L’ex ministro andreottiano, Paolo Cirino Pomicino, ha dichiarato : «Di Pietro mi chiese: È vero che Giorgio Napolitano ha ricevuto soldi da lei? Io risposi che non era vero, ma lui insisteva. Guardi che c’è un testimone, un suo amico, che lo ha confessato. Se l’ha detto, ha detto una sciocchezza, perché non è vero, risposi io. E, infatti, la confessione era finta, me lo rivelò lo stesso Di Pietro poco dopo : un tranello per farmi dire che Napolitano aveva preso una tangente. Ma si può gestire la giustizia con questi metodi?”.
La stessa tesi falsa, cioè che Napolitano, allora presidente della Camera, esponente Pds dell’ex area migliorista Pci, avesse ricevuto dei fondi, per sé e per la sua corrente, col tramite dell’ex ministro democristiano, Pomicino se la ritrovò davanti in un altro interrogatorio, stavolta a Napoli. «Il pm era il dottor Quatrano (nel 2001 partecipò ad un corteo no global e l’allora Guardasigilli, il bossiano Roberto Castelli, promosse un’azione disciplinare, ndr). Mi fece incontrare una persona amica, agli arresti, anche lì per farmi dire che avevo dato a Napolitano e alla sua corrente delle risorse finanziaria».
La ragione di quel passaggio di soldi a Napolitano, mai verificatosi ma da confermare a tutti i costi anche col tranello della finta confessione di un amico (uno dei trucchi dell’ex poliziotto Di Pietro, «altre volte dicevano che, se parlavamo, avremmo avuto un trattamento più mite»), per Cirino Pomicino è tutta politica: «Obiettivo del disegno complessivo era far fuori, dopo la Dc e il Psi, anche la componente amendoliana del Pci, quella più filo-occidentale, più aperta al centrosinistra. Tenga presente che a Milano fu arrestato Cervetti, anch’egli della componente migliorista di Giorgio Napolitano, e fu accusata anche Barbara Pollastrini. Entrambi poi scagionati da ogni accusa». Ha concluso “‘o ministro” napoletano: «Sono allibito che il “Corriere della Sera” abbia dato spazio alle ricostruzioni false, raccontate da Di Pietro. Ho anche mandato un sms a de Bortoli, ma quel che gli ho scritto sono cose private». «Di Pietro dice che Gardini si uccise con un moto d’impeto, e che lui avrebbe potuto salvarlo, arrestandolo il giorno prima. Io credo che Gardini si sia ucciso per il motivo opposto», forse perché era chiaro che, di lì a poche ore, sarebbe stato arrestato.
Anche Luigi Bisignani, l’«Uomo che sussurra ai potenti» (bestseller Chiarelettere con Paolo Madron), braccio destro di Gardini alla Ferruzzi, conferma questa lettura: «Raul Gardini si suicidò perché la Procur aveva promesso che la sua confessione serviva per non andare in carcere, ma invece scoprì che l’avrebbero arrestato».