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Droni e terrorismo. Le minacce alla sicurezza di Pechino 2022

Di Stefano Dambruoso e Francesco Conti
Torcia olimpica Pechino 2008

Le preoccupazioni per la pandemia di Covid-19 sono la priorità per gli organizzatori. Ma gli analisti avvertono: viviamo nell’era del terrorismo transnazionale. L’analisi di Stefano Dambruoso, magistrato ed esperto di terrorismo internazionale, e Francesco Conti, ricercatore, Master’s Degree in Terrorism, Security and Society al King’s College London

Oggi (4 febbraio, ndr) a Pechino inizierà la 24ª edizione dei Giochi olimpici invernali. Le preoccupazioni per la pandemia di Covid-19 sono la priorità per gli organizzatori, ma per gli analisti non vanno comunque sottovalutati i rischi legati alla sicurezza, dato che nell’era del terrorismo transnazionale ogni evento di tali proporzioni può rappresentare una cassa di risonanza troppo ghiotta. La riduzione di spettatori, dovuta proprio alle precauzioni sanitarie, potrebbe operare da deterrente, rendendo meno appetibili eventuali bersagli durante i Giochi olimpici, dove migliaia di atleti (fra cui una nutrita delegazione italiana guidata dalla portabandiera Michela Moioli) competeranno per più di due settimane.

È sempre più sentita la preoccupazione causata dal proliferare dei droni in mano a molti gruppi terroristici. Il recente  attacco del 17 gennaio rivendicato dagli Houti forniti verosimilmente dall’Iran, nelle vicinanze dell’aeroporto internazionale di Abu Dhabi, ha causato la morte di tre civili nella capitale emiratina. Diversi sono infatti gli episodi in cui droni di tipo commerciale (liberamente disponibili sul mercato per poche centinaia di euro) hanno causato seri problemi alla sicurezza, pur senza causare vittime. Nel gennaio 2015 un drone di libera vendita si è schiantato all’interno del perimetro della Casa Bianca senza che venisse intercettato dallo US Secret Service. Invece, questo gennaio, droni non identificati hanno sorvolato diversi siti nucleari svedesi. Come peraltro dimostrato dallo stato islamico in Siria e Iraq, armare con esplosivi (o in un’ipotesi peggiore con piccoli ordigni biologici o radiologici) tali droni è relativamente semplice. Proteggere le infrastrutture critiche anche dalle minacce UAV deve essere quindi una priorità per le agenzie di intelligence di tutto il mondo, comprese quelle cinesi impiegate ad assicurare la sicurezza dei Giochi olimpici.

Per quanto riguarda invece la minaccia “terrestre”, il terrorismo interno proveniente dallo Xinjiang è stato drasticamente ridimensionato a seguito dell’inesorabile strategia antiterrorismo cinese contro i cosiddetti “tre mali”:  il separatismo, l’estremismo e il terrorismo (spesso usati congiuntamente). Il governo cinese, per ridurre al minimo la conflittualità dello Xinjiang ha fatto anche un pesante ricorso a tecnologie di riconoscimento facciale e di social engineering, compromettendo fortemente le libertà individuali dei locali istituendo uno stato di sorveglianza. L’ultimo attacco di estremisti uiguri a Pechino risale al 2013, quando un’autovettura riuscì a falciare cinque civili a piazza Tienamen, il cuore della capitale della Repubblica popolare.

La Cina confina con due Paesi che di recente sono stati sotto i riflettori per la loro precaria situazione securitaria: Kazakistan e Afghanistan. Per quanto riguarda il primo, le autorità del Paese centro-asiatico hanno infatti comunicato la presenza di terroristi islamisti fra i manifestanti che hanno portato a violente dimostrazioni nelle principali città. Secondo il governo kazako, tali jihadisti si sarebbero infiltrati da non precisati Paesi esteri, ove sarebbero ubicate anche le loro basi operative. La molto generica definizione di “terrorismo” utilizzata dalle autorità kazake (condivisa peraltro dalla Cina, partner securitario grazie all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai), per giustificare la violenta repressione da parte delle forze di sicurezza, è stata criticata da un panel di esperti presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani di Ginevra.

L’Afghanistan, invece, dove i talebani hanno ripreso il potere lo scorso agosto, è ormai in preda a una grave crisi umanitaria ed economica. La caduta del governo riconosciuto dalla comunità internazionale non ha portato alla fine delle ostilità, anzi, ha portato a una reviviscenza del gruppo locale dello Stato islamico, che, fino a tale momento, aveva subito ingenti perdite a opera delle operazioni congiunte fra l’antiterrorismo americano e l’intelligence afgana, il National Directorate of Security. Il governo cinese, che aveva fornito supporto economico al movimento dei talebani durante l’insorgenza armata, ha ora chiesto agli studenti coranici di porre un freno ai loro alleati uiguri presenti in Afghanistan, che, secondo le Nazioni Unite, avrebbero ancora a disposizione centinaia di militanti. Secondo gli analisti, tale decisione dei talebani avrebbe già portato ad alcune defezioni verso lo Stato islamico, che, attraverso la sua propaganda sul web, ha spesso minacciato Pechino, strumentalizzandone il trattamento della minoranza uigura. L’attacco suicida dell’ottobre scorso a Kunduz potrebbe essere una conferma di questo trend: infatti, l’attentatore suicida che ha colpito una moschea nella città afgana, provocando più di 50 morti, è stato descritto come di origine uigura dalla propaganda dello Stato islamico che ha rivendicato l’attacco sul web.

Nel caso di Kazakistan e Afghanistan, la distanza di Pechino ,sebbene la regione confini con due aree a rischio sicurezza, è più di 3.200 chilometri da Almaty, la città kazaka dove si sono verificati alcuni degli scontri più violenti nelle scorse settimane. Invece, il corridoio di Wakhan, che congiunge la provincia afghana del Badakhshan alla Cina occidentale è lontano all’incirca 3.500 chilometri da Pechino. Ciò rende molto complesse eventuali infiltrazioni nella capitale cinese per porre in essere attacchi terroristici durante i Giochi olimpici.

Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e il contestuale rafforzamento di Pechino nella regione, anche grazie alle iniziative della Belt and Road Initiative (la cui importante espressione è data dal mastodontico piano infrastrutturale del China-Pakistan Economic Corridor) hanno anche portato diversi gruppi estremisti a indirizzare le proprie attenzioni verso la Repubblica popolare. Su tutti, due attacchi dei talebani pakistani hanno causato non poca preoccupazione a Pechino. In aprile, un’autobomba suicida ha causato la morte di quattro persone presso un hotel di lusso nella città di Quetta, lo stesso dove stava in quel momento stava soggiornando l’ambasciatore cinese in Pakistan. Nel mese di luglio, invece, un’esplosione ha ucciso nove ingegneri cinesi che stavano lavorando a un progetto del piano sinopakistano. Altri attacchi contro obiettivi legati alla Cina in Pakistan sono stati invece rivendicati da separatisti balocie del Sindh, portatori quindi di interessi etnico-nazionalisti e privi di ogni legame con organizzazioni jihadiste come al-Qaeda o lo Stato islamico. Essi non avrebbero pertanto alcun interesse a colpire in territorio cinese durante i prossimi Giochi olimpici.

La sicurezza antiterrorismo per questi giochi olimpici di Pechino potrà servire come termometro anche per il secondo grande evento sportivo del 2022: i Mondiali di calcio che si terranno a fine anno in Qatar. Il Paese del Golfo, non è però un Paese come gli altri. Luogo delle trattative fra Stati Uniti e talebani che hanno portato al ritiro delle forze americane dall’Afghanistan e al ritorno al potere dei talebani, potrebbe avere valore simbolico nello scacchiere che vede contrapposte le due anime del jihadismo transnazionale contemporaneo: Daesh e al-Qaeda.


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