Il commissario generale per l’Italia racconta i punti di forza di Expo, e del nostro Paese: dalla diplomazia religiosa alla capacità di attrarre investitori internazionali e imprese innovative. Le tensioni internazionali sembrano lontane, in una regione che punta a diventare il perno delle supply chain globali dopo la crisi pandemica
All’indomani della Giornata Internazionale della Tolleranza al Padiglione Italia di Expo Dubai, il padrone di casa Paolo Glisenti è particolarmente fiero del risultato: “Il 75% della popolazione mondiale era rappresentato dai rispettivi leader religiosi, al più alto livello. Ormai la diplomazia religiosa è in grado di affiancare, e in certi casi sostituire, quella tradizionale. Abbiamo riunito le cinque confessioni principali del mondo. È stato l’inizio di un percorso di grande importanza, che si unisce a quello che abbiamo dedicato al cambiamento climatico e al World Government Summit che riunirà i capi di governo nei giorni conclusivi di Expo 2020”.
Lei è stato nominato Commissario generale per l’Italia dell’Expo a fine 2017, dopo essere stato segretario generale per quello di Milano. All’epoca non poteva immaginare l’arrivo della pandemia, il rinvio di un anno, e i problemi organizzativi che sono seguiti. Tantomeno le tensioni degli ultimi anni tra alcuni dei Paesi partecipanti. Ora che la manifestazione è entrata nel vivo, qual è il suo bilancio fino a questo momento?
Expo si è trovato a essere il primo grande evento globale dopo la fase più acuta della pandemia, e riunisce 192 Paesi che si confrontano e scrivono insieme l’agenda globale. Come lei ha detto, tra alcuni di questi ci sono stati conflitti anche molto seri – penso a Israele, Palestina, Libano, Cina – eppure qui i loro rappresentanti si incontrano e interagiscono ogni giorno. Non credo di aver mai assistito a un Expo così concentrato sui grandi temi geopolitici del momento. Poco prima dell’inizio, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha usato una frase che resterà nella memoria: “Qui siete alla frontiera del cambiamento”.
Gli Emirati Arabi Uniti, dopo anni di rapporti altalenanti con le altre potenze regionali, vogliono tornare all’obiettivo che si erano dati all’inizio del Millennio: essere un hub globale, la porta verso l’Asia e l’Africa.
Entro cinque ore di aereo dagli Emirati ci sono oltre tre miliardi di persone, con un’età media di 28 anni. Siamo al centro di un’area che copre il 40-45% del commercio internazionale in cui centinaia di milioni di ragazzi sono alla ricerca di motivazione, formazione, specializzazione, e influenzeranno i destini del pianeta. Qui c’è un cambiamento epocale in termini geografici e anagrafici. L’obiettivo dell’Expo è consolidare le connessioni e ricostruire i rapporti tra Est e Ovest, Nord e Sud.
Ce la farà?
Ce la sta già facendo. Non bisogna dimenticare che l’Expo è un’occasione di confronto ma anche di intrattenimento popolare (nel senso più alto della parola), ci sono i summit dei leader ma anche un grande flusso di turisti. In nessun’altra occasione l’opinione pubblica è a contatto e può avere la stessa esperienza dei decisori globali. Ogni paese coinvolge attivamente i visitatori sui temi più importanti del momento: clima, rigenerazione urbana, coesistenza e tolleranza religiosa, intelligenza artificiale, sostenibilità ambientale e sociale. Il fatto di essere in una fase di ripresa economica globale genera un clima ancora più elettrico e ottimista.
L’Italia, con il suo tessuto aziendale, come si colloca in questo cambiamento?
In primissima linea. Siamo partiti dal successo dell’Expo di Milano e abbiamo costruito un padiglione e un programma di altissimo livello, riconosciuto a livello globale e che sta destando grande attenzione. In termini economici, quest’anno il valore delle merci via cargo in direzione da Est a Ovest nel Mediterraneo ha superato il valore dell’Atlantico e del Pacifico. Questa regione è diventata il baricentro commerciale ma anche scientifico e tecnologico, e il 30% dell’export italiano passa da qui, con tassi di crescita sorprendenti in questi mesi.
Ma non è solo export: aumenta costantemente il numero di imprese che si registrano e si legano a questa regione, che attrae i principali investitori internazionali. Questi visitano l’Expo e sono molto interessati alle filiere italiane, vogliono entrare anche nel capitale delle piccole e medie imprese che partecipano alle supply chain globali. E nelle start-up: attorno al sito dell’Expo sono nati 21 incubatori e acceleratori cui possono aderire le nuove realtà italiane. Che qui imparano ad adottare nuovi criteri di rating e di bilancio così da essere “comprese” dalla finanza internazionale. Una creazione di valore incredibile.
Ma quello che si impara a Dubai si può trasportare anche a casa nostra, che ha di fronte l’occasione unica del Pnrr per ricostruire processi vecchi di decenni secondo i principi della transizione ecologica e digitale?
Si deve. Mentre infuriava il dibattito sul reshoring delle produzioni globali – che si è acuito con le interruzioni delle catene del valore causate dal Covid-19 – gli Emirati e i Paesi limitrofi si sono attrezzati per diventare una base logistica e produttiva, creando decine di piattaforme logistiche perfettamente digitalizzate. Il tutto per creare dei nuovi “nodi” delle catene globali che non siano esclusivamente dipendenti dalle fabbriche e dai porti asiatici. Per questo serve anche una grande innovazione dal punto di vista del marketing delle nostre imprese. Che hanno l’occasione di farsi conoscere (marketing relazionale) su fattori che la crisi sanitaria ha messo in evidenza: la sicurezza dei nostri prodotti, anche in termini di sicurezza di approvvigionamento e distribuzione; l’affidabilità nella qualità, nei marchi. Il tutto con nuove controparti, che provengono da paesi che non erano stati ancora protagonisti dell’economia globale. Il nostro padiglione ne è un esempio.
In che senso?
È stato progettato, costruito, dipinto, allestito e digitalizzato da aziende italiane (piccole, medie e grandi). Ciascuna delle soluzioni adottate è stata catalogata in funzione delle cinque missioni del Pnrr e secondo le best practices nel settore. Si tratta di progetti e prodotti pilota o già nel mercato che attestano la capacità delle nostre imprese di stare al passo con la modernità. Un modello esemplare di quello che sappiamo fare, in perfetta armonia con i principi stabiliti in Europa.
Un esempio di genio e “regolatezza” all’italiana. Ma qui da noi restano grandi problemi strutturali. A proposito di quello di cui stiamo parlando, la supply chain: in Italia la logistica è ancora molto indietro in termini di digitalizzazione, razionalizzazione, uniformità regole. Un container che arriva in un grande porto italiano viene scaricato, trasportato su un treno o su un camion e distribuito sul nostro territorio senza che vi sia un sistema integrato
Le posso dire che le cose stanno migliorando. Alla settimana della mobilità, cui hanno partecipato i vertici di Rete Ferroviaria Italiana, Adr, Sea, Fincantieri ecc., le aziende hanno presentato i modelli di infrastrutture di trasporto integrate, sostenibili e digitalizzate. Una pianificazione a breve termine tra sistemi portuali e aeroportuali, tra reti ferroviari e aeroporti. Hanno suscitato grandissimo interesse anche nel pubblico internazionale, non a caso molte di queste società sono state chiamate a lavorare in questa parte del mondo, nel Mediterraneo Allargato, dove possiamo essere leader nell’innovazione e nella capacità tecnico-scientifica. I corridoi ferroviari che si stanno realizzando verso il resto d’Europa renderanno l’Italia la porta d’accesso e di transito delle merci in arrivo dal vicino ed estremo Oriente. Gliel’ho detto, siamo alla frontiera del cambiamento.