Alcuni studi analizzati dal prof. Giuseppe Pennisi sulla questione del risparmio e dell’inflazione, sia un Usa sia in Europa. Perché l’inflazione prima di tutto si autoalimenta tramite le aspettative
Domenica 19 dicembre, il più diffuso quotidiano economico italiano intitolava la “prima” (a tutta pagina): Risparmio, l’inflazione mette a rischio un terzo dei depositi e dei conti correnti. L’articolo (unitamente a servizi e commenti sul tema) si sviluppava su tutta la seconda e la terza pagina. Si basava su proiezioni secondo cui le pulsioni inflazionistiche degli ultimi mesi sarebbero durate per i prossimi dieci anni, falciando così il risparmio non investito o non gestito appropriatamente. Tutto corretto. Tuttavia, i lettori frettolosi (o non sufficientemente esperti nella materia) sarebbero potuti cadere facilmente nella trappola di coloro che con le loro aspettative tengono acceso il fuoco dell’inflazione. L’inflazione, infatti, si autoalimenta tramite le aspettative.
Uno studio di Narayana Kocherlakota, che è stato presidente della Federal Reserve Bank of Minneapolis ed ora insegna alla Università of Rochester conclude che le fasce a basso reddito temono l’inflazione più delle fasce ad alto reddito, specialmente se queste ultime hanno destrezza con i mercati finanziari e sanno di potere fare utili in un contesto inflazionistico.
Ci sono, poi, marcate differenze per fasce di età. Gli anziani temono l’inflazione più dei giovani e tendono ad estrapolare nel medio e lungo termine tendenze anche di breve termine per due ragioni: vivono di reddito fisso (per lo più pensioni) ed hanno il ricordo della grande inflazione degli anni Settanta ed Ottanta. Negli Stati Uniti, le differenze sono considerevoli a seconda del partito politico di appartenenza. Uno studio fatto da università tedesche e svizzere rivela che quando Obama entrò alla Casa Bianca negli Stati a prevalenza “repubblicana”, le aspettative inflazionistiche erano mezzo punto percentuale più alte che negli Stati a prevalenza “democratica”, ma si ridussero di tre quarti di un punto percentuale quando Trump diventò Presidente. Lo studio sottolinea il ruolo dei canali televisivi soprattutto delle Fox News. Sempre negli Stati Uniti, uno studio di un consorzio di Università ha raccomandato che le autorità monetarie che hanno annunciato da tempo l’obiettivo di un tasso d’inflazione del 2% l’anno (come quello, peraltro, della Banca centrale europea, Bce) ne adottino uno “flessibile” proprio al fine di agire meglio sulle aspettative inflazionistiche.
Nell’area dell’euro, l’indagine sulle aspettative dei consumatori (Consumer Expectation Survey-CES) è un nuovo importante strumento per analizzare il comportamento e le aspettative economiche delle famiglie dell’area dell’euro. Questa nuova indagine della Bce copre una serie di importanti aree di attualità, tra cui i consumi e il reddito, l’inflazione e la crescita del prodotto interno lordo, il mercato del lavoro, l’attività del mercato immobiliare e i prezzi delle case, i finanziamenti al consumo e l’accesso al credito. La Ces, che è stata lanciata come esperimento pilota nel gennaio 2020, è un sondaggio modulare a frequenza mista, condotto online. La struttura delle indagini e la raccolta centralizzata dei dati garantiscono la raccolta di informazioni quantitative e qualitative armonizzate sull’area dell’euro in modo tempestivo che facilita i confronti diretti tra Paesi.
Durante la fase pilota, è stato condotto per i sei maggiori Paesi dell’area dell’euro e conteneva 10.000 singoli intervistati. Il Ces raccoglie inoltre informazioni sulla fiducia complessiva nella Bce, sulla sua conoscenza dei suoi obiettivi e sui canali attraverso i quali apprende la sua politica monetaria e altri argomenti relativi alle banche centrali. Un documento pubblicato la settimana scorsa descrive le caratteristiche principali di questa nuova indagine della Bce – comprese le sue proprietà statistiche – e offre una prima valutazione dei risultati della fase pilota. Identifica inoltre una serie di aree in cui l’indagine può essere utilmente sviluppata ulteriormente. Nel complesso, l’esperienza con il Ces è stata molto positiva e si ritiene che l’indagine pilota abbia raggiunto i suoi obiettivi principali nel plasmare politiche monetarie che non alimentino aspettative inflazionistiche.
Tuttavia, come abbiamo sottolineato su questa testata, in questa fase la determinante principale degli aumenti dei prezzi in questi mesi sono le strozzature della catena dell’offerta. La Casa Bianca ha pubblicato uno studio di 250 pagine dal titolo “Building Resilient Supply Chains, Revitalizing American Manufacturing, and Fostering Broad-Based Growth”. ( “Costruire solide catene dell’offerta, rivitalizzare l’industria manifatturiera americana, e promuovere una crescita ad ampio raggio”). Il volume – ha rilevato Daron Acemoglu del Massachussets Institute of Technology – è un buon punto di partenza per un approccio multilaterale (non solo statunitense) al riassetto delle catene globali di offerta.
A mio avviso, né lo studio né l’analisi di Acemoglu tengono adeguatamente in considerazione un effetto inflazionistico di breve periodo: l’eccesso di scorte, e quindi di domanda, effettuato per timore di strozzature. Prendiamo il caso dell’industria automobilistica, che dipende dai chip prodotti in un paio di Paesi asiatici. Temendo, in vista della ripresa di consumi e di produzione, di non poter fare fronte alla domanda attesa, fa ordini per scorte maggiori, ed a prezzi più alti delle concorrenza all’interno del settore e rispetto ad altri comparti, attizzando così focolai di inflazione. Non ci sono rimedi di breve periodo, ma c’è l’aspettativa che il fenomeno si curi nel medio periodo anche prima del riassetto delle catene globali dell’offerta su base multilaterale.