchi paradigmi e delle tradizionali metodologie di gestione delle attività di spionaggio e controspionaggio.

Il problema dell’incremento delle attività di intelligence di tipo on-demand, ovvero l’affidamento all’esterno della propria organizzazione di alcune specifiche attività, per i servizi segreti, rappresenta un dilemma di non poco conto. La soluzione va ricercata nel coinvolgimento degli “addetti ai lavori”, cercando di limitare al massimo i rischi derivanti dalle incompetenze di incauti avventori ed i possibili condizionamenti del potere politico.

(Nella foto il quartier generale del Service Intelligence Service, o MI6, a Londra)

×

Iscriviti alla newsletter