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L’età da inventare. La vecchiaia fra memoria ed eternità secondo Paglia

Di Vincenzo Paglia

La vecchiaia spesso fa paura o porta con sé la malinconia del tramonto, comunque la si viva. Eppure è diventata un tempo importante dell’esistenza, ben più lungo di quanto era fino a pochi decenni fa, e si presenta, in mancanza di modelli, come un’età da inventare. Monsignor Vincenzo Paglia, che da anni studia e si occupa delle esperienze e dei bisogni delle persone anziane, propone nel suo libro “L’età da inventare” edito da Piemme, di cui pubblichiamo un estratto, una visione penetrante e innovativa della vecchiaia

Il mondo sta vivendo una rivoluzione epocale, di quelle che danno origine a una nuova era e stimolano la ricerca di soluzioni, linguaggi, tecnologie, forme di scambio e di mercato, concezioni della qualità della vita mai concepite prima. Proviamo a guardare agli ultimi secoli della storia e ad alcune figure molto celebri, che hanno dato un contributo al progresso dell’umanità. Scopriremo un elemento comune.

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) pose le basi del pensiero cristiano moderno e contribuì in modo determinante a dare forma alla civiltà occidentale con soli 49 anni di vita. Leonardo da Vinci (1452-1519) espresse le sue eccellenze in diversi campi dell’arte e del sapere e riuscì a raggiungere la venerabile età di 67 anni (oggi l’immagine a cui lo associamo più facilmente è quella di un vecchio appesantito da anni e anni di profonde esperienze di vita e di pensiero).

Mozart (1756-1791) impresse il sigillo del suo genio sulla storia della musica entro i 35 anni di età. Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), guidò il piccolo Stato dei Savoia a unificare l’Italia, ma non riuscì a orientare i primi dieci decisivi anni della storia del nuovo Stato perché non riuscì a superare la soglia dei 51 anni di vita.

Emily Dickinson (1830-1886), una delle maggiori poetesse dell’epoca moderna, condusse una vita ritirata e ben regolata, mantenendo accesa nel cuore la fiamma dell’armonia e cogliendo l’infinito nel frammento, non oltre i 56 anni.

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La schiera di personaggi del passato ai quali siamo grati per il contributo che hanno dato al progresso dell’umanità è, per fortuna, molto lunga e tantissimi fra loro (ecco l’elemento comune a tutti quelli citati), non hanno superato limiti di età che oggi consideriamo non solo normale raggiungere e superare, ma soprattutto vivere come fossero anni di piena attività: in proporzione (e soprattutto nell’attuale visione delle età della vita) i nostri 65 anni sono di fatto i 45 anni di un secolo fa.

In effetti, nelle società del benessere si è allungata di molto, e per quasi tutti, la speranza di vita alla nascita e questo dato non è percepito affatto come un freddo calcolo statistico, ma come un’esperienza concreta dello scorrere degli anni di ciascuno di noi.
Per la prima volta nella storia, ad esempio, in molte famiglie convivono quattro generazioni. (…)

È il frutto prezioso delle conquiste scientifiche, di una sanità più progredita, di un’assistenza più diffusa, di una vita sociale più solidale e comunque meglio organizzata, del generale miglioramento delle condizioni igieniche e dell’accesso a risorse alimentari sufficienti e diversificate. Almeno in Occidente e nel mondo industrializzato. Grazie a tutti questi fattori, durante il xx secolo è stato possibile dare vita a tre grandi fenomeni demografici. (…)

Si tratta di processi che hanno continuato a consolidarsi, così che l’umanità ha letteralmente cambiato volto. Ma siamo davvero consapevoli di quel che sta accadendo?

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Questo nuovo popolo di anziani impone a tutti noi una più attenta capacità di analisi, di comprensione e di progettualità. È un fatto positivo che dagli anni Ottanta sia cresciuta, soprattutto in area anglosassone, un’ampia letteratura che ha iniziato a porre la questione degli anziani tra i temi centrali del futuro delle nostre società. E sono convinto che, assieme al tema delle migrazioni, sarà la sfida più ardua da affrontare nei prossimi decenni.

Qualcuno già ora scrive che il xxi secolo sarà il secolo della vecchiaia. Nel 1991, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione importante, sintetizzata nello slogan «Non bisogna aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni». Nell’Anno internazionale delle persone anziane, celebrato nel 1999, fu presentato un volenteroso ideale: «Verso una società per tutte le età».

In quella occasione, Giovanni Paolo II si unì alla celebrazione con la sua bella Lettera agli anziani. Erano sorte, intanto, anche nella Chiesa, diverse iniziative che affrontavano il tema degli anziani e della cura da avere verso di loro (…)

Tra dieci anni gli anziani supereranno il miliardo ed entro il 2050 arriveranno a 2 miliardi, il 22% della popolazione mondiale. In Italia è già così: oggi gli italiani sopra i 65 anni sono il 22% della popolazione (nel 1960 erano il 9%; nel decennio successivo raggiungono l’11%; nel 1980 il 13%, il 16% nel 2000 e nel 2016 il 22%, ossia 13,4 milioni di abitanti). L’Italia è il primo Paese al mondo in cui il numero degli ultrasessantenni (16%) ha superato quello dei ragazzi con meno di 15 anni (15%).

Se si considera il forte calo delle nascite, ci troviamo di fronte a un processo di “de-giovanimento” piuttosto che di invecchiamento. In tutti i Paesi ricchi gli anziani aumentano grazie all’allungamento della vita, i giovani diminuiscono a causa della denatalità. Basti pensare che all’inizio degli anni Novanta i 15-24enni erano quasi il doppio rispetto ai 65-74enni; mentre oggi le due fasce si equivalgono e rispetto alla media europea gli under 25 italiani sono meno del 25%, contro il 30% di molti altri Paesi.

Per quanto riguarda il futuro, in Italia, le proiezioni mostrano un futuro divaricato: entro il 2065 la popolazione calerà di circa sei milioni e mezzo. Già ora le nascite non bastano a compensare le morti e il saldo tra le une e le altre aumenterà sino a raddoppiare nel medio termine. Non solo. La popolazione residente è destinata a ridursi progressivamente fino a raggiungere un -10% rispetto a oggi: saremo circa 54 milioni, mentre la longevità andrà alle stelle.

Oggi in Italia gli uomini toccano in media gli 86 anni, le donne per la prima volta superano i 90, contro gli 80,6 e gli 85 del 2016. Tra pochi decenni, gli over 65 saranno presto il 34% della popolazione. I dati Istat aggiungono: «L’invecchiamento della popolazione è da ritenersi certo e intenso… Si prevede un picco di invecchiamento che colpirà l’Italia nel 2045-2050, quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%.

Parallelamente, la popolazione in età attiva oscillerebbe tra il 53 e il 56%, mentre i giovani fino a 14 anni tra il 10,4 e il 13,4%». È nota la vignetta che ritrae un solo bambino che sostiene due genitori, i quali, a loro volta, sostengono quattro nonni e, perché no?, anche qualche bisnonno.

Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.

© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano



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