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Investimenti, Pennisi racconta l’anomalia italiana

Appalti

Il Paese non sembra essere riuscito a mettere in campo politiche pubbliche in grado di far rientrare i contraccolpi della doppia crisi: quella prevalentemente finanziaria del 2008 e quella dell’economia reale del 2011. Senza dubbio adesso, grazie alle risorse europee aumenteranno gli investimenti pubblici. Ma cosa faranno quelli privati se il quadro politico non si stabilizza?

Analisi dell’Ocse e del Fondo Monetario documentano il forte rimbalzo degli investimenti privati in capitale fisso sulla spinta delle politiche espansioniste di bilancio messe in atto da numerosissimi governi per contrastare gli effetti depressivi della pandemia. Una lettura attenta dei documenti suggerisce che ci sono determinanti importanti che inducono a ritenere che il fenomeno non sarà di breve periodo, ma si estenderà almeno per dieci anni.

In primo luogo, le imprese hanno metabolizzato le carenze della catena dell’offerta specialmente acute nel 2020-21 quando rifornimenti essenziali non sono arrivati e le fabbriche sono rimaste ferme. Non solo l’impossibilità di avere chip in misura adeguata da fare funzionare l’industria automotive europea ed americana. Oppure il fatto che il blocco dei rifornimenti dal Vietnam ha reso per sei mesi introvabili negli Usa scarpe da tennis e tute da ginnastica. C’è forte pressione non solo per investimenti pubblici ma anche per varie forme di partnership pubblico-privato per operazioni a lungo termine.

In secondo luogo, il “rimbalzo” prima e la “ripresa”, poi, hanno innescato un’ondata di ottimismo e la spinta ad investimenti che alimentino la crescita della produttività, particolarmente quelli mirati a aumentare la produttività intellettuale (non solo ricerca e sviluppo ma anche e soprattutto formazione continua e sviluppo tecnologico). Il 41% degli investimenti privati non residenziali americani sono diretti a questo importante: prima della pandemia erano circa il 29%.

In terzo luogo, la decarbonizzazione. Anche se non tutti i Paesi che hanno firmato l’impegno a ridurre ed alla fine azzerare le emissioni di anidride carbonica lo manterranno, c’è una vera e propria corsa verso “investimenti verdi” da parte di imprese non solo dalla mano pubblica.

In questo quadro, l’Italia rappresenta un’anomalia. Uno studio di Roberta di Stefano (Istat), Giorgia Marinuzzi (Ifel), e Walter Tortorella (Ifel) documenta che nel 2020 gli investimenti fissi lordi in Italia ammontano a 293 miliardi di euro, un dato al di sotto del triennio precedente, quando oltrepassavano i 300 miliardi l’anno.

Il trend degli investimenti lordi in Italia dal 2005 al 2020 evidenzia in termini percentuali rispetto al Pil: un andamento positivo fino al 2007, l’inizio della discesa nel 2008, il crollo nel 2009, la breve ripresa del 2010-2011, la ricaduta per il 2012-2014 e la risalita del 2015-2019, con un ritorno quasi ai livelli del 2012.

È una dinamica che mostra come il Paese non sembri essere riuscito a mettere in campo politiche pubbliche in grado di far rientrare i contraccolpi della doppia crisi: quella prevalentemente finanziaria del 2008 e quella dell’economia reale del 2011. Più di dieci anni persi, in cui l’intervento dell’Unione europea (Ue), primariamente attraverso i fondi strutturali, ha avuto un effetto per lo più anticiclico e contingente che ha consentito il completamento di investimenti che avevano fino a più di trent’anni di storia progettuale (si pensi alle tratte dell’alta velocità o ad alcune linee di metropolitane, per non parlare del recupero di diversi edifici di interesse storico-artistico).

D’altra parte, questa dinamica ricalca il trend degli investimenti privati, data la loro prevalenza sulla componente pubblica. Nel periodo 2005-2020, infatti, gli investimenti privati corrispondono in media all’85,6 per cento del totale: circa 266 miliardi di euro all’anno rispetto agli oltre 310 miliardi di euro medi annui complessivi. È un importo che conferma il peso specifico degli investimenti privati sia nella composizione del Pil italiano, sia, di conseguenza, sul suo andamento.

È implicito che l’andamento negativo degli investimenti abbia avuto un forte impatto macroeconomico sulla crescita, nonostante ci siano state componenti della domanda aggregata, come esportazioni nette e consumi privati, che hanno sostenuto con forza, e in parte compensato, il mancato apporto di risorse.

Se si stima il mancato investimento come la differenza tra i valori medi in percentuale del Pil degli ultimi due decenni (2001-2010 e 2011-2020), si può calcolare che le risorse non destinate agli investimenti nel decennio 2011-2020 ammontino complessivamente a oltre 430 miliardi di euro per il settore privato e a oltre 115 miliardi per quello pubblico.

Riuscirà il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ad invertire questa mesta e deludente tendenza? Senza dubbio, grazie alle risorse europee aumenteranno gli investimenti pubblici. Ma cosa faranno quelli privati se il quadro politico non si stabilizza? Andranno avanti, tra un’inchiesta della magistratura e l’altra, solo quelli del bonus al 110% in un comparto con un capital-output ratio molto insoddisfacente e non certo in grado da fare da traino all’innovazione?

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