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Ilva, un anno di arresti, sequestri e decreti

Un anno tempestoso, quello che si chiude oggi, per l’Ilva. Il 26 luglio dell’anno scorso infatti – mentre al ministero era in corso un vertice, tra l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini il presidente dell’azienda Bruno Ferrante e il governatore della Puglia Nichi Vendola, che sarebbe sfociato nella firma di un protocollo d’intesa per la riqualificazione ambientale dell’area di Taranto – scattarono i primi arresti e sequestri per il più grande siderurgico d’Europa, con gli operai che scesero subito in piazza fino al blocco del ponte girevole della città.

Inchiesta sull’inquinamento ambientale
La prima onda d’urto, quella del 26 luglio appunto, è legata all’inchiesta madre sull’inquinamento ambientale della città jonica: vengono sequestrati per disastro ambientale, senza facoltà d’uso, gli impianti dell’area a caldo dell’Ilva, e affidati a quattro custodi giudiziari. Otto persone finiscono agli arresti domiciliari: tra di loro, il patron dell’Ilva, Emilio Riva, il figlio Nicola e l’ex direttore dello stabilimento tarantino Luigi Capogrosso che oggi dopo un anno agli arresti domiciliari, tornano in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare indagati per disastro ambientale ed avvelenamento di sostanze alimentari.

Il provvedimento apre una lunga battaglia giudiziaria, inducendo il governo guidato da Mario Monti a mettere a punto nell’estate dell’anno scorso un primo decreto che inglobava il protocollo di risanamento del territorio. La cartella che portava la dicitura ‘Ilva’ la prese sotto braccio il ministro Clini che a marzo era già intervenuto con il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), cioè quello che sostanzialmente è il via libera dell’amministrazione competente a operare viene fatta oggetto di una nuova valutazione. L’Aia arriverà a fine ottobre e verrà ritenuta, in special modo dal ministero, come una vera e propria ‘rivoluzione’.
Il punto diventerà il cuore del futuro produttivo dell’azienda, nonché aspetto dirimente della vicenda ambientale, e interamente recepita in un decreto legge per consentire, sostanzialmente, la continuità degli impianti e l’avvio dell’adeguamento tecnologico sulla base delle migliori tecnologie disponibili (le cosiddette Bat), con un anticipo di 3 anni rispetto all’introduzione delle regole europee (in vigore dal 2016).

Arresti, sequestri e sigilli agli impianti
Il 26 novembre 2012 arriva un altro tsunami giudiziario: sette gli arresti. Tra i destinatari, ancora Emilio Riva e Capogrosso, ma anche un altro figlio di Emilio, Fabio, rintracciato successivamente in Inghilterra e lì rimasto in libertà su cauzione, l’ex responsabile Rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà. Per i Riva e il dirigente Ilva scatta l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale. Tra gli indagati, ma non per il reato associativo, c’è anche il presidente dell’Ilva, l’ex prefetto Ferrante. A complicare una situazione già delicatissima, si affianca il sequestro di un milione e 700 mila tonnellate di prodotti realizzati, che con i ‘sigilli’ agli impianti vengono ritenuti come la prova di una violazione. Un decreto del governo salva l’Ilva dalla chiusura, paventata dall’azienda per metà dicembre per via delle ricadute su tutto il gruppo Riva. La nuova Aia viene integralmente inglobata in questo provvedimento, in cui si istituisce anche la figura del Garante.
Ma il gip e il tribunale ricorrono alla Consulta per dubbi di costituzionalità: il 9 aprile scorso la Corte dice ‘no’ ai ricorsi; gli impianti sono ancora sotto sequestro anche se ora con facoltà d’uso, anche se l’azienda, di fatto, non ha mai smesso di produrre e commercializzare quanto realizza. La merce fermata sulle banchine del porto a novembre viene dissequestrata a maggio, dando nuovo ossigeno.
L’altra tempesta giudiziaria arriva il 15 maggio scorso quando, per il troncone d’inchiesta denominato ‘Ambiente svenduto’ (autorizzazioni per utilizzo di discariche) finisce in carcere, poi ai domiciliari, il presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido (Pd). Il 26 maggio vengono sequestrati a Riva Fire holding, che controlla la società Ilva spa, e in minima parte alla stessa Ilva l’equivalente di denaro, beni e titoli per 8,1 miliardi di euro. Nella lettura che ne da il giudice sarebbero soldi risparmiati dall’azienda grazie al mancato adeguamento per 18 anni degli impianti alle norme ambientali; in concreto, viene sequestrato più di un miliardo di euro.

Il decreto del governo Letta
Si arriva così al decreto del governo Letta di giugno, quello che azzera l’Ilva e nomina come commissario straordinario Enrico Bondi, che da un mese era già stato chiamato dalla famiglia Riva come amministratore delegato. Il decreto è ora in fase di conversione, ed all’esame di Palazzo Madama, dopo l’approvazione alla Camera dove, in seguito a una modifica, è stata eliminata la figura del Garante dell’Aia. Al Senato si è chiuso il lavoro delle commissioni Industria e Ambiente senza nessun emendamento al testo arriva da Montecitorio. Una decisione maturata dopo le richieste del governo, nonostante i 105 emendamenti presentati e poi ritirati o respinti, per via dei tempi stretti. Il decreto scade infatti il 3 agosto e stando ai lavori in Aula non dovrebbe approdare in assemblea per la discussione generale prima del 30 luglio. Ma sul ripristino della figura del Garante e sull’incompatibilità di Bondi nel ruolo di commissario, ci sarà da sudare.


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