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F-35 sul Cavour, l’osmosi che fa bene alla Difesa. L’opinione del gen. Tricarico

La riflessione del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, sull’appontaggio di un F-35B dell’Aeronautica militare su nave Cavour, “un momento storico” per diverse ragioni

Gli storici militari di casa nostra dovrebbero annotare con cura quello che è accaduto ieri, 21 novembre, nel tratto di mare tra Sicilia e Grecia, di fronte al golfo della Sirte. Un F-35B dell’Aeronautica militare è appontato intorno alle 14 sul Cavour, sotto gli occhi compiaciuti dei vertici delle rispettive Forze armate. Una vera svolta a 180 gradi se si pensa che l’episodio si inserisce in un quadro di precorsi rapporti ampiamente destabilizzati, sulle cui colpe conviene non rivangare, archiviando – auspicabilmente a tempo illimitato – un clima ormai irrespirabile troppo teso.

Sotto il profilo personale, l’esultanza per l’accaduto è ancora più giustificata e gratificante laddove si pensi che, poco più di un anno fa, dalle pagine dell’Huffington Post, soprattutto in un pezzo titolato “F-35B. Un caccia in giallo/verde?”, manifestavo l’auspicio che, con le buone o le cattive, le due Forze armate potessero siglare un patto di collaborazione, paragonando – da qui il titolo dell’articolo – lso scenario militare a quello politico del momento, dove due forze tutt’altro che affini, Lega e Cinque stelle, si erano accordate loro malgrado per sedere insieme al governo. L’auspicio di oggi è che l’accoppiata GorettiCredendino abbia vita più lunga, serena e proficua di quella di SalviniDi Maio.

Traducendo in attualità il percorso iniziato ieri al largo della Sirte, possiamo finalmente affermare che l’Aeronautica non riceverà più quindici F-35B, né che la Marina ne avrà altrettanti, ma che una flotta di trenta velivoli sarà assegnata alla Difesa del Paese per l’edificazione di una credibile capacità di proiezione della componente aerea. Le piste di volo corte, così come i ponti delle navi, saranno le strutture operative dalle quali la componente integrata a decollo corto e atterraggio verticale potrà operare senza distinzione del colore dell’uniforme dei piloti. Un’osmosi operativa, inoltre, che potrà assecondare l’irrobustimento dello spessore professionale di ambedue le Forze armate, come purtroppo non è accaduto sinora anche in contesti più abbordabili. Senza parlare, sempre in prospettiva, della inevitabile fruizione comune delle attività e delle strutture non operative e delle conseguenti cospicue economie di scala.

Il fatto che i velivoli italiani abbiano operato anche dalla portaerei britannica Queen Elizabeth, nel contesto di un’operazione congiunta, assume poi un’importanza di maggiore rilievo in senso assoluto, anche se messa in ombra dalla soddisfazione legata al risultato domestico e alla inedita interoperabilità tra Aeronautica e Marina. Mentre a Bruxelles, infatti, ancora si discute di Strategic compass, ossia mentre l’Europa cerca ancora la sua rotta per approdare a una identità comune, le cose accadono e l’emblematicità di quest’ultima non è cosa da poco per ricordarci che la costruzione dal basso, tassello dopo tassello, è una strada che porta frutti e che non è stata sufficientemente battuta, nell’intestardimento velleitario di calare tutto dall’alto.

Pare di tutta evidenza che Gran Bretagna e Italia, con quattro Forze armate impegnate nell’assolvimento di una missione, possano essere riguardate come l’embrione di una capacità europea di proiezione della forza, come un obiettivo da cogliere insieme, laddove nessuno dei Paesi membri da solo potrebbe arrivarci senza sottrarsi a un bagno di sangue. Quindi va bene la bussola, e gli Stati maggiori continuino a lavorarci, senza perdere però di vista la possibile edificazione di singole capacità comuni, soprattutto quelle assenti all’appello, che fin d’ora sia possibile concepire e organizzare. Quando poi la politica dovesse chiamare perché fuori dal perenne guado, sarà più agevole intervenire subito con quel che serve e finalmente insieme.


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