Una figura altamente rappresentativa come è il Presidente della Repubblica non può che essere anche retorico, in certe occasioni. L’impressione a caldo di Corrado Ocone
Certamente non ha usato i toni severi e accusatori che furono di Giorgio Napolitano nel discorso pronunciato alle Camere in apertura del suo secondo mandato, ma non si può dire che Sergio Mattarella non sia stato a suo modo assertivo in questa sua seconda volta. Lo è stato col suo stile e con il suo equilibrio, ma il dito nelle piaghe italiane lo ha messo tutto.
Particolarmente significative sono state le parole con cui, da presidente fra l’altro del Consiglio Superiore della Magistratura, egli ha posto la questione della riforma della giustizia. Mattarella è andato dritto al centro della questione: per il Consiglio si tratta, ha detto, si superare “logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario”.
Ha poi aggiunto che i “cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la Giustizia e l’Ordine giudiziario”. Si tratta di “recuperare credibilità” e allinearsi “agli standard europei”. Parole sottolineate dai forti applausi dell’aula. E in effetti è stato proprio il Parlamento con le sue prerogative da rispettare il vero centro di questo discorso, nel pieno rispetto di quella natura parlamentare che i costituenti vollero dare alla nostra democrazia.
Parole non meno nette e precise il Capo dello Stato ha usato per stigmatizzare l’uso ormai sempre più massiccio di una decretazione d’urgenza che non lascia al Parlamento il tempo necessario per esaminare e valutare le leggi che va ad approvare. Pure sulla crisi della politica e dei partiti Mattarella ha avuto come faro, come è giusto che sia, la Costituzione, parlando di un’esigenza di partecipazione dei cittadini al processo decisionale che nei fatti non c’è più o che comunque più non passa per le vie della politica militante.
Non poteva fare altrimenti, ma l’impressione è che siano proprio i rapidi mutamenti delle nostre società a cui pure ha fatto cenno, prima ancora delle note e storiche tare del sistema politico italiano, a mandare in crisi un’idea di democrazia e di partecipazione tutto sommato ancora molto novecentesca. Anche qui Mattarella ha colto senza perifrasi il centro della questione: ha osservato che oggi i regimi non democratici sembrano più efficienti, più efficaci nell’affrontare i problemi, delle nostre democrazie.
D’altronde, un Presidente della Repubblica non può che segnalare questi problemi e richiamarsi per parte sua alla Carta e ai suoi valori. Sarà sufficiente? La parola più usata, quasi un refrain dell’ultima parte del suo discorso, decisamente più retorica, è stata quella di “dignità”: “pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile”. Il rischio, in questo caso, è quello di richiamarsi a valori nobilissimi ma che suonano vintage, parole e comportamenti di un tempo che fu e che ahimè non è più.
Una figura altamente rappresentativa come è il Presidente della Repubblica non può che essere anche retorico, in certe occasioni. L’impressione a caldo è che il Mattarella di questo discorso sia per fortuna riuscito a fare della buona e non della cattiva retorica. E in un Paese molto enfatico e poco sobrio quale è il nostro, già solo questo è una notizia.