Il crollo delle borse registrato ieri dalle agenzie specializzate Usa viene attribuito al timore di altri aumenti dei tassi nel 2022. Tanto che in quest’ottica va letto il tonfo a Piazza Affari di quasi il doppio della media degli altri mercati: se i tassi americani si rialzano forse quelli europei li seguiranno, pesando duramente sull’Italia che ha un alto debito pubblico. Il commento di Giuseppe Pennisi
Negli ingredienti della elezione del Presidente della Repubblica entrano anche, pur se indirettamente, le autorità monetarie americane. Oggi a Constitution Ave. N.W., in un palazzone in stile tardo fascista, si riunisce il Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto della Federal Reserve (la Fed, per gli amici). È l’organo che ha potere decisionale sui tassi d’interesse. I mercati hanno già anticipato parte delle conclusioni della riunione, con il crollo delle borse registrato lunedì che dalle agenzie specializzate Usa viene più attribuito al timore di altri aumenti dei tassi (oltre a quello già messo in conto per marzo) nel 2022 che al quadro geopolitico in Europa orientale (ossia Ucraina).
Ciò spiega anche perché il tonfo a Piazza degli Affari a Milano sia stato quasi il doppio della media degli altri mercati: alle difficoltà politiche connesse all’elezione presidenziale in un quadro frammentato, si aggiunge il timore che il rialzo dei tassi americani verrà seguito da quelli europei, che peseranno duramente sull’Italia a ragione dell’alto debito pubblico. A titolo indicativo, se a fine anno i tassi europei arriveranno al 3% (livello moderato rispetto al periodo 1990-2010), il pagamento del servizio del debito sarà pari all’intero gettito Iva. Una bella grana per il governo sia esso guidato da Draghi o da altri.
Andiamo con ordine. Secondo le anticipazioni della stampa americana del 24 gennaio, la stretta monetaria della Fed si articolerà in due parti. In primo luogo, è un aumento (già deliberato) dei tassi di interesse a marzo. Le proiezioni del Comitato, che verranno pubblicate il 26 gennaio al termine della riunione, chiariranno l’aumento dei tassi a marzo verrà seguito con altri due o tre entro la fine dell’anno. A questo si potrebbe accompagnare un “Quantitative Tightening” (Q.T), una riduzione dei titoli di Stato che la Fed ha acquistato al culmine della pandemia. Alcuni economisti pensano che Jerome Powell, il presidente della Fed, segnalerà un piano di contrazione aggressivo a ragione del forte aumento dell’inflazione. Gli investitori non stanno aspettando: hanno svenduto azioni e obbligazioni nelle ultime settimane, consapevoli che un falco sta girando sopra la loro testa.
Non è detto che la Banca centrale europea (Bce) segua pedissequamente la Fed. Nell’area “atlantica”, però, politiche monetarie divergenti non potranno durare molto a lungo. Ricordiamoci che il whatever it takes di Mario Draghi del 26 luglio 2012 venne determinato non solo dalla crisi del debito sovrano di alcuni Paesi europei (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) ma anche e soprattutto dal fatto che la Fed aveva messo in atto da oltre due anni una politica di Quantitave Easing (Q.E,) che l’Europa si trovava costretta a seguire, quali che fossero le ritrosie della banche centrali della Germania e dei Paesi nordici. Occorre vedere quando e come seguirà la Fed nel Quantitative Tightening (Q.T). Nel nuovo scenario è difficile ipotizzare, come fanno alcuni economisti che dicono di essere “vicini” a Draghi, che la Bce parcheggi per diversi anni i titoli italiani acquistati durante la pandemia.
Questa determinante si aggiunge ad altre che sconsigliano, sotto il profilo economico, un cambiamento di governo in questa fase.