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Africa, la nuova culla dell’estremismo islamico

Le tensioni nella zona del Sahel sono sempre più accese. La presenza di fazioni di movimenti jihadisti e indipendentisti ha aumentato le preoccupazioni sui rischi per la sicurezza internazionale. C’è, per esempio, il caso del Mali, che a gennaio è diventato lo scenario di un intervento militare da parte della Francia; forse interessi (all’epoca si parlava dell’ombra dell’uranio tra le motivazioni) molto lontani dalla bandiera di difesa della libertà e la democrazia.

Poi c’è quella striscia che va dall’Algeria alla Nigeria, sempre più islamica. Qui si nascondono e agiscono gruppi (Aqim, Mujao, Ansar al-Din, Mnla, ma anche Boko Haram) capaci di ottenere il controllo di parti di territorio con l’obiettivo di estendere le attività di proselitismo in tutto il Continente, conducendo traffici illeciti di ogni tipo.

Il fantasma di Al-Qaeda

In un articolo pubblicato dall’Istituto per gli studi di politici internazionali (Ispi), Roland Marchal, capo di ricerca di Sciences Po di Parigi, ha spiegato che la crisi del Mali (che non è ancora finita) mostra una difficoltà più seria e fondamentale di quella congiunturale: “la profonda diversità di gruppi che si rifanno a una stessa ideologia estremamente semplificatrice e violenta”.

L’analista fa riferimento a uno degli strateghi della politica americana di contro-insurrezione in Iraq e Afghanistan, David Kilcullen, che parlava di “guerriglia accidentale”, nel senso che “l’esistenza di movimenti come Al-Qaeda permetterebbe la militarizzazione delle rivendicazioni locali e la sopravvivenza di organizzazioni armate, favorite da un appoggio esterno in termini di finanziamento ed expertise militare”, ha detto Marchal.

Una nuova Guerra Santa?

Sempre nel dossier “Dal Mali al Sahel: il nuovo “Africanistan”, Andrea de Georgio, corrispondente dal Mali e collaboratore di Limes e Il Foglio, sostiene che nel Paese africano c’è il rischio di una Guerra Santa. La radicalizzazione del sentimento religioso di un gruppo ancora minoritario di musulmani, che sono in aumento nell’Africa occidentale, compromette la stabilità della regione.

“Una fetta crescente di popolazioni nere africane che, influenzate da nuovi imam-predicatori che operano in moschee di Paesi come il Senegal, la Nigeria e la Costa d’Avorio, si spostano verso nord per incontrare i fratelli arabi e dar sostegno alla Guerra Santa per ristabilire quello che considerano il vero islam”, ha spiegato.

L’Africa occidentale – ma in particolare modo il nord del Mali – rappresentano, sempre di più, uno snodo centrale del jihadismo globale in cui confluiscono elementi regionali (i Boko Haram nigeriani), continentali (gli Shabaab somali) e internazionali (mujaiddin afghani e pakistani).

Altri focus di violenza

Niger e Fezzan sono altri Paesi che stanno diventando teatri operativi del jihad. Tutto a causa dell’intervento militare della Francia in Mali. Secondo il ricercatore dell’Ispi Arturo Varvelli, “diverse fonti d’intelligence nei mesi scorsi hanno segnalato come nel Fezzan (sud Libia) pare essersi stabilito il nuovo comando logistico e organizzativo di Aqmi (Al-Qaida au Maghreb islamique)”. L’organizzazione si è vista costretta a trovare rifugio fuori dalle frontiere del Mali e il Fezzan, scarsamente controllato dalle forze governative libiche, sembrerebbe il posto ideale.

Il Niger, invece, è divenuto molto rapidamente il nuovo anello debole dell’area. L’azione militare in Mali potrebbe essere la fonte della destabilizzazione del Niger a causa della convergenza tattica tra diversi gruppi: Aqmi, Mujao e il Movimento dei nigerini per la Giustizia (Mnj). Oltre agli indipendentisti radicati nella regione settentrionale di Agadez. “Una sorta di replica di quanto avvenuto in Mali ma stavolta anche grazie a una sorta di grande “safe haeven” costituito dal Fezzan e risultato politico dell’attuale caos libico derivante dalla guerra del 2011”, ha scritto Varvelli.

Verso le elezioni in Mali

Il 28 luglio si vota in Mali. Un appuntamento elettorale attesso non solo dai malesi e i vicini della regione ma anche dalla comunità internazionale. Per Lia Quartapelle, ricercatrice dell’Ispi, le elezioni di domenica “rischiano di essere uno specchio per le allodole. Formalmente, infatti, il fatto che esse si svolgano dimostra che il Paese sta riprendendo il cammino interrotto il 22 marzo 2012 quando, a poche settimane dalle elezioni presidenziali, le rivolte tuareg e islamiste a nord favorirono le condizioni affinché ci fosse un colpo di Stato”.

In Mali si è già avuta la prova che avere un governo formalmente in carica non implica necessariamente un reale controllo di un territorio vasto, desertico, con confini porosi e complessi. “Il risultato delle elezioni sarà misurato solo dopo anni, se e quando i cittadini maliani, del Nord e del Sud del Paese, indipendentemente dalla provenienza etnica, riusciranno a stabilire un rapporto con istituzioni statali solide, di garanzia per tutti e rispondenti ai loro bisogni”, ha spiegato la Quartapelle.



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