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La forza dell’Italia è il capitale umano, la legge di bilancio lo sa?

La forza dell’Italia è il capitale umano che, però, non è solo prodotto e arricchito dall’istruzione e dalla formazione. Richiede anche una popolazione in buona salute, quindi spese per la sanità. In tal senso, cosa dice il disegno di legge di bilancio? L’analisi di Giuseppe Pennisi

Il disegno di legge di bilancio è finalmente approdato in Parlamento, con il peso dei suoi 219 articoli, molti di più dei 185 della bozza circolata ad Ognissanti quale approvata dal Consiglio dei ministri del 28 ottobre. Il numero delle pagine e degli articoli sono stati una delusione per coloro – come il vostro chroniqueur – che speravano in un disegno di legge conforme alla normativa di tutti i maggiori Paesi industrializzati ed alla riforma effettuata in Italia circa trent’anni fa: un provvedimento di tre articoli per fissare i saldi della manovra senza norme ordinamentali e riforme e riformine (da legiferare, se del caso, in disegni di legge “collegati”). La mole ed il peso renderanno l’esame difficile: lo potrà fare il Senato sulla cui base il governo predisporrà forse il (solito) maxi-emendamento da approvare con “la fiducia”. Alla Camera resterà il compito una maxibollinatura.

Con 219 articoli è difficile cogliere il bandolo della matassa, ossia se il disegno di legge punta efficacemente sulle leve di cui il governo dispone per la crescita di medio e lungo periodo. Si auspica un nuovo “miracolo economico” il cui motore sarebbe il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Sappiamo, però, che il motore del Pnrr non può portarci lontano se non è accompagnato da forti politiche pubbliche.

A riguardo, vorrei ricordare ancora una volta che nel secolo scorso due economisti di rango, che mai si sono incontrati o hanno letto l’uno i lavori dell’altro, l’americano liberale neoclassico Charles Kindleberger (sui cui manuali hanno studiato generazioni) e l’ungherese (rigorosamente) marxista Ferenc Janossy, individuarono nel capitale umano italiano la determinante principale del “miracolo economico”, in particolare nella preparazione e formazione delle risorse umane italiane (mal utilizzata nei dieci anni circa di guerre, da quella d’Africa alla seconda guerra mondiale). Allora erano risorse umane giovani, intraprendenti, formate in gran misura per la manifattura e pronte a spostarsi dal Sud al Nord od anche all’estero alla ricerca di un futuro migliore, la molla per lo sviluppo. L’alta qualità dell’istruzione e della formazione in Italia fu oggetto alla fine degli anni cinquanta di un importante studio dell’Unesco e pochi anni dopo di uno dell’Ocse, nonché una determinante della decisione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro di localizzare a Torino il proprio centro di formazione professionale.

Il capitale umano, però, non è solo prodotto ed arricchito dall’istruzione e della formazione. Richiede anche una popolazione in buona salute, quindi spese per la sanità. Non è così ovvio perché negli anni sessanta e settanta del secolo scorso tutta la letteratura sul capitale umano riguardava istruzione e formazione. La stessa Banca mondiale ci mise quindici anni a capirlo.

La sanità è tanto più importante per preservare ed arricchire capitale umano in Paesi a demografia matura (ove non anziana) che solo in condizioni ottimali di salute può contribuire al meglio a crescita e sviluppo.

È utile ricordare che l’Italia per la salute spende tra pubblico e privato l’8,81% del Pil, esattamente come la media dei Paesi Ocse. Ma se si analizza il pro-capite a parità di potere di acquisto, siamo sui 3.428 dollari, contro i 3.992 della media. In testa a questa classifica ci sono gli Stati Uniti con 10.586 dollari (in gran misura privata-out of pockets), in fondo il Messico con 1.138. Inoltre, in Italia un punto e mezzo-due punti del Pil sono spesa sanitaria privata, una proporzione più forte che in altri Paesi. La pandemia ha messo a nudo le nostre carenze.

Cominciamo a raddrizzarle? Abbiamo già detto su questa testata che le risorse per la sanità nel Pnrr sono ampiamente inadeguate. È il disegno di legge di bilancio?

Ci sono indubbiamente misure essenziali, e anche di forte contenuto mediatico, come l’assunzione a tempo indeterminato di personale medico e paramedico, che, con enorme rischio e sacrificio personale, sono scesi in campo per salvare l’Italia nei momenti più bui della pandemia, ma secondo uno studio dell’Associazione di Promozione Sociale Leonida nei tre anni programmati nel disegno di legge di bilancio la spesa sanitaria pubblica diminuirebbe gradualmente in percentuale del Pil.

Come si conciliano queste cifre – si chiede lo studio di Leonida – con il programma EU4Health 2021-2027, che mette in gioco – per l’Unione europea – una cifra pari a 5.356 miliardi, di cui almeno 191,28 toccherebbero al nostro Paese, con un rimborso pari al 60% dei costi? Nonché con le parole ottimistiche del presidente del Consiglio che ha solennemente dichiarato che la spesa sanitaria crescerà nel triennio 2022/20224, quando invece la stessa scenderà dai 129.449 mld del 2021 ai 124.428 mld nel 2024?

Sono interrogativi a cui è bene dare una risposta, soprattutto se gli esperti di Leonida hanno lavorato su dati vecchi o non aggiornati.

Un finanziamento annuo per la sanità pubblica pari al 7% costante sul Pil consentirebbe al Paese di supportare a) la ricostruzione del Ssn secondo le linee del Pnrr, con particolare riferimento all’apprestamento ed all’attivazione concreta della nuova organizzazione sanitaria territoriale, riparando il vulnus causato al futuro del Ssn dal mancato ricorso al Mes (37 miliardi!); b) la messa a disposizione di organici del personale in grado di superare le carenze che al riguardo hanno reso sempre più difficile la capacità di adeguate risposte ai crescenti bisogni indotti da un quadro epidemiologico e demografico radicalmente modificatosi negli ultimi trent’anni (cronicità, pluripatologie, crescita della popolazione anziana.

Dato che nel disegno di legge di bilancio ci sono numerose norme ordinamentali, sarebbe anche il caso di risolvere il nodo del rapporto di lavoro del medici di famiglia con il Ssn (come ricordato spesso su questa testata) superando gli ostacoli di pochi particolarismi ed anche di rivedere l’accreditamento delle strutture sanitarie, come suggerito, ad esempio, da esperti del Consiglio d’Europa.


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