Skip to main content

La riforma del calcio non è solo una questione di soldi

La Coppa del Mondo ogni due anni garantirebbe un Pil globale incrementale di oltre 180 miliardi di dollari e quasi 2 milioni di posti di lavoro permanenti aggiuntivi (Fte), con vantaggi socio-economici per i paesi in via di sviluppo. Gianluca Calvosa racconta lo studio di OpenEconomics commissionato dalla Fifa

Nella diretta da Zurigo, collegati i rappresentanti di 206 delle 207 associazioni e confederazioni della Fifa, il presidente Gianni Infantino ha presentato l’impianto generale della riforma del calendario internazionale del calcio aprendo ufficialmente il dibattito che porterà al voto del 31 marzo prossimo. Per il momento si tratta di una proposta, anticipata nelle scorse settimane dal grido di allarme della Uefa e di alcune Federazioni europee spaventate dalla prospettiva del cambiamento in una fase di incertezza generale, intorno alla quale la Fifa intende raccogliere il parere di tutti gli stakeholder con l’obiettivo di definire una sintesi che tenga conto degli interessi del comparto nella sua interezza.

Formiche.net ha parlato con Gianluca Calvosa, fondatore e managing director di OpenEconomics (nonché presidente della società che edita questo sito, ndR) del piano presentato alla Fifa per analizzare la riforma che vuole trasformare la Coppa del Mondo in un appuntamento biennale.

Chi ha seguito questo progetto di riforma?

Gianluca Calvosa – OpenEconomics

Insieme al team interno di Arsene Wenger, che ha disegnato le opzioni di modifica del calendario, e al supporto di Nielsen che ha sviluppato un’analisi articolata sul probabile riscontro di mercato e sul conseguente impatto finanziario per le federazioni, noi di OpenEconomics siamo stati chiamati da Fifa ad analizzare gli impatti socio-economici del progetto di riforma sia nei paesi ospitanti che nel sistema economico globale.

A questo scopo, il team di ricercatori coordinato dal prof. Pasquale Lucio Scandizzo, a valle di un’approfondita review della letteratura internazionale, ha realizzato uno studio sull’impatto economico del calcio (e della sua riforma) che, per ampiezza e profondità, non ha precedenti e consegna al dibattito pubblico una serie di valutazioni quantitative utili ad animare una discussione equilibrata e costruttiva, basata il più possibile su analisi scientifiche obiettive e attendibili.

Da dove siete partiti nella vostra analisi?

L’oggetto principale dello studio è la Fifa World Cup, che con gli oltre 4 miliardi di spettatori dell’ultima finale di Russia 2018 rappresenta di gran lunga l’evento di intrattenimento collettivo più grande al mondo, celebrazione capace di coinvolgere metà della popolazione mondiale.

Ma allora perché cambiare il format di un evento rimasto sostanzialmente invariato nella sua forma dalla prima edizione di oltre un secolo fa se è capace di un tale successo?

Su questo (almeno) sono tutti d’accordo: il mondo dell’intrattenimento sta cambiando e la pandemia ne ha accelerato l’evoluzione, e il calcio deve adattarsi a questo cambiamento ed innovare a sua volta se vuole continuare ad essere il re degli sport.

Parliamo del successo dello streaming, dei ragazzi che preferiscono gli e-games, degli stadi chiusi che hanno reso più difficile la vita dei tifosi?

L’avvento delle piattaforme ha cambiato lo scenario distributivo, le abitudini di consumo e i modelli di sponsorizzazione; gli sport non tradizionali e i videogames attirano masse di giovani verso modelli di intrattenimento più coinvolgenti, e l’esigenza crescente di uno sviluppo economico più sostenibile e inclusivo è diventata centrale in ogni industria. In questo contesto la domanda non è più se occorre cambiare ma piuttosto “come”. E la risposta non può che essere: aumentare la qualità del prodotto e rendere il segmento industriale più sostenibile.

Cosa dicono i numeri dal lato economico?

Le proiezioni finanziarie di Nielsen sembrano incoraggianti: +6 miliardi di dollari di ricavi per ogni ciclo quadriennale, cui corrispondono oltre 4,4 miliardi di profitti che FIFA distribuirebbe ai suoi soci attraverso premi e programmi di sviluppo (il Fifa Forward) per almeno un miliardo in aggiunta a quanto già versa, e mediante un fondo speciale da almeno 3,5 miliardi che darebbe ossigeno ad un comparto fiaccato dalla pandemia e metterebbe il calcio nel suo complesso al riparo da ulteriori rischi.

È solo per garantire maggiori ricavi?

No, la riforma proposta dal presidente Infantino assume una dimensione diversa e ben più ampia se si cambia punto di vista e si analizza l’impatto per la catena del valore e per il sistema socioeconomico nella sua interezza. E’ qui che entrano in gioco le stime di OpenEconomics. L’analisi si sviluppa su un arco temporale di 16 anni (un periodo adeguato a valutare gli effetti di una riforma strutturale) utilizzando un modello matriciale rappresentativo dell’economia globale e una procedura in linea con le prassi valutative delle principali istituzioni multilaterali.

Il risultato? Il nuovo calendario del calcio genererebbe un Pil globale incrementale di oltre 180 miliardi di dollari in valore attuale a un tasso di sconto del 4%, con una crescita dell’83% dai 100 miliardi di USD del calendario attuale. Tale crescita contribuirebbe a creare quasi 2 milioni di posti di lavoro permanenti aggiuntivi (Fte), con un aumento di circa 850.000 Fte dagli 1,1 milioni dell’attuale scenario pre-riforma.

Quindi i benefici non sarebbero solo per federazioni, industria del calcio, e paesi ospitanti?

Effetti ampi e diffusi a supporto di una crescita persistente dell’intera filiera produttiva e di uno sviluppo economico inclusivo e sostenibile sia nei paesi ospitanti sia nella comunità globale, con un maggior coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo. Il che è intuitivamente legato alla maggior frequenza delle competizioni internazionali e all’ingente volume di risorse attivate dagli investimenti in infrastrutture per l’ospitalità e i trasporti, dall’incremento dei consumi delle filiere attivare e dal reinvestimento dei significativi proventi da parte di Fifa, delle Confederazioni continentali e delle Federazioni nazionali.

Il calcio è in una fase di grande cambiamento, che è un modo gentile per dire che è in crisi. Questa mossa potrebbe aiutare anche i campionati nazionali che faticano a far quadrare i conti?

L’entità e la struttura di questi benefici della riforma non sono una semplice strategia di business ma il tentativo credibile e più ampio di compiere quel salto dimensionale e qualitativo necessario a traghettare il calcio in una nuova fase di sviluppo più equilibrato, sostenibile e inclusivo, e soprattutto compatibile con le esigenze concrete dell’attuale fase di ricostruzione dell’economia globale.

×

Iscriviti alla newsletter