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L’Italia verso il nuovo Concetto strategico Nato. I tre punti caldi

Di Fabrizio Coticchia

Difesa degli interessi nazionali, avvio di una riflessione istituzionale strutturata dopo l’Afghanistan e fine delle ambiguità con regimi autoritari. La roadmap secondo il professor Fabrizio Coticchia (Università di Genova)

Il testo è un estratto del documento “Verso un nuovo Concetto strategico della NATO. Prospettive e interessi dell’Italia” del Centro Studi Geopolitica.info

Tradizionalmente, l’immagine dei “tre cerchi” della politica estera italiana (atlantismo, europeismo e Mediterraneo) ha ben illustrato il quadro nel quale per decenni l’azione internazionale dell’Italia si è sviluppata, nel complesso gioco a due livelli derivante dalla dinamica interazione tra fattori globali e interni, fra vincoli e opportunità. L’instabilità internazionale, tra nuove minacce ed il ritorno ad una competizione strategica in un ambiente non più unipolare, richiede quindi di avviare – parallelamente ad alleati e a framework multilaterali – sia una riflessione dettagliata rispetto alle future scelte da compiere nell’ambito della Difesa che un conseguente processo di adattamento e trasformazione di approcci, strutture e capacità.

Nell’intricata strada verso il nuovo Concetto strategico della NATO, urge allora interrogarci rispetto alle prospettive, alle esigenze e agli interessi dell’Italia. Sebbene appaia evidente che l’Alleanza Atlantica continuerà a svolgere un ruolo centrale per la futura Difesa italiana, occorre domandarci quale sarà il ruolo che l’Italia intende svolgere in un contesto segnato – da un lato – da una crescente tensione internazionale e – dall’altro – dal potenziale sviluppo di una maggiore “autonomia strategica” europea.

(…) L’elaborazione di un nuovo Concetto strategico rappresenta un momento rilevante per l’Alleanza ed i suoi membri, in un contesto segnato da forte instabilità ed incertezza a livello internazionale. Dal precedente documento del 2010 e dai task principali che esso delineava per la NATO (deterrenza e difesa, crisis management, sicurezza cooperativa) le cose sono molto cambiate, tra l’invasione russa della Crimea, il disastro in Libia e Afghanistan, la crisi della democrazia liberale e gli shock causati da Trump e dalla Brexit, e la crescente rivalità sistemica con attori come Mosca e Pechino. L’Italia, che vede gli sviluppi della Difesa UE in ottica complementare e sinergica all’Alleanza, ha delineato il Mediterraneo Allargato come area di priorità strategica, riposizionandosi di conseguenza nello scenario regionale ed internazionale, e rilanciando l’Industria nazionale della Difesa. Nelle parole del “Concetto strategico del Capo di Stato Maggiore”, l’Italia deve continuare ad adattare il proprio strumento militare al fine di garantire il proprio contributo alla difesa collettiva.

A fronte di tali prospettive nazionali, possiamo, in conclusione, mettere in evidenza tre aspetti che richiedono precipua attenzione.

Il primo attiene alla definizione stessa degli interessi nazionali che l’Italia difende con la propria politica di difesa, anche attraverso la partecipazione alla NATO. Sebbene sia, per esempio, chiara e netta la centralità strategica attribuita al Mediterraneo Allargato, non lo sono altrettanto gli interessi che il Paese difende. In un contesto culturalmente e politicamente segnato dalla rimozione del concetto di interesse nazionale, la perdurante assenza di una Grand Strategy nazionale (così come di una struttura simile al National Security Council statunitense) rappresenta un vulnus che deve essere ancora risolto. Il parlamento, attore spesso ai margini delle decisioni di politica estera e di difesa italiana, deve riacquisire assoluta centralità, favorendo un più ampio dibattito pubblico sugli interessi (che appunto non sono dati ma vanno definiti, al netto di vincoli e risorse) e le scelte da compiere.

Il secondo elemento riguarda la pressante necessità – al termine di decenni di costante impegno militare nazionale (in moltissimi casi all’interno del framework prediletto dalle nostre forze armate, cioè la NATO) – di avviare una riflessione istituzionale strutturata (assieme a accademia, centri di ricerca, società civile, Esteri e Difesa) relativa alle lessons learnt dal terreno. Il drammatico epilogo dell’intervento in Afghanistan non può essere dimenticato così come le lezioni apprese in venti anni di presenza nel Paese. Una replica (si pensi al Sahel) di approcci semplicemente volti a rafforzare attori di sicurezza in contesti politicamente fragili e del tutto privi di legittimità è destinata ad un nuovo fallimento. Gli attori politici italiani ed europei sono consapevoli che tale politica, basata primariamente sulla dimensione militare, non ha portato e non può portare ad obiettivi di stabilizzazione nel medio e lungo periodo senza un rafforzamento della governance locale. Tale consapevolezza è cruciale per affrontare la complessità della sfida.

Infine, se l’Alleanza rappresenta davvero una “comunità di valori”, come espresso frequentemente dai policy makers (italiani e non solo), non possono essere tollerate ancora a lungo le ambiguità e le connivenze con regimi autoritari che si macchiano di costanti e gravi violazioni di diritti umani (anche a danno degli stessi cittadini italiani), minando in tal modo la stessa credibilità delle scelte politiche, delle istituzioni che le adottano e degli attori che le giustificano.


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