Skip to main content

Phisikk du role – La Leopolda e il partito di Ferragnez

Mentre Matteo Renzi dalla Leopolda punta le vele verso l’Isola che non c’è del centro liberal-democratico, ci sarebbe un partito che vale 36 milioni e mezzo di followers in due, quello dei Ferragnez. Se portassero al voto anche solo un terzo dei loro followers farebbero numeri da Democrazia cristiana dei tempi d’oro

A usare le antiche chiavi per interpretare quel che accade in politica Renzi resterebbe il protagonista più dotato di tutti. Volendo prendere un modello ad ogni costo non viene, però, in mente nulla che abbia a che fare con la democristianeria d’antan, a cui pure parrebbe iscriversi, ma il socialistissimo Bettino Craxi. Il suo gusto per la dimensione ludica della politica, iscritta a forza nelle categorie della teoria del gioco, il suo farsi Ghino di Tacco, in chiave interdittiva ma anche di proposta antagonista e laterale, l’attenzione alla spettacolarità quasi scenografica degli eventi, la passione per gli orizzonti internazionali con ricaduta medio-orientale (oddio, per Craxi più mediterranea, con qualche scivolamento verso la Palestina, per Renzi totalmente arabica), il suo rincorrere la maschera dell’”antipatico” costeggiando pericolosamente i confini dell’arroganza, fanno di Matteo R., mutatis mutandis, ciò che in natura oggi si presenta più simile a Bettino C. Inteso come complimento, non c’è dubbio.

Al netto, naturalmente, del gusto tutto fiorentino della battuta urticante che nella prosa craxiana diventava qualcosa di solenne e di definitivo. Ma erano altri tempi ed altre prose. Tuttavia, pur convenendo sulla notevole esuberanza dell’ancor giovane leader di Italia Viva e sulla sua capacità di riprodurre gli schemi tattici della politica così come andava di moda una volta, resta da domandarsi se quegli schemi oggi possano ancora funzionare oppure no. Quello che sembra emergere dalla Leopolda, a parte un pizzico di nostalgia per le assemblee dell’ascesa – si torna a casa a cercare il calore dei compaesani nei momenti difficili – è la distanza dai destini del centro-sinistra di Letta e Conte ed una riaffermazione della volontà di assumere un’ iniziativa pronta a puntare le vele verso l’Isola Che non c’è del centro liberal-democratico eccetera eccetera. È un topos ormai celebrato della retorica politica da quando è morta la Dc (per deliberazione del suo Consiglio Nazionale, nel 1994), partito di centro per antonomasia, sostantivo che non aveva bisogno di aggettivi stampella (destra/sinistra) per stare in piedi da solo. Politicamente lo spazio ci sarebbe, non c’è dubbio: basterebbe dare progetto, gambe, braccia e, soprattutto, faccia al magic moment della borghesia benpensante che guarda a Draghi come ad un modello di serietà e competenza al potere. Ma Draghi ovviamente non è giocabile come capo di partito e, dopo trent’anni, il leaderismo ha preso il posto del progetto e dell’organizzazione politica. E dunque chi fa il leader degli spezzoni berlusconiani, renziani, calendiani, boniniani e di tutto il pulviscolo stellare che si affaccia in quest’area, ammesso che si riesca a raccordare? I centristi, si sa, sono persino più litigiosi ed egolatri della sinistra (che ha una bella tradizione di conflitti).

Nel frattempo, che è un tempo con dominanza emozionale, s’affaccia il partito della premiata coppia Ferragnez, 36 milioni e mezzo di followers in due. Chi fa sorrisetti rischia di non aver compreso come butta oggi la scelta politica tra le giovani generazioni. Cioè: non butta, non vanno a votare. Ma poniamo che davvero in questa pazza scena pubblica attuale, anche soltanto un terzo dei seguaci della famiglia più cliccata d’Italia si decidesse a lasciare nell’urna la sua preferenza per una lista Ferragnez, e magari mettiamo che anche una parte degli elettori in fuga dai Cinque Stelle lo faccia: sarebbero più di 12 milioni di voti, roba da Democrazia cristiana dei tempi d’oro. Per fare un paragone i Cinque Stelle nel boom del 2018 portarono a casa 10,9 milioni di voti facendo il risultato più clamoroso di tutti: quasi il 33 per cento dei voti e 338 parlamentari. Tra l’altro con un Parlamento ridotto a bonsai oggi l’effetto maggioritario sarebbe molto netto. Non dico che il Ferragnez avrebbe l’autosufficienza per governare, ma, insomma, tutto può essere. Forse è il caso di farci un pensiero. Laico.


×

Iscriviti alla newsletter