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Riserve strategiche di gas, la proposta di Gavagnin e D’Ermo

Di Diego Gavagnin e Vittorio D’Ermo

Preliminare a qualsiasi strategia di sicurezza europea è far confluire in un’unica holding le singole reti e stoccaggi nazionali. Non solo al servizio dei produttori e venditori, ma dei cittadini, con la sicurezza e la transizione ecologica come principali obiettivi. L’intervento di Diego Gavagnin, coordinatore ConferenzaGNL e Vittorio D’Ermo, professional fellow Wec Italia

La crisi ucraina, comunque vada a finire, impone all’Europa (e all’Italia) urgenti decisioni strategiche per mettere in sicurezza il sistema gas, da cui dipende gran parte della sua economia e il vivere sociale. E che continueremo a usare almeno fino al 2050.

Dopo la crisi petrolifera del 1973 l’Occidente, attraverso l’Agenzia Internazionale dell’Energia costituita in quella occasione, impose ai Paesi aderenti di costituire scorte di petrolio pari a 90 giorni di importazioni nette pronte all’uso per poter decidere rilasci controllati per crisi di prezzo o forniture.

Sarebbe possibile fare una cosa simile per il gas naturale? Stoccaggi di gas si usano da sempre, ma quasi esclusivamente per la gestione delle variazioni di domanda tra estate e inverno. A scala europea le limitate riserve strategiche di gas esistenti per situazioni di emergenza sono assolutamente inadeguate e non facili da utilizzare. Le scorte di petrolio hanno impianti dedicati e un sistema simile è necessario adesso anche per il gas.

Volendo adottare i parametri dell’Aie, una scorta strategica di gas naturale per l’Italia, da poter usare in qualsiasi stagione, dovrebbe essere intorno ai 20 miliardi di metri cubi (oggi 4), in aggiunta agli stoccaggi esistenti, a tutto l’import e alla produzione nazionale, che ovviamente andrebbe aumentata anche se non sarebbe risolutiva. 76 miliardi di mc i nostri consumi nel 2021.

Ci si può provare. Ad esempio il giacimento ancora in uso ma in via di esaurimento “Barbara” nell’Adriatico, aveva una capacità originaria di 125 miliardi di metri cubi. Considerato che i giacimenti esauriti si degradano e probabilmente non riescono ad ospitare più di un quinto del gas originario, sarebbero anche più di 20 miliardi. Un’analisi di fattibilità è urgente.

Proiettando queste possibilità sull’Europa, che dovrebbe aver chiuso il 2021 con consumi intorno ai 540 miliardi di mc, la necessità sarebbe di circa 130 miliardi. I primi venti giacimenti italiani, tra esauriti e no, soprattutto in posizione strategica nell’Adriatico, assommano ad una capacità di oltre 630 miliardi. Se si potesse utilizzare un quinto di questa capacità si potrebbe avere un polmone di gas naturale per l’Europa di 120 miliardi. Il gas viaggerebbe da sud verso nord in controflusso, occupando nei gasdotti lo spazio presumibilmente lasciato libero dalle importazioni dalla Russia via Ucraina o quelli dall’Olanda, che sta riducendo la sua produzione.

Un’altra risorsa sia per l’Italia che per l’Europa è la produzione di biometano e bioGNL. Per produrli si usano scarti agricoli, refluii zootecnici e tutti i rifiuti organici. Dal 2012 sappiamo che il potenziale italiano è intorno agli 8-10 miliardi di metri cubi anno e ci si potrebbe arrivare in tempi rapidi se ci fosse una strategia industriale e una committenza pubblica volitiva. Il mercato sta esprimendo una forte domanda di bioGNL, soprattutto come combustibile per camion e navi, ed è disposto a pagarlo di più perché a impatto climatico neutro.

Visti i previsti sviluppi mondiali della diffusione del GNL, l’Italia e la Germania (che non ha nessun impianto di rigassificazione) potrebbero anche considerare la realizzazione di qualche nuovo impianto (in Italia oggi sono 3 per un totale di 14 miliardi mc), ammortizzabili entro il 2050. Nel 2006 avevamo progetti per una decina di impianti, ma poi si preferì l’alleanza strategica con la Russia per le importazioni via gasdotto. Solo i due impianti di Gioia Tauro e Porto Empedocle, già autorizzati, avrebbero garantito 20 miliardi di mc.

Preliminare a qualsiasi strategia di sicurezza in ottica continentale è comunque far confluire in un’unica struttura societaria, una holding europea, le singole reti e stoccaggi nazionali. È vero che già oggi la regolazione (che rende però ogni coordinamento parecchio complicato) può far sì che queste reti si muovano all’unisono, ma il punto centrale è che deve cambiare la loro missione. La rete europea non dovrà più essere al servizio solo dei produttori e venditori che la usano, ma dei cittadini europei, con la sicurezza e la transizione ecologica (miscelazione con biometano, idrogeno e altri gas sintetici) come principali obiettivi.



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