Luciano Carta, Claudio Graziano, Giampiero Massolo e Roberta Pinotti protagonisti dell’evento organizzato dall’Ispi e dedicato all’autonomia strategica europea, a pochi giorni dalla presentazione della prima bozza di Strategic Compass. Di fronte alle numerose sfide offerte dal contesto internazionale, dall’Afghanistan all’Indo-pacifico, l’Ue deve puntare sulla Difesa (in sinergia con la Nato), rivedendo iniziative e meccanismi decisionali. E se il confronto si sposta sul cyber-spazio…
Quale autonomia strategica per l’Europa? È la domanda che ha animato ieri il dibattito organizzato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), in collaborazione con Leonardo, a pochi giorni dalla pubblicazione della prima bozza dello Strategic Compass, l’attesa bussola con cui l’Unione europea vuole rilanciare le sue ambizioni sulla scena internazionale. Con il titolo “Autonomia strategica e difesa: la posta in gioco per l’Europa e per l’Italia”, l’evento digitale ha visto la partecipazione del presidente del Comitato militare dell’Unione europea, Claudio Graziano, della presidente della Commissione Difesa del Senato, Roberta Pinotti e del presidente di Leonardo, Luciano Carta.
QUALE AUTONOMIA STRATEGICA?
In apertura l’intervento del presidente di Ispi, Giampiero Massolo: per l’Unione “questo passo di fase è plasmato dalle sfide”, e non si deve “sbagliare valutazione su cosa sia l’autonomia strategica”. Sul tema (che ha fatto discutere le due sponde dell’Atlantico) tutti i relatori sono apparsi concordi: non significa imboccare una via alternativa alla Nato, ma bensì creare un percorso che possa essere complementare all’Alleanza. Ciò in virtù della diversa natura delle due organizzazioni, ha spiegato Graziano, con l’Ue quale organizzazione sovranazionale, e la Nato in qualità di alleanza militare. Per Pinotti la Nato stessa può avere più autorevolezza se al suo interno ha un’Ue forte, e questo può fornire “più punti di vista”, perché per sviluppare un multilateralismo efficacie serve una governance altrettanto efficace. Per Luciano Carta, “lavorare per rafforzare la difesa europea significa lavorare per rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza”. Di più: sviluppare capacità europee più evolute può essere un vantaggio per la Nato. A livello industriale, “lo sviluppo di capacità più avanzate e comuni a livello europeo e Nato è sicuramente un vantaggio perché consente di indirizzare gli sviluppi, garantire maggiore interoperabilità […] e anche una necessità perché determinate capacità e tecnologie di punta e strategiche non possono essere realizzate a livello di singolo Paese, ma richiedono necessariamente un approccio collaborativo”, ha sottolineato il presidente di Leonardo.
LE SFIDE
Risolta la questione definitoria, ha spiegato Massolo, l’autonomia strategica può giocare un ruolo-chiave per il futuro dell’integrazione dell’Unione e per il ruolo che avrà nel complesso panorama internazionale. Molte sono le questioni e le sfide geopolitiche attuali, dal ritiro dall’Afghanistan, al ruolo crescente della Cina nel settore militare, dalle tensioni nei rapporti fra Nato e Russia, al prossimo cambio di testimone alla cancelleria in Germania, fino all’intensificarsi del confronto nell’Indo-pacifico. In questo scenario, due tra i temi centrali dell’autonomia strategica europea sono: la cybersicurezza e la sovranità digitale e tecnologica.
LA PROSPETTIVA DI BRUXELLES
Per Claudio Graziano, non vi sono dubbi sul fatto che il mondo, in questo momento, stia guardando all’Europa e che si debba rispondere facendo qualcosa. Nel 2016, con la sua “Global Strategy”, l’Ue si era posta l’obiettivo di diventare un “global security provider”. Per raggiungerlo “non c’è alternativa alla Difesa europea”, sempre in armonia con l’Alleanza Atlantica, ha spiegato il generale. La forza di intervento prevista di 5.000 uomini sarà in grado di operare in tutti i domini, ma la sua efficacia sarà determinata anche dalla volontà di impiego, ha evidenziato Graziano, ricordando che i battlegroups europei (già presenti) non sono mai stati impiegati. La nuova forza prevista non deve, dunque, mostrare limitazioni né di natura politica né nell’impiego per essere efficace. Quando sarà approvato lo Strategic Compass i “27 Paesi europei concorderanno formalmente ad avere una capacità di intervento”, dando in questo modo un messaggio anche a quei Paesi che potrebbero rappresentare una minaccia.
FAR FRONTE A MINACCE IBRIDE
Si è detto d’accordo il presidente di Leonardo Luciano Carta. Le novità previste dallo Strategic Compass non devono rimanere stampate sulla carta, poiché “le capacità hanno un significato solo se c’è la volontà di utilizzarle proattivamente e questo vale particolarmente nel dominio della difesa e sicurezza”. Il concetto di deterrenza, ha aggiunto, “offerto in altri tempi dalle armi nucleari o dalla fleet in being, funziona solo se gli interlocutori sono convinti che la possibilità di impiego delle capacità è reale ed è sorretta dalla volontà politica di farvi ricorso”. Anche l’aumento della capacità di deterrenza potrà, dunque, giovare delle iniziative e speranze riposte nello Strategic Compass se l’esigenza di effettiva capacità europea diventerà realtà. Anche perché la minaccia odierna ha prevalente natura “ibrida”. Dunque, sulla partita peserà in modo particolare il processo di digitalizzazione e il peso che l’innovazione tecnologica ha ormai sulle relazioni internazionali, ha notato Carta. La pandemia ha impresso un’accelerazione della digitalizzazione. Ciò, tuttavia, sebbene abbia permesso di rimanere sempre connessi e operativi, ha fatto altresì aprire gli occhi su ulteriori problematiche, in particolare nel cyber. Gli attacchi cibernetici sono sempre più numerosi e di maggiore portata, e vedono coinvolti sia attori statuali che non statuali con finalità differenti. L’Europa deve rispondere con un adeguato livello di autonomia strategica declinata a 360 gradi su diverse direttive: economia, informazione, tecnologia, società, sanità, sicurezza e difesa.
IL PUNTO DI ROBERTA PINOTTI
Anche per Roberta Pinotti la pandemia ha palesato potenzialità, mettendo però in evidenza anche numerose difficoltà. L’Unione “ci ha stupito come appaltante e distributore dei vaccini” e anche per come ha agito dal punto di vista economico (con il Next Generation Eu). Sulla necessità di una Difesa comune ha influito il ruolo-chiave giocato dal contesto afghano, che ha reso evidente come di fronte a una situazione in cui gli Usa si sono ritirati, l’Ue abbia fatto lo stesso perché si riteneva non in grado di fronteggiare la situazione senza l’appoggio statunitense. Bene dunque il rinnovato livello d’impegno dell’Unione, che tuttavia andrà strutturato in modo congruo all’ambizione. In tal senso, il fondo Edf (7,9 miliardi fino al 2027) è un segnale minimo, ma comunque significativo. E lo Strategic Compass, “seppur sconfortante nelle analisi delle minacce, scommette sul multilateralismo”. Per quanto concerne la sfida dell’unità politica, la questione centrale resta un processo decisionale che pone le fondamenta del suo funzionamento sul voto all’unanimità. Ciò, ha concluso Pinotti, rischia di far diventare difficile il prendere decisioni nel settore della Difesa, tant’è che la prima bozza dello Strategic Compass punta a virare in direzione dell’astensione costruttiva.