Pubblichiamo un estratto di “Quirinal Games. Come si elegge un Presidente. Forse” (Palomar), il libro di Pino Pisicchio, accademico, saggista e politico, sei volte deputato e una europarlamentare. Un romanzo di fantasia, ma con la politica vera, scritto da chi ha partecipato a 4 elezioni del Presidente della Repubblica
Camera dei Deputati, corridoio dei Presidenti. Roma, venerdì 21 gennaio 2022
“La cosa curiosa è che in questa partita del Colle i grandi elettori delle Stelle potrebbero dare le carte con i numeri che hanno in Parlamento e invece dovranno fare la parte di quelli che vanno a guardare le carte degli altri…” Bruno Verba, settantacinque anni tenuti con qualche difficoltà tra denti tremuli, ex deputato e agli albori della seconda Repubblica ricordato per la decorata attitudine alla transumanza destra-sinistra, para-lobbista e mediatore d’affari (suoi), in realtà senza un preciso mestiere, commentava così un pizzino che qualcuno gli aveva allungato sotto il naso. La mano col pizzino era di Ciro Volo, giornalista parlamentare di lungo corso, editore e unico redattore di un’agenzia stampa online, NCP, Nuove Cronache Parlamentari. Bruno e Ciro s’allungavano come odalische (eunuche) di Jean-Auguste-Dominique Ingres sul divano di pelle della Galleria dei Presidenti, con mascherina anticovid obbligatoria in modalità “reggimento”.
Il Transatlantico, da mesi confiscato dai questori per consentire l’esondazione delle postazioni d’aula verso le terre emerse dell’operoso passeggio verso la buvette temporaneamente fuori gioco, era ormai off limits. Trovare posti liberi sotto l’occhiuta sorveglianza dei ritratti presidenziali nel corridoio parallelo e lontano, da qualche tempo luogo ufficiale d’incontro dei lobbisti patentati, era stato un terno al lotto. Ciro aveva fatto un po’ di conti per dare un senso a quella specie di gioco divinatorio che i giornalisti mettono in scena per il (supposto) voyeurismo del popolo alla vigilia delle elezioni presidenziali: chi vince la lotteria del Quirinale? Intanto aveva allineato i soldati in campo iscritti ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, raggruppandoli per macro-aree politiche: destra, sinistra, altri oscillanti e, a parte, i 58 delegati regionali, non ancora totalmente identificabili per tribù di appartenenza.
In alto a destra aveva poi messo dei numeri: 673 e 506, l’obiettivo finale dei voti necessari per eleggere alle prime tre “chiame” e dalla quarta in poi, secondo il dettato costituzionale. Dopo aveva sommato i numeri delle truppe per affinità “coalizionali”. La sinistra, formata dalle Stelle al netto dei transfughi, dai Democrat, Sinistra/Sinistra e altri vari – iscritti al Gruppo Misto e qualche ex stellato trasmigrato, faceva 443; la Destra dei Giussaneti, Sorelle d’Italia, Liberalmoderati, e varia umanità – sempre Mista – 409. Gli altri, il grosso degli ex stellati che non si sapeva come classificare, 98. A parte, poi, i 58 regionali. “Così non funziona, non ci arriverai mai pensando a blocchi omogenei”, commentò l’ex deputato. “Infatti non penso a grandi elettori che si muovano per appartenenze politiche – rispondeva Verba – la logica di questa elezione le supera. Penso solo alle forze allineate ai blocchi di partenza. E a quanto ha mischiato le carte la presidenza Draghi. Mancano tre settimane al voto: ne vedremo delle belle…”.
I Presidenti della Camera dalla Costituente ai giorni nostri, che si mostravano allineati nell’ultima parte del corridoio, lato posta, li guardavano sussiegosi. Qualche ineffabile sorriso lo facevano Gronchi, Leone, Saragat, Pertini, Scalfaro, Napolitano. Dalla distanza di dieci metri occhieggiava, invece serissimo, De Nicola, che fu presidente di Montecitorio negli anni ‘20 (e del Senato nel ‘51). Sette Presidenti di assemblee parlamentari, cui andava aggiunto Cossiga, presidente del Senato. Otto capi dello Stato. Su dodici in totale. “Praticamente tolti Mattarella, Segni e i due Bankitalia Einaudi e Ciampi, vengono tutti dagli scranni più alti delle assemblee parlamentari”, osservò, con increspatura del labbro sorniona, l’ex giornalista.