Tutto è bene quel che finisce. Chiusa la partita del Quirinale, Mario Draghi deve prendere per le corna la vera emergenza: l’inflazione. A Washington e in altre capitali europee c’è chi tifa perché riscopra il talento da banchiere centrale… Il commento di Joseph La Palombara, professore emerito di Yale
Ci sono due problemi urgenti che tolgono il sonno a Washington e ad altre capitali europee. Il primo è il tragico, eventuale scontro che nascerebbe dalla minacciata invasione russa dell’Ucraina. In molti sperano che l’enorme e inedita mole di sanzioni economiche in preparazione spinga Vladimir Putin a più miti consigli. Il secondo problema è la crescita dell’inflazione sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona.
Ora, è ormai quasi banale battere le mani a chi ha deciso di far restare Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi. Ma le sfide che aspettano il presidente del Consiglio italiano sono enormi. In America in molti si augurano che Draghi riesca a trovare la creatività e lo spirito di iniziativa che lo hanno contraddistinto quando ha guidato la Banca centrale europea.
Nell’ultimo trimestre l’inflazione ha galoppato da una parte all’altra dell’Atlantico. Negli Stati Uniti in particolare a inizio novembre. Nell’Eurozona all’inizio di gennaio con un balzo di oltre il 5%. Gli economisti sono per lo più concordi che questi picchi, causati da fattori esterni come la pandemia, abbiano rallentato le catene produttive e fatto schizzare i prezzi del petrolio. Ma nessuno, neanche gli esperti, può esserne davvero sicuro.
Se gli occhi sono puntati su Draghi è in parte per la sua ormai celebre rassicurazione ai tempi della Bce, quando ha imboccato la vita del quantitative easing dicendosi pronto a fare “whatever it takes”. La speranza, anzi la scommessa, è che lui e il suo governo riescano a seguire la stessa strada anche oggi nella lotta all’inflazione e alla depressione economica nell’Eurozona.
Draghi può anzitutto usare la sua esperienza per persuadere la Bce di Christine Lagarde a fare tutto quel che è necessario per evitare che l’inflazione vada fuori controllo. Un passaggio che potrebbe richiedere una serie di politiche nazionali di austerity economica e un freno alla spesa incontrollata.
Difficile spiegare una premura del genere di fronte, ad esempio, agli straordinari risultati economici riportati da Alphabet e da altre aziende hi-tech americane ed europee. Ma è innegabile che il balzo dei prezzi del petrolio e in generale l’inflazione inizino a preoccupare.
Come era inevitabile, sia la Fed sia la Bce hanno apparentemente deciso di trattare con i guanti i loro tassi di interesse ben sapendo le conseguenze economiche che avrebbe avuto un atteggiamento diverso. La verità ormai non rimandabile è che ora di un po’ di austerity c’è bisogno. Per parafrasare Draghi, è “what it takes”.
A Capitol Hill e in Europa non hanno dubbi. Nessuno meglio di Draghi per trovare la giusta risposta a questa fase economica, anche nel caso in cui si rendesse necessario un innalzamento dei tassi di interesse o un taglio provvisorio della spesa pubblica.