La vittoria di Boric ha già provocato un terremoto nell’economia cilena che, come il resto dei Paesi latino-americani, dipende dalle materie prime. Riforma costituzionale, nuove politiche sociali, rapporti con il resto dell’America Latina: cosa attende il Paese secondo Camillo Robertini, ricercatore dell’Institute of International Studies dell’Università del Cile
Gabriel Boric è il nuovo presidente del Cile. Il trentacinquenne, leader della coalizione Apruebo Dignidad, dopo aver sconfitto il repubblicano José Antonio Kast, prenderà il posto del presidente uscente Sebastián Piñera a La Moneda.
Una vittoria netta, quella del fronte progressista cileno, che nella notte del ballottaggio presidenziale ha incassato il 56% dei consensi acuendo il distacco con il Frente Social Cristiano. I 15 milioni di cileni chiamati alle urne erano stati posti dinanzi a due offerte politiche nettamente diverse: da una parte un’agenda politica connotata da rivendicazioni sociali, lotta al cambiamento climatico (ricordiamo la proposta di bloccare una miniera di rame), il potenziamento del welfare state, la costruzione di un nuovo stato sociale e una tassa per i “super-ricchi”, dall’altra una leadership politica ambigua, imprudente nell’evocare l’era del golpe militare di Augusto Pinochet e delle consequenziali ricette neoliberiste, e nella vicinanza a Jair Bolsonaro.
Nonostante l’ultimo esecutivo di centro-destra sia stato considerato un centro sperimentale dell’ultraliberismo, nonostante Apruebo Dignidad racchiuda il ventaglio della sinistra in tutte le sue sfumature, dalla sinistra cristiana al partito comunista, la middle-class cilena ha scelto di fidarsi del millennial Gabriel Boric.
In strada il popolo torna a intonare “El Pueblo Unido Jamás Será Vencido”, il nuovo presidente inaugura il suo trionfo nella lingua indigena dei Mapuche, mutuando il discorso di Salvador Allende ed esortando i propri elettori a “tornare a casa con la sana gioia della netta vittoria ottenuta”.
Ma risulterebbe fazioso e ingiusto ridurre l’esito elettorale ad una contesa tra i nostalgici del “passato allendiano” e coloro che hanno riversato la propria fiducia in Kast, discendente di una famiglia tedesca emigrata in Cile alla fine della seconda guerra mondiale, nonché fratello di Miguel Kast, direttore della Banca Centrale del Cile sotto la dittatura militare di Pinochet. Certo, le candidature di Boric e Kast erano così antitetiche da far apparire quasi inutile il tentativo di fornire un’analisi più profonda. La risposta sembra essere a portata di mano. Tuttavia, i processi politici e le sentenze elettorali meritano una “vista panoramica”, capace di leggere i nuovi scenari attraverso il microscopio della storia, collegando antichi focolai a “nuovi fuochi” (come ad esempio Estallido Social). Ne parliamo con il Professore Camillo Robertini, ricercatore presso l’Institute of International Studies dell’Università del Cile.
Professor Robertini, quali sono i fattori e le condizioni che hanno determinato il successo di Apruebo Dignidad? Cos’era il Cile prima della vittoria di Boric?
Dobbiamo collocare il risultato storico di queste elezioni all’interno di un processo di radicalizzazione politica e di una serie di proteste sociali che hanno scosso il Cile dal 2019 in poi.
Sono venuti al pettine i nodi di un sistema che per anni ha escluso una parte della popolazione dalla vita civile del Paese. Il motto di quelle rivolte era “non è per i 30 centesimi, ma per i 30 anni”. Fin dall’inizio, i tumulti hanno acceso i fari su un problema centrale nella dinamica politica e sociale del Cile contemporaneo; ovvero che quel paese, da molti additato come l’oasi dell’America Latina, come il centro più sviluppato in termini di innovazione tecnologica, di finanziarizzazione dell’economia, era una realtà nella quale la transizione dalla dittatura alla democrazia era stata assolutamente blanda, irrisolta.
Dunque, l’eredità politica di Pinochet e dei Chicago Boys era ancora in piedi. Le porto un esempio: il Cile dal colpo di stato del ‘73 ha scelto un modello neoliberista, sancito e protetto da una costituzione, quella del 1980, la quale aveva stabilito un principio fondamentale: quello dello stato subalterno. Uno stato che non può avere voce nella vita economica e nella vita sociale dei cileni, gestito da tecnocrati e ultraliberisti. Ad un certo punto questo sistema, in cui le pensioni, l’istruzione, la salute erano state affidate a sistemi di previdenza privata, è venuto in crisi. Per cui, tornando alla frase simbolica del 2019, non sono i 30 centesimi di aumento del costo della metropolitana che hanno fatto esplodere la questione sociale in Cile, ma i 30 anni del perseguimento di quelle politiche che in termini europei potremmo definire ortodosse, qualcosa di simile a quanto accaduto con la troika nel 2008.
Cos’era successo?
La dittatura cilena vige dal 1973 al 1990, e questa difficile “transiciòn” non ha avuto gli strumenti per modificare le storture del sistema precedente. Con la costituzione del 1980, ratificata tramite un referendum truffa (perché non esistevano le liste elettorali, ergo gli elettori potevano esprimersi più volte), Pinochet diviene ufficialmente il presidente del Cile. Dopo la transizione, nonostante il dittatore consegni gli attributi presidenziali a Aylwin della democrazia cristiana, rimarrà per anni capo di stato maggiore delle forze armate, e le storture del regime militare continueranno a persistere.
Questa situazione si è protratta negli anni. Perciò anche durante i governi di centro-sinistra sparsi per l’America Latina (Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Mujica in Uruguay e Correa in Ecuador) la costituzione dell’80 impediva, senza l’accordo di tutti i partiti politici, la modifica dello status quo. Ecco spiegata la provenienza delle proteste sociali del 2019, caratterizzate da una violenza inaudita alle quali segue una violenza inaudita da parte dello Stato, oggetto di dibattito in sede giuridica e storiografica sulla problematica del reazionarismo del governo cileno.
Insomma, il predetto pezzo di società escluso dalla vita civile, scorgeva nella “giusta violenza” l’unico strumento di autodeterminazione, mentre l’esecutivo di Piñera schedava come “sovversiva” qualsiasi manifestazione contro lo stato cileno. Durante l’Estallido Social, il movimento studentesco (e non solo) è riuscito a imporre la propria agenda, fino ad arrivare poco prima della pandemia all’ottenimento della Assemblea costituente per riscrivere la carta costituzionale.
Un risultato storico eclatante, verso il quale la stampa italiana non ha nutrito molto interesse. È stata messa in discussione la costituzione del 1980, con la consequenziale richiesta di convocazione di un’assemblea costituente eletta a suffragio universale, in cui viene riconosciuta l’uguaglianza di genere e delle quote fisse di rappresentanza per i popoli indigeni, e attraverso la quale è possibile ridisegnare l’intelaiatura del nuovo stato cileno. Una delle sfide più grandi per il nuovo governo riguarda la riformulazione strutturale dello stato in senso plurinazionale.
Ovviamente, questo attirerà enormi resistenze da parte di determinati settori della società cilena che si considerano dominanti. Per farla breve, cos’era il Cile prima di Boric? Semplicemente, l’esempio lampante delle teorizzazioni neoliberiste che hanno contribuito all’esplosione delle diseguaglianze sociali. Cosa sarà il Cile con Boric? Ricordiamo che il Cile è un paese in cui vi è il 3% della popolazione che vive nelle tres comunas, i quartieri più ricchi di Santiago, parliamo di un pil pro capite che supera quello del centro di Milano o di Roma, e il resto della popolazione percepisce un salario non superiore ai 500 dollari al mese. Sebbene si approverà una costituzione riformista, i tempi per attuarla sono molto lunghi, i problemi di ordine pubblico e le piazze che hanno accompagnato la vittoria di Boric torneranno a protestare dinanzi a una realtà molto più complessa.
Oggi, il Cile vira a sinistra. Lo scenario politico presenta un radicale bipolarismo, in cui si distinguono due poli ben definiti (nazionalisti e socialisti) e la scomparsa dei moderati. L’insediamento di Boric produrrà delle conseguenze sostanziali su questo assetto?
Ottima domanda. Nel senso che le recenti elezioni cilene testimoniano due elementi: in primis la fine dello schema politico dove il centro sinistra e il centro destra sono tra loro complementari e sostanzialmente equivalenti sul piano delle politiche economiche e sociali, e in secondo luogo il sorgere della polarizzazione. Quest’ultima è parte di un fenomeno più ampio, che parte dall’Estallido Social e prosegue con la pandemia.
Il bipolarismo ha creato una nuova destra “rabbiosa”. Quella di Piñera era una destra sicuramente nostalgica del “pinochettismo”, ma deteneva un carattere tecnocratico, liberista, dai tratti tipici del conservatorismo occidentale. Il fallimento del precedente esecutivo ha prodotto la figura di Kast, parte integrante dell’establishment del regime militare. D’altro canto il centro sinistra della “consertaciòn”, era una coalizione che aveva perso il rapporto con le proprie basi, con il paese reale. Un agglomerato di intellettuali, professionisti, ceti medi e di quel 5% della popolazione cilena che si può considerare benestante, ma distante dagli abitanti delle baraccopoli.
Possiamo dire che la polarizzazione e le proteste sociali hanno determinato la nascita di nuove organizzazioni e di nuovi movimenti che hanno svuotato la sinistra classica. Apruebo Dignidad viene fuori dal movimentismo delle università, 2011-2012, quando Boric era leader del sindacato studentesco. Mentre la destra di Kast presenta una matrice trumpiana, bolsonarista, che prospettava l’immagine di un Cile sull’orlo della guerra civile e dell’emergere di una nuova Unidad Popular, la sinistra radicale e post-ideologica di Boric si è fatta alfiere di cambiare i problemi sostanziali del paese, di una ridefinizione dell’attuale scenario; una sinistra fuori dalle vecchie categorie politiche, capace di individuare e concludere dei compromessi con la Democrazia cristiana cilena nella fase del ballottaggio. Diciamo che il fenomeno Boric è molto simile a quello di Podemos in Spagna, senza l’ausilio di intellettuali come Iglesias.
Ci parli delle potenziali influenze che il nuovo governo potrà esercitare sul contesto latino-americano, e del ruolo che il continente può giocare sul piano internazionale.
Dal 2015 assistiamo all’ avanzata delle destre in America latina, liberali, pseudo-parafasciste, come quella Bolsonaro, di Mauricio Macri in Argentina e quello di Piñera in Cile. Compattamente, il continente latino-americano aveva intrapreso la strada della conservazione, consegnando le chiavi del banco centrale e seguendo ossequiosamente le regole del mercato. Regole che dal punto di vista europeo non sono minimamente mitigate da criteri chiari, come il rispetto della trasparenza, della competitività e dei diritti dei consumatori. La vittoria del centro-sinistra apre uno scenario alternativo, senza contare che tra pochi mesi ci saranno le elezioni in Brasile, che è la vera “locomotora” del continente.
Allora, se consideriamo il Messico, la Bolivia, l’Argentina che tutt’ora ha un governo progressista, il Cile in quel contesto potrà giocare un ruolo importante. Ovviamente, una delle grandi questioni aperte dell’America Latina è quella della frammentazione nazionale, cioè tutti gli esperimenti come Mercosur, sono delle fusioni a freddo incapaci di conferire una voce univoca. Quindi, debilitato dal covid, dall’esponenziale debito pubblico, dai processi inflazionari dell’Argentina e del Brasile, il continente è nuovamente alla mercé delle grandi potenze. Preoccupa, soprattutto l’avanzata della Cina, dal punto di vista degli investimenti e delle megastrutture. Ricordiamo il caso africano. Nel suo ruolo di piccola realtà il Cile potrà dare il proprio contributo sul piano simbolico.
A marzo entrerà in carica Gabriel Boric, e tra due anni dovrà essere approvata o respinta la nuova costituzione con un referendum costituzionale. Il nuovo presidente ha davanti un biennio in cui dovrà accompagnare il processo costituente e allo stesso tempo durante i quali, a causa dell’avanzata clamorosa delle ultradestre in senato non avrà una maggioranza organica. Due anni di una sostanziale stasi, dove la retorica delle parole prevarrà sui fatti. Ma a partire dalla nuova costituzione si aprirà un enorme cantiere, uno spazio dove poter progettare la trasformazione del paese.
Anche se, come dimostrano i mercati, la vittoria di Boric ha già provocato un terremoto nell’economia cilena che, come il resto dei paesi latino-americani, dipende dalle materie prime. Il Cile è legato all’esportazione di litio e del rame, l’Argentina a quella della soia e della carne. Qualsiasi governo che voglia cambiare le cose deve tener conto di due elementi macroeconomici invariabili. Una cattiva annata, la diminuzione del prezzo del rame, una carestia nelle campagne…può cambiare gli indirizzi economici della nazione.
Il trionfo di Boric ha risvegliato delle forze sociali depotenziate durante il mandato di Piñera. Quali interessi ruotano attorno alla linea politica del nuovo Presidente che ha promesso di aprire le porte della Moneda alle istanze popolari? Quanto populismo di matrice “chaveziana” contamina la direzione dell’ex barricadero?
Di chaveziano c’è soltanto la retorica di Kast, che ha stabilito una fantasiosa dicotomia tra l’ordine pinochettista e il cosiddetto “camino Venezuela”, cioè il fatto che l’ingresso di Boric alla Moneda avrebbe rappresentato il ritorno ai tempi funesti della Unidad Popular, che per una parte della middle class cilena significa penuria di cibo e di prodotti di lusso. Allora, Boric durante la campagna elettorale è stato costretto ad affermare che quella di Maduro è una dittatura, dunque è evidente che Boric non potrà muovere la linea diplomatica del Cile e degli altri paesi sul Venezuela.
Però ci sono due fattori che fanno del Cile un paese atipico nel contesto. Il primo riguarda la sua burocrazia; un funzionariato formato e molto forte che difficilmente si farà plasmare dai nuovi indirizzi politici. D’altra parte l’attuale centro-sinistra desidera prendere le distanze dal fallimentare modello maduriano. Il Cile è stato il paese, grazie alle dichiarazioni di Piñera, che ha accolto il più alto numero di venezuelani, ed è quello che più intende allontanarsi da quel contesto.
Infine, Boric sicuramente avrà mesi di dichiarazioni simboliche e sarà arduo uscire dall’impasse. Difronte alla possibilità di modificare la realtà sostanziale sarà più facile modificare la realtà simbolica.