In uno Stato Criminogeno ci sono norme che portano particolarmente a delinquere? Una di questa pare essere la legislazione sul “reddito di cittadinanza” (e alcuni aggiungono l’interpretazione che ne ha data l’Inps facendo i controlli sostanziali dopo aver accettato domande sulla base di autodichiarazioni)
Nel 1997, Giulio Tremonti pubblicò presso l’editore Laterza un saggio che non trattava della sua disciplina accademica (diritto tributario) intitolato “Lo Stato Criminogeno”. Il messaggio era semplice ed eloquente: uno Stato con troppe norme (spesso contradditorie le une con le altre) spinge i cittadini a contravvenire, quindi a delinquere. Nel 2018, Pierluigi Ciocca, economista il cui orientamento politico è marcatamente differente da quello di Tremonti, ha pubblicato presso l’editore Donzelli un saggio dal titolo “Tornare alla crescita – Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla”, il messaggio era il medesimo: da un’analisi della storia economica del Paese, Cioccia concludeva che l’Italia è cresciuta quando le regole (soprattutto del diritto pubblico dell’economia) erano poche, semplici e trasparenti in modo che potessero essere comprese e seguite.
In uno Stato Criminogeno ci sono norme che portano particolarmente a delinquere? Una di questa pare essere la legislazione sul “reddito di cittadinanza” (ed alcuni aggiungono l’interpretazione che ne ha data l’Inps facendo i controlli sostanziali dopo aver accettato domande sulla base di autodichiarazioni). Da quello che si legge nelle cronache giudiziarie della stampa quotidiana (ormai da due anni) sembra che uno strumento concepito per alleviare la povertà e fare uscire dalle sue molteplici trappole tramite la formazione ed il lavoro sia diventato un’incitazione a delinquere, non solo per qualche “furbetto” ma per la criminalità organizzata anche internazionale.
Il problema è molto serio e va esaminato sine ira et studio, ossia senza prevenzioni di parte. Nella mia vita professionale, mi sono occupato di problemi della povertà in Banca Mondiale, nonché lavorando per Fao-Ifad e per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, e facendo parte dell’Alto Comitato sull’Inclusione Sociale dell’Unione europea e del Cnel. Da queste esperienze ho tratto una conclusione: i veri poveri si identificano unicamente a livello locale e solamente a livello locale si possono individuare misure “su misura” per farli uscire dalla trappola. Interessante l’esperimento fatto dal Comune di Bitonto (ignorato da gran parte della stampa) in cui il reddito di cittadinanza è stato coniugato con i lavori socialmente utili, il workfare teorizzato da Jean Claude Barbier negli anni ottanta del secolo scorso e su cui esiste una normativa italiana da almeno trenta anni.
Il comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza istituito presso il ministero del Lavoro ha prodotto un documento con dieci raccomandazioni colme di buon senso ma che non tiene conto di questa “lezione dell’esperienza”. A livello locale anzi – si mormora – si possono instaurare rapporti particolaristici-clienterali, ma a livello locale il “capitale sociale” fornisce gli anticorpi per contenerli e soprattutto per impedire che “il reddito” diventi criminogeno su larga scala. Anche nella piccola città in Sicilia da dove provengo, la vox populi dei concittadini è una barriera ed organizzazioni come la Caritas aiutano ad identificare i veri poveri ed a trovare le strade per farli uscire dalla loro condizione.
Quindi, la prima misura dovrebbe essere quella di tirare fuori la gestione del “reddito” dall’Inps e fare tornare questo Istituto alla sua finalità primaria: previdenza ossia le pensioni degli italiani non assistenza e men che meno beneficienza. Basterebbe un piccolo ente dedicato alla lotta alla povertà con la missione di incanalare le risorse ai comuni ed esercitare una rigorosa vigilanza,
Ho già sollevato altrove perché il prof. Pasquale Tridico, teorico della misura e Presidente dell’Inps, non abbia fatto lui stesso questa proposta. Anche perché ora è sotto schiaffo. Si è vantato di avere inventato la norma in base alla quale il sussidio sarebbe stato elargito sulla base di una “autodichiarazione” la cui veridicità sarebbe stata controllata ex-post. Non solo l’autodichiarazione si è mostrata essere una pessima idea, ma occorre chiedersi cose fanno i circa 30.000 dipendenti Inps, di cui gran parte sparsi sul territorio e della cui efficienza ed efficacia il presidente dell’Istituto ha la responsabilità oggettiva. Vengono accusati (a torto o a ragione) di non avere esercitato la funzione di controllo o di essere conniventi di chi pare abbia truffato lo Stato. Sono interrogativi posti da forze politiche non solo dell’opposizione ma anche della maggioranza (una delle quali sta raccogliendo firme per sopprimere, tramite referendum, il Reddito di cittadinanza). Tridico dovrebbe tornare all’Università per difendersi meglio da accuse che – ci auguriamo – vengano provate non vere.
Dati i suoi interessi scientifici e personale al tema, potrebbe presiedere un piccolo ente di lotta alla povertà come quello menzionato in questa nota. E da lì assicurare che “il reddito” non sia più criminogeno.