Perché serve imprimere una svolta trasformativa alla costruzione dell’Unione, anche alla luce dei più recenti risultati della ricerca economica e delle conoscenze maturate dalla esperienza dei tentativi di applicazione fin ora largamente falliti. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo
Il trattato sulla Stabilità, il coordinamento e la governance (Tscg) è stato firmato nel 2012 da tutti gli Stati membri dell’Ue ad eccezione della Repubblica Ceca e del Regno Unito. Il trattato si poneva l’obiettivo di ridurre le asimmetrie fiscali nell’Unione, attraverso l’obbligo da parte dei suoi firmatari a mantenere disavanzi strutturali (cioè corretti per il ciclo) non superiori allo 0,5% -1% del Pil a seconda che i livelli di debito pubblico siano inferiori o superiori al 60% del Pil.
I limiti di deficit venivano intesi in termini tendenziali e consentivano uno stimolo fiscale keynesiano durante i periodi di recessione e aggiustamenti strutturali nei periodi positivi del ciclo. Il Tscg raccomandava l’attuazione di queste norme attraverso modifiche costituzionali a livello di Stati membri, con la guida della Commissione europea.
Le raccomandazioni del Tscg nel diritto ordinario e/o costituzionale sono finora state adottate in vario modo e gradi da tutti i firmatari della zona euro, anche se la loro effettiva applicabilità rimane dubbia. Dalla ratifica del trattato, il Consiglio europeo ha anche raccomandato formalmente l’integrazione del trattato nel diritto derivato dell’Ue, rafforzando in tal modo i meccanismi di applicazione al di là di quanto possibile per i trattati intergovernativi.
Questa integrazione, non ancora avvenuta se non in piccola parte, potrebbe essere uno strumento importante per riformare il patto di stabilità e crescita, mantenendo il TSCG e i suoi obiettivi, ma migliorandone l’applicazione anche alla luce delle disfunzioni registrate negli anni precedenti alla crisi corrente. Tuttavia, non dobbiamo nasconderci quanto una profonda trasformazione del sistema di regole adottato nel passato sia necessaria per fare un salto di qualità nella governance dell’Unione e nel processo di integrazione, continuando nella svolta realizzata con l’approvazione del programma Next Generation UE come nucleo iniziale di un bilancio federale e di una capacità di politica fiscale comune.
Il Patto di Stabilità e Crescita (Psc) alla base del Tsg, si può interpretare come una strategia difensiva nei confronti del rischio che le politiche economiche di un singolo paese potesse creare ricadute negative sugli atri paesi. Tra queste, il principale pericolo sembrava essere la propagazione del rischio di insolvenza di uno stato membro. Esso dipende dal cosiddetto contagio, ossia dalla diffusione ad altri paesi della caduta di fiducia degli operatori finanziari nelle capacità di servizio del debito di uno o più dei paesi membri.
Il Psc era quindi un patto di sorveglianza e controllo, basato su un sistema di regole mirate soprattutto ai paesi sospetti di comportamenti fiscali più o meno irresponsabili. L’adozione di questo sistema accoglieva una tendenza al passaggio tra ruolo di governo e ruolo di regolatore dello Stato, dovuta a un intrecciarsi di ideologie neoliberiste e di sofisticati argomenti teorici. La corrente di pensiero alla base di questa tendenza individuava nella credibilità delle politiche economiche, compromessa dall’opportunismo dei governi, l’ostacolo maggiore alla loro efficacia.
L’impegno dei governi a comportarsi in modo coerente con le scelte di politica economica, si sosteneva, non poteva ritenersi credibile, a causa delle pressioni sociali e dei cicli elettorali. Da ciò la necessità che le scelte più critiche fossero accompagnate, o addirittura precedute, da un sistema di regole, con sanzioni implicite o esplicite, che garantissero i cittadini, rendendo difficile per i governi disattendere gli impegni presi precedentemente.
Le politiche generate da questo tipo di prescrizione in tutto il mondo hanno incluso vari tipi di provvedimenti “capestro”, compresi i tentativi di proibire per legge provvedimenti specifici quali la svalutazione o i deficit di bilancio. Il consenso attuale della maggior parte degli economisti è che esse si sono dimostrate largamente insostenibili, e, come il sistema delle regole europee, particolarmente inadatte a gestire periodi prolungati di recessione, anche in economie avanzate.
L’attuale pandemia sembra anche aver dimostrato in modo conclusivo che è irragionevole aspettarsi che le regole affrontino in anticipo tutte le possibili situazioni che la politica fiscale potrebbe dover affrontare. Ha inoltre dimostrato che un forte shock esterno può presentare un compromesso irrisolvibile tra stabilizzazione macroeconomica e sostenibilità del debito.
Più in generale, la Ue come unione economica imperfetta, fatta di regole sovranazionali e di politiche nazionali, si è dimostrata assolutamente inadatta a governare la domanda aggregata, a causa dell’assenza di un meccanismo di coordinamento fiscale e della impossibilità di usare in maniera coerente le politiche monetarie e fiscali a livello europeo.
Si è inoltre creato un circolo vizioso tra politiche espansive dei paesi con tassi di cambio reali sopravvalutati e politiche restrittive di quelli con tassi sottovalutati. Il dibattito recente sull’argomento ha sottolineato come la questione delle regole fiscali del bilancio europeo siano cruciali per tenere conto delle interdipendenze. La loro efficacia inoltre dipende dalla esistenza di un bilancio europeo sufficientemente ampio da dirigere e coordinare una politica fiscale comune, e, soprattutto, una politica europea di grandi investimenti pubblici in grado di affrontare le sfide della ricostruzione post-pandemica e della transizione ecologica.
Sulla base di queste considerazioni e più in generale di nuovi risultati di teoria e ricerca sulla opportunità ed efficacia delle politiche fiscali, proposte di riforma radicale del Psc sono state avanzate da più parti. A differenza delle proposte minimaliste del gruppo dei paesi frugali, queste proposte mirano a imprimere una svolta trasformativa alla costruzione dell’Unione, anche alla luce dei più recenti risultati della ricerca economica, e delle conoscenze maturate dalla esperienza dei tentativi di applicazione fin ora largamente falliti.
In questo contesto, appare esemplare la proposta avanzata nell’ambito del French Council of Economic Analysis da una compagine di cui fa parte Pisani- Ferry, il consigliere a cui viene attribuito il piano economico di Macron. Essa consiste in una radicale trasformazione del criterio delle regole fisse, con il criterio degli standard qualitativi. Più precisamente questo documento francese, in consonanza con le proposte portate avanti dalla Francia anche in sede Fmi, propone che la sostenibilità del debito, intesa in senso lato anche come capacità di resilienza, diventi la pietra angolare della politica internazionale di controllo degli squilibri globali e, in particolare, del rinnovato Patto di Stabilità e Crescita.
Ciò implica l’abbandono di criteri numerici uniformi (per il debito pubblico e il disavanzo) e l’adozione di standard di qualità comuni, la cui applicazione dovrebbe tener conto delle situazioni diverse dei diversi Paesi. In pratica, a livello europeo, ogni governo fisserebbe un obiettivo di debito, la cui adeguatezza sarebbe valutata da un istituto fiscale indipendente (Ifi), sulla base di una metodologia comune, prima di essere validata dal Consiglio Ecofin.
Questo obiettivo di debito servirebbe come base per la programmazione a medio termine delle finanze pubbliche, tramite una regola di spesa corrispondente. Esso implicherebbe un ruolo crescente per gli Ifi e l’European Fiscal Board, ma anche un maggior ruolo della Commissione e del Consiglio nel complementare le politiche fiscali dei singoli Paesi quando questo viene ritenuto nell’interesse dell’Unione. In modo più generale, lo stesso criterio potrebbe essere seguito, nell’ambito delle altre unioni monetarie e degli accordi internazionali, dall’FMI e dalle IFI per il controllo della governance del debito globale.
Infine, per migliorare la resilienza dell’Unione europea rispetto a violenti shock esterni, l’obiettivo principale del processo di revisione dovrebbe essere quello di trasferire alcune competenze cruciali, tra cui quella di una politica fiscale comune, a livello federale. A questo proposito la riforma del PSC dovrebbe anche tener conto della necessità di un salto federale in diversi settori, vale a dire:
1) politica monetaria e fiscale
2) politica degli investimenti europei
3) politica dei mercati del lavoro e modelli sociali, flussi migratori e carenza di competenze, politica di cooperazione e (iv) rinnovata politica industriale e tassi di cambio