Un lockdown è finito, l’altro no. Le istituzioni democratiche vivono una pandemia nella pandemia. Dal Parlamento aperto a metà alle elezioni descritte come il male assoluto, diagnosi di una disgregazione (in corso). Pubblichiamo un estratto del libro “Draghi o il caos” (Guerini e Associati) di Lodovico Festa e Giulio Sapelli
Il quasi insuperabile macigno che blocca un risanamento della politica italiana è costituito dall’eccezionale livello della disgregazione in atto, innanzi tutto quella delle istituzioni.
La prima e più devastante manifestazione di questo stato di disgregazione è la condizione in cui si trova il Parlamento.
Naturalmente l’emergenza pandemica ha accentuato lo svuotamento della Camera e del Senato come luogo della discussione pubblica. Ma l’emergenza in realtà non ha fatto che evidenziare la profonda rottura tra governo dello Stato e ruolo delle assemblee elettive iniziata in particolare dopo il 2011, con annessa crisi del rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Quando sui media nazionali si dà per scontato, quasi con una certa soddisfazione, che una maggioranza dei parlamentari si opponga allo scioglimento delle camere, essenzialmente per mantenere la propria retribuzione (almeno per qualche tempo), si trasmette un messaggio disperato all’opinione pubblica.
L’assoluta autoreferenzialità egoistica di una larga massa di eletti è caratteristica non solo di un gran numero di “grillini” (esponenti di un movimento che nel suo insieme ha abbandonato gran parte della propria piattaforma programmatica), ma anche di diversi parlamentari di un cosiddetto centro, che manifestano assai più che convinzioni, la ricerca di posizionamenti per continuare a contare sulle proprie retribuzioni o, nei casi più sofisticati, per cercare un “posto” dove essere rieletti.
I grandi classici della sociologia della politica hanno spiegato come gli interessi dei “rappresentanti” siano sempre parzialmente autonomi dagli orientamenti dei rappresentati. Mentre i più seri studiosi di istituzioni politiche considerano sbagliate forme rigide di vincolo di mandato degli eletti.
Ma detto questo, qui non siamo di fronte a circoscritti fenomeni fisiologici, ma a una catastrofica deriva che non può non influire sugli orientamenti pessimistici dell’opinione pubblica.
La strada del declassamento imboccata dal Parlamento ha diverse origini e in parte si collega a tendenze internazionali. Molte le cause; un determinante contributo l’ha dato, in definitiva, anche il taglio di un terzo dei parlamentari, dopo il quale non si è studiata nessuna strategia per arrivare a elezioni anticipate:come è evidente, l’unica scelta per evitare la crescita della delegittimazione e dello sbandamento oggi in atto.
Naturalmente l’emergenza pandemica ha reso tutto più complicato. Però anche nella fase più dura dell’espansione del Covid 19 si è votato negli Stati dove la democrazia funziona in modo ordinato: così in Francia (regionali giugno 2021) o Olanda (politiche marzo 2021), e in altri Stati dell’Unione europea.
Durante una catastrofe nazionale, come la pandemia, la scelta di dar vita a esecutivi di unità nazionale è senza dubbio ragionevole: ma per consolidare questa impostazione sarebbe stato particolarmente utile fissare scadenze certe per le elezioni anticipate, consentendo così di dettare più precisamente i tempi dei provvedimenti essenziali da prendere e rimandando le questioni politiche più controverse a quando fosse stato possibile selezionarle con decisioni irrobustite dal voto popolare.
La disgregazione, peraltro, non è solo questione apicale […]. Il clima di disgregazione del Parlamento, influendo direttamente su tutto il sistema dei partiti su scala nazionale (e poi locale), si è diffuso in tutta la comunità nazionale. Se si sostituisce una discussione pubblica gestita con serietà con uno stato di marasma generalizzato, le forze politiche non ne potranno non risentirne e trasmetteranno il loro spiazzamento a tutta la società.
Estratto del libro “Draghi o il caos” (Guerini e Associati) di Lodovico Festa e Giulio Sapelli