Sostenere che le circostanze mettano più volte nel corso della nostra vita ognuno di noi nella condizione di dover prendere decisioni non è un’opinione, bensì un fatto. È possibile affermare che la vita stessa sia un susseguirsi di decisioni a volte liberamente prese, ovvero frutto di un meditato ragionamento o dettate dall’istinto e dal sentimento, altre volte imposte da terzi alle quali siamo costretti, per opportunità o convenienza, a sottometterci pur non condividendole. In ogni caso, attraverso le nostre decisioni, operiamo delle scelte: quelle passate hanno contribuito a realizzare il presente di ognuno di noi e quelle future disegneranno il nostro domani. Grazie proprio alle scelte fatte, negli anni accumuliamo quel bagaglio di conoscenza, esercizio e valutazioni delle nostre decisioni che è possibile definire in un’unica parola: esperienza.
Nella nostra sfera privata, utilizziamo tutti i giorni in modo più o meno consapevole l’esperienza acquisita mettendola a disposizione di noi stessi, dei familiari, dei collaboratori o del datore di lavoro, nell’auspicio che ciò possa essere di aiuto e beneficio, oppure esempi da evitare, nel prendere nuove decisioni, ponendo quindi i migliori presupposti delle scelte che ne conseguiranno. In altre parole, è quello che ci induce a progredire, cioè a renderci migliori nei rapporti con gli altri ed a migliorare la qualità della nostra vita.
In particolare, nel solo ambito della sfera lavorativa, partendo dalla base di una adeguata formazione fornita dalla scuola e dall’università, sono proprio le esperienze dirette in un determinato settore a fornirci quelle competenze specifiche che usiamo poi chiamare professionalità. Tale termine è certamente tra le parole più usate e spesso coccolate, soprattutto negli ultimi anni di crisi e recessione, da chi si occupa a vario titolo di lavoro, economia e di processi produttivi: tutti sono concordi nell’affermare che la professionalità sia il fattore determinante per il successo di una impresa, un valore al quale ispirare tutta l’organizzazione aziendale. Giustamente.
È curioso notare come queste due parole, esperienza e professionalità, abbiano assunto carattere di secondaria importanza quando invece si tratta di un mestiere che riguarda ed interessa il presente ed il futuro di tutti i cittadini: quello del politico professionista. Per certi versi, diventano addirittura fattori negativi e valutati come minus allorché si è chiamati al voto. Certo, riferendosi agli esempi passati, è facile l’obiezione che non sempre i “nostri” politici siano stati campioni di professionalità: anzi la storia ci insegna come più e più volte abbiano esercitato la professione con un occhio particolare al proprio tornaconto personale invece che con la giusta attenzione e spirito di sacrificio per l’interesse collettivo.
Ciò nonostante, il pericolo di generalizzare – e svilire così la decisione di un individuo di dedicarsi professionalmente al mestiere di politico ed alla vita pubblica – può provocare effetti ancora più gravi. Come nella sfera privata, anche nello sviluppo della carriera politica, la professionalità deve essere il risultato di una specifica esperienza quotidiana che parta dai più semplici consigli di zona, sviluppandosi via via a quelli comunali, provinciali, regionali per arrivare a Roma ed in Europa. Solo un percorso di questo tipo, che parte dalla gavetta, basandosi poi sulle caratteristiche di merito e capacità individuali, con una evoluzione dei ruoli che possa consentire loro di essere efficaci nei confronti, – non solo delle situazioni da affrontare – prendendo appunto le decisioni corrette e facendo le giuste scelte, può renderli forti e determinati rispetto a quelle figure granitiche ed inamovibili che sono i burocrati di Stato nelle pubbliche amministrazioni, ancora più “liberi” di far danno tessendo fili invisibili che inevitabilmente legano lo spirito riformista quando il politico di riferimento non è sorretto da esperienza e competenza, ovvero dalla professionalità del suo mestiere.
Ricordando un certo statista, Alcide De Gasperi, il quale confessò alla moglie che non sarebbe stato capace di fare altro mestiere nella vita che non il politico, viene da chiedersi quanti, tra gli attuali parlamentari provenienti dalla cosiddetta società civile, abbiano mai fatto parte di un consiglio o firmato una delibera comunale, per non parlare poi di quanti abbiamo mai svolto un ruolo da amministratore pubblico, assessore o sindaco di un comune. E quanti, al contrario, siedono su quegli scranni o nelle commissioni solo perché “miracolati” da un novello demiurgo o dalla disponibilità del proprio portafoglio? Chissà…