“Il cambiamento climatico rimodella gli ambienti geostrategici, operativi e tattici con implicazioni significative per la difesa”, ha detto Jörn Thießen, Co-Chair del German Institute for Defence and Strategic Studies di Amburgo in un workshop su clima e difesa tenuto da Arvea Marieni
L’incontro dei presidenti Biden e Xi, il primo in video conferenza avvenuto a ridosso della Cop conferma l’importanza strategica di clima ed energia nei rapporti tra Usa e Cina. Il nodo è economico, geopolitico e tecnologico.
Il mondo contemporaneo è strutturato attorno all’integrazione delle due economie, sia pure assieme alle altre, europee e mondiali, e alle conseguenze ambientali di queste relazioni. Tanto significativo è però il legame sino-americano, che essa genera, secondo lo storico britannico Niall Ferguson, addirittura una nuova “Chime(ric)a”, animale mitologico formato dalla crasi di Cina e America.
Tale accoppiamento economico-industriale emerge negli anni ’70 come asse portante della globalizzazione a trazione occidentale. La Cina comunista si trasforma allora con Deng Xiaoping nella “fabbrica del mondo”, mentre Usa ed Europa delocalizzano impianti, emissioni e inquinamento. Se il nostro consumo si nutre di prodotti a basso costo cinesi, Pechino lo finanzia, divenendo ad esempio il primo acquirente di titoli di stato Usa.
Se all’inizio di questo ciclo, gli Stati Uniti emettevano circa 6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, le emissioni cinesi sono passate da 2,4 miliardi nel 1990 a quasi 10 miliardi nel 2020. Nel 2005, la Cina è diventata il più grande emettitore del mondo. Insieme, gli Stati Uniti e la Cina costituiscono oggi circa il 45% delle emissioni globali.
Negli ultimi due decenni, però, Pechino ha intrapreso un nuovo percorso verso la trasformazione del suo sistema industriale e sociale che punta oggi ad assicurare una produzione di qualità, ad alto tasso di conoscenza e valore aggiunto. Soprattutto, vuole diventare più sostenibile. Gli Stati Uniti di Biden e l’Europa si muovono nella stessa direzione, e per tutti sono presenti contraddizioni.
Non sorprende quindi che la diplomazia, prima e dopo Glasgow, è al lavoro. Ma mentre Usa-Cina, insieme all’Europa, parlano, il cambiamento climatico è ormai una minaccia diretta e immediata alla sicurezza planetaria. Lo dimostra il Canada dove l’esercito assicura in questi giorni gli approvvigionamenti alimentari dopo le devastanti inondazioni che hanno colpito la provincia della Columbia Britannica.
“Il cambiamento climatico rimodella gli ambienti geostrategici, operativi e tattici con implicazioni significative per la difesa”, mi ha detto Jörn Thießen, Co-Chair del German Institute for Defence and Strategic Studies di Amburgo in un workshop che ho tenuto su clima e difesa da loro.
Se Usa e Cina, come l’Europa, riconoscono che è necessario agire e cercano convergenze sulle regole dell’uscita dai fossili, non è ancora chiaro se agiremo in tempo per evitare la catastrofe.
La diade tra sicurezza e transizione energetica deve essere regolata attraverso il funzionamento di efficienti mercati del carbonio. Serve un prezzo sui fossili che integri a un livello adeguatamente elevato i costi reali di estrazione e produzione nonché gli enormi danni ambientali e sociali prodotti.
Per questo a Glasgow si è giunti all’approvazione, a sorpresa e dopo sei anni di trattative, delle regole di funzionamento dei mercati del carbonio, ponendo le basi per accelerare la transizione. Un innegabile successo della Cop. Siamo pronti a liberarci dalla dipendenza dai fossili? Forse.
Come si spiega allora che il Presidente a Biden abbia chiesto alla Cina e al Giappone di rilasciare parte delle riserve strategiche di petrolio per contenere i prezzi dell’energia e mandato così un segnale ai mercati sui tempi della transizione?
La mossa, che contraddice apparentemente gli impegni e le dichiarazioni assunti a Glasgow, è di fatto una scelta obbligata. Accanto alla volontà di guidare le economie mondiali fuori dall’era fossile, resta la necessità di assicurare il funzionamento dei sistemi industriali, sociali e di sicurezza esistenti. Ma se il passo della transizione deve tenere conto della complessità del reale, nota il Prof Stefan Bayer, capo della ricerca sul clima del GIDS, il think-tank della difesa tedesca, che “la transizione energetica può fallire per ragioni economiche”.
E infatti, Cina e Usa, ha detto Xi a Biden, devono “lavorare insieme per assicurare la sicurezza energetica, rafforzare la cooperazione” sul gas e le nuove energie” e “la stabilità delle catene di fornitura” globali.
Per abbandonare il carbone la Cina, almeno nel breve termine, ha bisogno di gas, mentre accelera nella costruzione di impianti rinnovabili e nucleare. A conferma della collaborazione trai due paesi, alla fine di ottobre Pechino ha firmato importanti contratti di fornitura a lungo termine di gas dagli Usa, che hanno dato respiro al mercato interno messo sotto pressione dai prezzi dell’energia in salita.
D’altro canto, il gap di tecnologie che ancora mancano per assicurare il futuro energetico dell’umanità sarà colmato tanto più velocemente con la collaborazione internazionale.
Se il cambiamento climatico accelera, il percorso verso la decarbonizzazione passa per le forche caudine della stabilità dei sistemi produttivi mondiali.
Ma la battaglia per il clima è esistenziale. La salvezza dipende da ciò che Usa e Cina, come l’Europa, faranno nei prossimi mesi, non nel 2050.