Scritto a quattro mani da Paolo Bernardelli e da Filippo Mazzotti, “Lo schema Ponzi. Romanzo di una truffa” (Piemme) è una storia attuale che non vuole dare risposte, ma aprire interrogativi sul lato oscuro dell’animo umano e sui “demoni” che ancora ci portiamo dietro: immigrazione, fake news, ricchezza, banche e finanza sconsiderata. Ecco come gli autori hanno raccontato il libro (già opzionato come serie tv da una casa di produzione) a Formiche.net durante un’intervista doppia
Ritmo serrato, con espedienti che spiazzano il lettore, coinvolto fino all’ultimo dalla tecnica narrativa. Immergersi ne “Lo schema Ponzi. Romanzo di una truffa” (Piemme), tra docu-fiction e narrativa, è un mix che incuriosisce a ogni pagina. Anche perché Carlo Ponzi, personaggio realmente esistito, è stato il capostipite delle truffe finanziarie. Iniziata, la sua, nel 1920 con una banalissima intuizione su Buoni di Stato e francobolli, costi e contro-valori.
Scritto a quattro mani da Paolo Bernardelli, reduce dal successo della serie Sanpa targata Netflix e premiata col Nastro d’Argento, e da Filippo Mazzotti, al suo esordio nella narrativa, “Lo schema Ponzi” è una storia attuale che non vuole dare risposte, ma aprire interrogativi sul lato oscuro dell’animo umano e sui “demoni” che ancora ci portiamo dietro: immigrazione, fake news, ricchezza, banche e finanza sconsiderata.
Mazzotti, nato lo stesso giorno, il 3 marzo, e nella stessa cittadina, Lugo di Romagna, del celebre truffatore, “ma a Lugo molti non sapevano fosse del posto”, e Bernardelli, di Castelmassa, Rovigo, “vicino a tutto e distante da tutto”, hanno raccontato a Formiche.net durante una doppia intervista come è venuto alla luce il progetto (già opzionato come serie tv da una casa di produzione), il sogno americano a tutti i costi e l’affascinante contesto storico del tempo che ha permesso a Ponzi di perpetrare una truffa così clamorosa.
Come vi siete conosciuti?
Filippo Mazzotti – Paolo lo conosco da più di 4 anni. Avevo fatto una serie di workshop al Torino film lab promossi dalla Piemonte film commission, dove ho poi presentato il mio progetto su Ponzi e lì ho incontrato Stefano Sardo, showrunner ad esempio della serie tv con Stefano Accorsi su Tangentopoli (1992-1993-1994). Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a sviluppare l’idea e quindi lui mi ha indirizzato a Paolo Bernardelli. “Sei stato sfortunato perché hai beccato me”, mi ha detto Paolo, ma ha anche aggiunto, “altrettanto fortunato perché anche io sono appassionato di truffatori”.
Ed ecco che da qui nasce questa avventura a quattro mani.
F.M. – Abbiamo iniziato a lavorare su un progetto che doveva essere una serie. Ma produrre per la televisione richiede sforzi ingenti e così prima della pandemia ho partecipato a Milano Pitch organizzato dall’Università Cattolica e dalla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti e vinto il primo premio. Al termine ci ha contattato Francesca Lang (editor di Piemme Edizioni, ndr) e mi ha chiesto se avessimo mai pensato di farne un romanzo. È partita la pandemia e quindi trovandoci chiusi in casa, abbiamo scritto una cinquantina di pagine e inviate a Piemme. Sono piaciute e sostanzialmente è iniziata questa avventura.
È vero che è un romanzo, ma la storia è ben documentata. Che tipo di fonti avete utilizzato?
Paolo Bernardelli – Le fonti utilizzate sono svariate, ma quelle principali sono stati i quotidiani dell’epoca, grazie alla digitalizzazione. Altri documenti, anche se pochi, sono alcuni saggi, tra cui l’autobiografia di Ponzi stesso, che però non è mai stata pubblicata. Ha tutte le deformazioni di quando si scrive su di sé, forse è questo il motivo per cui è rimasta nel cassetto…
F. M. – È un testo pieno di incongruenze storiche e fattuali (l’autobiografia) sulle quali abbiamo lavorato. Ci siamo trovati in fondo a pensare che se era lui il primo a dire bugie, perché dovevamo noi dire la verità, quando potevamo dirla in tanti modi, giocandoci sopra?
Un giusto mix tra realtà e finzione. Su cosa esattamente avete giocato?
P. B. – Abbiamo comunque ricostruito il ricostruibile. Come dicevo, le fonti che ci sono pervenute non sono tantissime, in un’epoca dove la menzogna, la truffa, gli scambi di persona erano all’ordine del giorno. Lo Schema Ponzi nasce proprio come menzogna collettiva e diventa poi gigante. Ci siamo detti perché non scrivere un romanzo che è una truffa proprio nella dichiarazione? Se lo Schema Ponzi è una delle truffe più famose, devi costruire un romanzo che è di per sé una truffa per reggere ben 500 pagine. È quello il gioco. Il pubblico che guarda o legge una storia su un raggiro vuole perdersi totalmente nella truffa stessa. Questa è la mission che abbiamo tentato di attuare nel libro.
E devo dire che ci siete riusciti, perché la tecnica narrativa della prima persona per ogni personaggio coinvolge il lettore, insieme ad alcuni espedienti (che non sveliamo), dà ritmo alla narrazione e tiene l’attenzione alta, in un volume composto appunto da più di 500 pagine.
F. M. – È un escamotage narrativo utilizzato perché dare un giudizio univoco e definitivo su una storia è difficile, e invece nel romanzo tutti i personaggi che raccontano Ponzi, ognuno lo dipinge in maniera diversa.
P. B. – In fondo è il clou di quello che volevamo raccontare. A noi non interessava descrivere Ponzi, ma la bolla del mondo che lui ha creato. Ci interessavano principalmente gli 8 mesi delle vite che hanno incrociato Ponzi o il suo schema. Dentro quella bolla c’era un racconto universale che andava oltre il romanzo storico. Una storia non del 1920 ma di oggi, perché queste truffe continuano a ripetersi. L’unica cosa che non esiste più sono i buoni di risposta internazionali, per il resto c’è tutto. E sulle 500 pagine possiamo dire che una settimana prima dell’uscita del volume ne abbiamo tolte ben 50!
Sicuramente ci sono scelte da fare quando si mette nero su bianco una storia, ma il fatto che fosse un progetto concepito come serie Tv vi ha fatto realizzare una scrittura per immagini?
P. B. – La vera sfida narrativa che ci siamo posti è stata quella di scrivere in due. Filippo ed io ci siamo divisi i personaggi, alcuni li scriveva solo lui, altri solo io, alcuni insieme. Questo dà anche differenziazione di stile nel senso che ogni personaggio lo abbiamo lavorato in maniera diversa: quando uno scriveva un personaggio l’altro faceva le note o viceversa. Un vero divertissement. La grande opera di quando si scrive in due è poi il montaggio. Alcuni capitoli sono stati scritti sapendo cosa stava succedendo prima. Alcuni personaggi sono stati scritti in un blocco, altri nella cronistoria.
F. M. – Il libro è stato montato mettendo proprio le pagine sul tavolo. È stato costruito come fosse una storia cinematografica. Quello che secondo me nella tecnica di narrazione ha funzionato è stato anche anticipare molte cose all’inizio per dare un po’ più di velocità alla narrazione. I flashforward sono molto cinematografici e funzionano perché ti portano direttamente dentro la questione.
Passiamo alla storia di Carlo Ponzi, diventato una sorta di re mida dei soldi. In fondo la sua vita racconta un po’ il sogno americano, quasi a tutti i costi…
F. M. – Abbiamo cercato di ribaltare il sogno americano. Se ci credi ce la fai, sappiamo che non è sempre vero. Non è stato infatti così per Ponzi. Erano anni folli e sostanzialmente la gente voleva fare soldi e voleva farli subito. L’idea era quella di ritrarre questa ubriacatura, nonostante non si potesse bere. Ho sempre pensato che se Ponzi ce l’avesse fatta, il personaggio forse non sarebbe stato così interessante. L’ascesa e la caduta sono il bello della sua storia.
P. B. – Il paradosso è che i grandi truffatori diventano tali solo se vengono scoperti. I truffatori che non sono diventati famosi sono quelli che ce l’hanno fatta. Se Ponzi non fosse stato scoperto cosa sarebbe successo? Gli immigrati sarebbero potuti diventare ricchi, ad esempio. Ed è qui che mi sono detto questa storia va oltre la sua biografia. Perché si genera uno scontro fra due grandi personaggi: un immigrato che crede nel sogno americano a tutti i costi ed è disposto a tutto per prenderselo (Ponzi) e figlio dell’élite che vede un immigrato che raggiunge il suo scopo e indaga per svelare cosa c’è dietro veramente (il direttore del Boston Post Richard Grozier). La distanza fra Ponzi e Grozier è il motore alla storia.
Questi due personaggi raccontano proprio due mondi agli antipodi. Da una parte chi nella vita si è dovuto in qualche modo arrangiare, mentre dall’altra chi doveva salvare l’azienda di famiglia…
F. M. – Come sempre cambia il modo in cui si reagisce alle cose della vita. Sostanzialmente alle aspettative delle famiglie uno ha deciso di reagire mentendo (Ponzi), l’altro di rimboccarsi le maniche (Grozier).
A proposito di personaggi del libro, sono interessanti anche le varie sfumature dei caratteri e dei ruoli all’interno della vicenda delle figure femminili, soprattutto di Rose Gnecco e Edda Grünn.
P. B. – Al punto di vista femminile della storia ci tenevamo particolarmente. Quello era il periodo del suffragio universale e c’era il movimento delle suffragette americane, un punto che volevamo fare emergere. Rose, moglie del truffatore, ed Edda, aspirante giornalista, sono molto differenti fra loro e rispecchiano due lati opposti della società. Rose poi è il personaggio che incarna maggiormente il tema della storia: le persone vogliono credere ben oltre l’evidenza.
F. M. – Rose non volle “vedere” chi era il marito e in un certo modo così si diventa complici, passivamente. Mentre scrivevamo infatti ci siamo chiesti se lei sapesse e se sapesse fino a che punto.
Anche la nostra epoca non è stata esente da provetti Carlo Ponzi e vediamo fake news dilaganti. Esempio eclatante il banchiere Madoff. Cosa ne pensate di questi temi, toccati dal vostro romanzo?
F. M. – Bernard Madoff mise su un vero e proprio schema Ponzi ed è durato anni e anni. Il che ci fa capire come questi metodi si basino sulla fiducia. Oggi i nostri Carlo Ponzi sono coloro che mettono in circolazione fake news e le fanno diventare realtà basandosi sul fatto che le menzogne più circolano e si condividono, più diventano “realtà”.
P. B. – Madoff riuscì a mentire per trent’anni. La vera domanda è che se lui ci è riuscito per così tanto tempo, quanti schemi Ponzi ci sono in giro che ancora non abbiamo scoperto?
Sulle fake news e le responsabilità del giornalismo ci si interroga tuttora, anche aprendo un dibattito su come gestire il contraddittorio negli studi televisivi.
F. M. – Per quanto riguarda il caso Ponzi, c’è da dire che la gente si fidava di lui. Persona anche molto simpatica, che quando poteva aiutare, lo faceva. È stato proprio uno che ha fatto dire ai truffati: “Da te non me lo sarei mai aspettato”. La domanda che ci siamo posti però è se lui sapeva che sarebbe crollato e se lo sapeva forse era convinto di poter ripagare tutti. Questo è un punto drammaturgico rilevante. Perché non è scappato con la cassa quando poteva? Forse era lui il primo a credere alle sue menzogne.
P. B. – Per tornare invece al contraddittorio nel giornalismo, e relative fake news che possono venire fuori, a mio avviso è una questione di etica giornalistica: se cerchi uno scoop urlato di un’altra voce non hai bisogno. Però il lavoro del giornalista non è quello di dover confermare una propria tesi, bensì porsi un dubbio per capire e sondarlo, mettendosi nell’ottica di chiedersi se ha ragione l’altro. Questa è secondo me la funzione del contraddittorio.
Per motivi differenti vi siete sentiti legati alla storia di Ponzi che vi ha coinvolto fino alla stesura del romanzo. Da un lato lo stesso giorno e luogo di nascita col protagonista per Mazzotti, un segno del destino quasi, dall’altra la passione per questo tipo di storie per Bernardelli.
F. M. – A Lugo di Romagna peraltro non sapevano che Carlo Ponzi fosse originario di lì. Molti non sanno nemmeno chi fosse. Però c’è da dire che la sua permanenza non fu lunga perché la sua famiglia era di Parma e vi si trasferì nei suoi primi anni di vita. Curioso è che nella zona scoppiò un simile scandalo finanziario nel 1958, il caso Giuffrè, Schema Ponzi che coinvolgeva enti ecclesiastici nella ricostruzione di immobili come conventi e chiese danneggiati dalla guerra.
P. B. – Io penso che il tema della truffa sia molto affascinante perché i personaggi innescano battaglie psicologiche con i truffati. Questo tipi di raggiri raccontano molto bene le sfaccettature dell’animo umano. Dietro ad essi c’è un sistema di desideri, bisogni e sogni e le truffe si basano proprio su che cosa desidera l’altro. Come strumento narrativo, sono molto interessanti per sondare l’animo umano, che è il cuore di quello che vado a scrivere: mi interessa di più tentare di indagare l’animo umano, non cercare una verità né una tesi, ma avere delle domande. E Carlo Ponzi ce ne ha scatenate tante. Quando sembrava di avere una tesi, avevamo anche una contro-tesi e sei sempre in bilico se stare da una parte o dall’altra. La storia ci consegna Ponzi come un personaggio negativo perché ha truffato tante persone. Ma questo non è il punto. La grande domanda che ci siamo posti è perché non se ne è andato? Lui alla fine si è auto-truffato secondo noi. Ha creato una truffa dove era protagonista e l’immagine che dava di sé gli piaceva così tanto che per lui non doveva essere più una menzogna. È pur vero che una risposta non c’è, però abbiamo provato a indagarla.
F. M. – Secondo me pensava di poter rimettere in ordine tutto, perché ha anche elaborato dei piani B. Ci credeva che le cose si sarebbero potute sistemare. Ma quello che volevamo dire col romanzo è che questa è una storia attuale perché ritroviamo i demoni di oggi: si parla di immigrazione, fake news, ricchezza, banche, finanza, tutti fantasmi anche della nostra epoca. Narra anche di quando gli immigrati eravamo noi. Gli italiani hanno fatto grandi cose in America, ma è pur vero che ci sono anche storie di grandi fallimenti.