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Dalla moneta egemone all’egemonia monetaria

La questione si può porre in termini molto semplici: andrà avanti tutto come è andato avanti negli ultimi decenni (crescita basata sugli squilibri e decrescita nei periodi di correzione di tali squilibri) oppure siamo davvero agli esordi di una di quelle svolte che ci riserva la storia?

Ovviamente nessuno ha una risposta, tantomeno io. Però condivido con molti osservatori la convinzione che se svolta ci sarà, l’arena sulla quale questo cambiamento andrà a declinarsi sarà quello della riforma del sistema monetario e finanziario internazionale.

Finora ho tentato di delineare alcuni contorni del problema, sia dal lato tecnico, che da quello storico e geopolitico.

Li potremmo riassumere con un’altra domanda: siamo condannati a vivere in un sistema monetario dove una moneta egemone (ieri la sterlina, oggi il dollaro) tira le file del Grande Gioco, oppure stiamo andando verso un sistema in cui sono le regole monetarie tout court a guidare il sistema?

Detto in altre parole: vivremo ancora sotto una moneta egemone o si va verso un’egemonia monetaria?

Non crediate che sia una domanda oziosa. Se la posero i negoziatori di Bretton Woods, quando si esperì l’ultimo grande tentativo di cooperazione internazionale per una riforma delle regole. All’epoca l’alternativa era fra il dollaro americano e il bancor keynesiano, un’unità di conto gestita da una sorta di banca centrale internazionale, destinata a misurare e compensare gli scambi internazionali. Una moneta che non prevedeva di essere una riserva di valore, ma una valuta simile alla moneta immaginaria del Medioevo.

Il piano Keynes, come è noto, fu accantonato e fu scelto il piano White, il negoziatore Usa, che di fatto confermò la logica della moneta egemone che si trasciniamo fino ad oggi. Quindi il dollaro come mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore. Insieme causa della straordinaria crescita di questi quasi 70 anni e degli immani squilibri che si accumulano da almeno trenta.

Da allora il mondo è molto cambiato, ma fino a un certo punto. E’ cambiato perché è arrivato l’euro, che prima ancora di essere una moneta è un progetto politico. Ma tale cambiamento si innesta all’interno di consuetudini ultradecennali difficili da invertire.

Per dare un’idea di quanto pesi l’eredità della moneta egemone (il dollaro) sul presente, valga come esempio l’articolo scritto di recente dalla Bce nel suo rapporto annuale sul ruolo internazionale dell’euro dal titolo “History, gravity and international finance”, dove si stima che circa il 15% delle scelte di investimento di chi compra bond americani oggi si spiegano con decisioni e motivazioni di 70 anni fa. Come dire: l’egemonia del dollaro sconta ancora in buona parte la sua eredità storica. E ciò spiega il suo andamento miracoloso.

E’ il peso della storia che, scrive la Bce “svolge un ruolo della geografia della finanza internazionale”.

Ciò non vuole dire che tali processi non siano soggetti a cambiamento. La stessa Bce nel suo rapporto nota come il dibatitto sull’evoluzione del sistema monetario verso un assetto multipolare basato principalmente su dollaro, euro e un domani il renminbi cinese, possa essere un approdo persino auspicabile. Un sistema tripolare, scrive la Bce, sarebbe capace di gestire gli squilibri nei pagamenti in maniera più efficace rispetto a uno egemone “alleviando il dilemma di Triffin“.

Ma c’è un altro modo, più surrentizio, per arrivare a una sostanziale riforma del sistema monetario e finanziario internazionale. Quello che non passa dagli stati – la tanto auspicata e mai incardinata Nuova Bretton Woods – ma dagli organismi sovranazionali, in omaggio a un altro trilemma, quello di Rodrik.

Il modello euro, insomma, potrebbe fare scuola.

L’euro infatti non ha la vocazione della moneta egemone, né potrebbe mai aspirare a questo ruolo, vista l’eredità che ci arriva dalla storia.

I dati della Banca centrale europea, che ogni anno conta la quantità di euro presente nelle riserve delle banche centrali mostra che tale quota oscilla tuttora fra il 20 e il 25%. La quota di euro nel mercato del debito, quindi i bond denominati in euro sul totale dei debiti emessi nel mondo è cresciuta dal 26,5% del 1999 al 39,4 del 2006, per poi ritracciare a causa della crisi a beneficio del dollaro. E’ importante ma chiaramente non egemonica. Infine la quota di euro utilizzata negli scambi internazionali rimane molto pronunciata all’interno dell’Ue (il 62,5 a fine 2011) e anche nei paesi extra Ue. Uno studio del Wto mostra che il volume totale dei pagamenti espressi in euro sfiora il 40% per cento, a fronte di una quota di commercio di poco superiore al 25%. Più quindi dei pagamenti in dollari. Ma il dollaro rimane protagonista assoluto negli scambi petroliferi. Un’altra eredità evidentemente.

Insomma, la moneta euro, nella sua triplice funzione di riserva di valore, unità di conto e mezzo di scambio, può aspirare a un dignitoso secondo posto nella classifica mondiale delle monete, ma non certo a scalzare l’egemonia del dollaro.

Anche perché non è questa l’ambizione di chi ha costruito l’euro.

Tale disinteresse tuttavia cela un’altra forma di egemonia.

La natura egemonica dell’euro, tuttavia, è molto diversa da quella espressa dal dollaro. L’euro non è stato pensato per diventare la moneta internazionale. L’euro è stato pensato per internazionalizzare un modus operandi nella gestione della moneta e della finanza che vede le banche centrali e gli altri organismi di regolazione come custodi, e insieme architetti, del nuovo sistema finanziario e monetario e gli stati sullo sfondo.

Tale strategia, paradossalmente, ha tante più possibilità di riuscita quanto più sarà multipolare il panorama monetario. Divide et impera, dicevano gli antichi.

Non ha nessuna importanza quante siano le monete di riserva, purché venga meno quella egemonica, fonte di squilibri e crisi. Ciò che conta è tutte le monete di riserva (e quindi gli stati che le esprimono) condividano lo stesso sistema di regole.

Questo è il terreno di confronto politico fra l’euro e il dollaro. Non il semplice volume dei pagamenti o di riserve che esprimono.

Questo è il tornante della storia di fronte al quale ci troviamo tutti.



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