Chi “vincerà” la partita all’interno dell’alleanza di centrodestra, se cioè Salvini o Meloni, non è dato saperlo. Quelle attuali sono solo piccole guerre di posizione e prove generali in vista della battaglia finale, che in democrazia è il responso delle urne. La rubrica di Corrado Ocone
La particolarità di questa elezione del Presidente della Repubblica è che le alleanze, e a volte persino le orze politiche che le compongono, non sono salde e coese al loro interno come una volta. Accade nel Pd, ove il fronte anti-Draghi è più ampio di quanto si pensi (ed è un fronte ostile al segretario); accade nel Movimento 5 Stelle, ove la rivalità fra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte è abbastanza evidente; e accade nel centrodestra tutto insieme considerato. Non si tratta, in verità, in quest’ultimo caso, solo della rivalità, che pure c’è, fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per la leadership.
Si tratta degli interessi, e quindi degli obiettivi, diversi e spesso divergenti che hanno i due partiti in questo momento. Fratelli d’Italia avrebbe convenienza, in effetti, a che le Camere fossero subito sciolte per capitalizzare e tramutare in seggi parlamentari l’ampio consenso che, come unica forza di opposizione, ha in questo momento nel Paese (almeno secondo i sondaggi). In quest’ottica, probabilmente, il partito di Meloni auspicherebbe una soluzione Mario Draghi al Quirinale, pur stando (unica forza) all’opposizione del suo governo, essendo evidente che semplice certo non sarebbe ricostituire senza di lui una maggioranza a Palazzo Chigi. Fra l’altro, timore ancora forse più forte per Fratelli d’Italia è che, nei rimanenti mesi di questa legislatura, si proceda ad una riscrittura della legge elettorale in senso proporzionale, eventualità che tutto sommato potrebbe convenire anche alla Lega. Mentre lascerebbe il partito di Via della Scrofa fuori dai giochi.
C’è poi ovviamente, nessuno vuol negarlo, anche la rivalità fra i due leader, oggettiva se sol si pensi che, vigendo nel centrodestra la regola che il capo della coalizione è il leader del partito più votato, la partita ormai si gioca sul filo di lana. Intanto, però siamo ancora in una legislatura in cui lo iato in seggi parlamentari fra i due partiti è ampio e, con tutto il rispetto che si deve a un “padre nobile” come Silvio Berlusconi, il leader della coalizione è in questo momento Matteo Salvini. Il quale, avendo già superato ad ampi voti tutti i test come politico in grado di catalizzare consensi, ha ora da dimostrare in questa partita di avere anche grandi capacità di manovra politica e leadership effettiva.
Probabilmente, Meloni è in una situazione in cui non può non augurarsi che Salvini riesca perché una sconfitta del centrodestra intero penalizzerebbe il suo stesso partito, ma nello stesso tempo vorrebbe che proprio in virtù di questa vittoria anche personale Salvini non consolidasse troppo la sua immagine. Non così tanto da precluderle, quando sarà, l’auspicato “sorpasso”. Alcuni maliziosi hanno letto nella richiesta fatta ieri dalla presidente di Fratelli d’Italia di votare subito e compatti un nome di centrodestra, e quindi contarsi, un tentativo subdolo di fare andare a sbattere il Matteo nazionale facendogli perdere di fatto il ruolo di king maker che nel frattempo si è ritagliato.
Non credo che le cose stiano in questo modo perché, se la palla passasse al centrosinistra, sarebbe per la parte avversa una sconfitta totale e non del solo Salvini. Semplicemente, come anche poi i tanti voti raccolti al terzo scrutinio da Guido Crosetto hanno dimostrato, Meloni e Fratelli d’Italia vogliono mandare segnali di forza agli altri membri dell’alleanza affinché non si muovano in una direzione che di fatto li isoli. Chi “vincerà” la partita, diciamo così, all’interno dell’alleanza di centrodestra, se cioè Salvini o Meloni, non è dato saperlo. Lo si saprà solo al momento delle elezioni. Quelle attuali sono solo piccole guerre di posizione e prove generali in vista della battaglia finale, che in democrazia è il responso delle urne.