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Chi sono i Fratelli musulmani nel mondo arabo

A Gaza Hamas, in Yemen Al-Islah, in Turchia Apk. Cns in Siria. Forze politiche con percorsi distinti tutte però segnate dall’esperienza dei Fratelli musulmani. Alcune al potere altre all’opposizione. Tutte però costrette a fare i conti con i cambiamenti innescati dalla primavera araba. Alla vigilia della possibile vittoria dei fratelli egiziani ecco il percorso delle altre forze islamiste mediorientali.
 
Siria
Un quarto del Cns, il Consiglio nazionale siriano, principale forza di opposizione al regime di Assad, si richiama alle dottrine della fratellanza. Difficile dire però se e come queste correnti saranno in grado di cogliere i frutti di quanto avverrà a Damasco. I “fratelli siriani” hanno forti limiti con cui fare i conti. Due soprattutto. Non sono l’unica forza islamica di opposizione e non sono mai stati alla testa degli avvenimenti iniziati nel marzo 2011. Qualche asso nella manica la fratellanza siriana però c’è l’ha. Fondato nel 1946 alla fine del mandato francese il Cns è la più antica forza di opposizione del paese. A differenza della casa madre egiziana i siriani sono diretti da un controllore generale e non da una guida suprema, una differenza che rappresenta anche la fine dei legami gerarchici tra le due strutture.
Da tempo costretti a vivere nella clandestinità, se scoperti i militanti rischiano la pena di morte, i fratelli siriani sono abituati alla disciplina e al lavoro militante. Hanno dei solidi legami all’estero, soprattutto nei paesi del Golfo persico e in Turchia, senza dimenticare la diaspora. Usa, Gran Bretagna e Germania, questi i paesi dove in molti si sono rifugiati numerosi dopo la repressione degli anni ’80 e il massacro di Hama del 1982.
Mancata conoscenza della situazione in patria causata dall’esilio. Età avanzata dei propri dirigenti. Rivalità interne tra fazioni, soprattutto tra Alep e Hama. Questi handicap sommati a una strategia politica ondivaga, nel 2009 il Cns ha cercato la riconciliazione con Assad, hanno reso diffidente l’organizzazione agli occhi dell’opinione pubblica nazionale. I recenti pronunciamenti a favore di società civile, stato demilitarizzato e libertà di culto, sono i primi passi con i quali la fratellanza siriana cerca di riguadagnare la fiducia dei ceti più dinamici di Damasco.
 
Yemen
Partito islamista Al-Islah, congregazione yemenita per la riforma. La sua personalità politica più nota è Tawakul Karman, premio Nobel per la pace 2011 e figura di spicco durante i moti di Piazza del Cambiamento. La fratellanza yemenita, fondata nel 1990 e attualmente diretta da Mohamed Al-Yadoumi, ha svolto un ruolo minore nell’organizzare le rivolte che hanno portato alla cacciata del presidente Saleh. Le posizioni del movimento sempre improntate alla moderazione hanno privilegiato le soluzioni negoziate col potere. Soprattutto l’approccio riguardo sul destino politico del capo dello stato ha contrapposto i fratelli yemeniti all’ala più radicale del movimento che voleva mettere alla sbarra il potere trentennale di Saleh. La moderazione è una caratteristica sia della storia del movimento, fasi di opposizione si sono alternate alla partecipazione al potere, che della sua composizione eterogenea. Al-Islah è nasce amalgamando le potenti tribù locali federate tra loro, i Fratelli yemeniti, con correnti islamiche salafiste. Oggi Al-Islah fa parte della coalizione governativa messa in piedi da Abd Mansour Hadi, nuovo presidente del paese eletto a febbraio con mandato biennale.
 
Palestina
Si dimentica spesso che le ondate rivoluzionarie del mondo arabo contemporaneo sono iniziate proprio dalla Palestina. Le elezioni legislative organizzate nel 2006 nei territori occupati rappresentano non solo il primo successo elettorale dei fratelli musulmani, ma anche il principio della fine del monopolio di Fatah sulle istituzioni palestinesi. Fondato nel 1987, il movimento della resistenza islamica Hamas, è stato alla base di un terremoto politico le cui scosse di assestamento hanno raggiunto tutto il mondo arabo. Due anni dopo la vittoria elettorale Hamas reagendo alle pretese egemoniche di Fatah si impadronisce con un colpo di stato della strisca di Gaza. Un successo solo apparente però visto l’isolamento del movimento. Il blocco economico e finanziario portato avanti da Usa, Ue e Israele e l’intervento militare effettuato dallo stato ebraico nell’inverno 2009 hanno messo in ginocchio la strategia di Hamas. Il movimento non può più essere il motore del “welfare state” islamico di Gaza. Timorosi di perdere il potere i fratelli hanno lentamente rinunciato a gran parte dei pilastri della propria dottrina scivolando lentamente nel ruolo di semplici amministratori di Gaza. Un percorso non molto diverso da quello di Fatah in Cisgiordania. Per uscire dall’isolamento Hamas spera ora nella crescita dei “colleghi” mediorientali. Da qui la scommessa fatta da Khaled Meshal. Il responsabile dell’ufficio politico di Hamas ha abbandonato il suo protettore, il siriano Bachar Al-Assad, per mettersi all’ombra del Qatar, stato sunnita e cassaforte delle rivolte arabe. La presidenza islamista in Egitto sarebbe l’altro tassello con cui Hamas cercherà di tornare sulla cresta dell’onda e rovesciare i rapporti di forza interpalestinesi.
 
Giordania
Il 7 maggio la vittoria di Hamman Saeed, confermato alla testa dei Fratelli musulmani giordani, ha sanzionato il successo dei falchi del movimento. Un contrappeso moderato i fratelli giordani lo hanno trovato in Hamza Mansour, segretario generale del Fronte d’azione islamico. Il leader del braccio politico dell’organizzazione è una personalità in grado di tenere a bada il radicalismo di Zaki Bani Ershed. Il movimento islamista giordano è però spaccato in due tronconi. Il primo vuole forti riforme politiche, soprattutto una nuova legge elettorale, senza cercare cambiamenti di regime. Il secondo, più vicino ad Hamas, punta invece alla monarchia costituzionale. I limiti delle due correnti? Senza il re Abdallah II l’equilibro etnico del paese, tribù transgiordane e giordani di origine palestinese, salterebbe minando la stabilità della Giordania.
 
Algeria
Algeri rappresenta l’eccezione tra i sommovimenti della primavera araba. Assenza di movimenti di piazza e il 10 maggio elezioni senza grandi ondate islamiste hanno infatti caratterizzato il panorama politico del paese. Un disincanto dovuto al decennio di guerra, tra i 100mila e i 200mila morti, seguito alla vittoria “mutilata” del Fronte islamico, Fis, nel 1991. Dopo la vittoria del Partito per la giustizia e lo sviluppo in Marocco e quella di Ennahda in Tunisia, gli islamisti algerini sperano nel contagio proveniente dai paesi vicini. Queste formazioni politiche hanno infatti raccolto i frutti della rivoluzione e dei movimenti di contestazione, nati senza il loro contributo, e ora si confrontano ognuno a modo loro con l’esercizio del potere. Se la Tunisia è di fronte a una esperienza inedita in un contesto realmente democratico, in Marocco il processo è gestito dalla monarchia.
 
Turchia
Quello di Ankara è un modello di successo ma difficilmente esportabile. Il decennio di governo del partito turco per la giustizia e lo sviluppo, Akp, del primo ministro Recep Erdogan è infatti punto di riferimento di ogni islamista moderato. Il percorso del partito turco che si definisce più conservatore che islamico, non sembra però ripetibile in condizioni storiche differenti. L’ Akp è nato infatti dall’unione tra l’ala moderata e riformatrice del Partito della virtù di Necmettin Erkaban, vicino ai Fratelli musulmani arabi, e il movimento sufi di Fethullah Gulen. Fatto ancora più significativo la Turchia è uno stato profondamente secolare la cui laicità porta il nome di Kemal Ataturk, padre della nazione dopo il crollo dell’impero ottomano. Questa visione dello stato è stata recentemente rivendicata nel settembre 2011 proprio al Cairo. Con una nettezza che è quanto di più lontano vi possa essere dalla Fratellanza egiziana. Il movimento che nel proprio atto di nascita afferma di voler ricostituire il califfato ottomano.


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