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Transizione ecologica e sostenibilità sociale, quale modello di crescita?

Di Marco Magnani

Pubblichiamo un estratto dal volume “Making the Global Economy Work for Everyone. Lessons of Sustainability from the Tech Revolution and the Pandemic” (Palgrave Macmillan, 2022) a firma di Marco Magnani, economista, professore alla Luiss Guido Carli e ASP-Alta Scuola Politecnica dei Politecnici di Milano e Torino

“Making the Global Economy Work for Everyone. Lessons of Sustainability from the Tech Revolution and the Pandemic”

«L’umanità sta giocando a dadi con l’ambiente naturale […] iniettando nell’atmosfera gas serra o prodotti chimici che attaccano l’ozono, causando cambiamenti a grande scala dell’uso del terreno con deforestazioni, eliminando l’habitat naturale di svariate specie e allo stesso tempo creandone di transgeniche in laboratorio, accumulando armi nucleari sufficienti per distruggere la civiltà umana». Il grido d’allarme è del Nobel per l’Economia William Nordhaus (Reflections on the Economics of Climate Change, 1993) che da molto tempo studia l’influenza dell’economia sul cambiamento climatico e le conseguenze di quest’ultimo sulle dinamiche sociali, quali tenore di vita e benessere delle generazioni future.

Indubbiamente una parte importante della sostenibilità è associata ai vincoli ecologici dello svolgimento di attività economiche. Ciò comprende, tra l’altro, fenomeni come cambiamento climatico e riscaldamento globale, lotta all’inquinamento atmosferico, idrico, marino e del suolo, tutela della biodiversità animale e vegetale, difesa del territorio – cura idrogeologica, prevenzione antisismica, gestione d’incendi – contrasto agli sprechi alimentari ed energetici e gestione dei rifiuti.

Secondo l’opinione di molti è troppo tardi per invertire la tendenza. Per l’economista e filosofo francese Serge Latouche addirittura «siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta».

In realtà siamo ancora in tempo per frenare. A condizione di riportare l’uomo al centro dell’economia e della società anziché perseguire la crescita a ogni costo.

Ciò non significa dismettere e sostituire l’attuale modello di crescita, come auspicato da alcuni. All’approccio ideologico della “rottamazione” è preferibile quello pragmatico dell’“aggiustamento”, con l’obiettivo di recepire gli stimoli emersi dalle critiche più costruttive. Anche perché tra le diverse proposte di alternativa al modello tradizionale, pur ricche di brillanti intuizioni, nessuna sembra essere abbastanza completa per sostituirlo interamente.

Il sistema capitalista-liberale ha mostrato diverse fragilità, prepotentemente emerse di recente sia con la crisi finanziaria del 2008 sia con la pandemia di Covid-19 attualmente in corso, ma nel corso degli ultimi due secoli è stato migliore di altri sistemi dal punto di vista economico e sociale. Inoltre, aspetto da non sottovalutare, ha mostrato di essere intimamente legato al modello politico di democrazia. Si aggiunga il fatto che il modello capitalista-liberale ha dimostrato di sapersi adattare ad aggiustamenti volti a limitarne gli eccessi: si pensi, per esempio, all’introduzione di norme per la tutela del lavoro, al welfare previdenziale e sanitario, alle leggi antitrust.

Oggi è evidente che son necessari altri aggiustamenti, tali per esempio da aumentare l’attenzione per la cura dell’ambiente, per la riduzione delle diseguaglianze, per il rafforzamento della sanità pubblica e dell’istruzione, per il miglioramento della mobilità sociale. Molti di questo aggiustamenti, se fatti in modo intelligente, possono peraltro essi stessi essere fonte di nuove opportunità di crescita.

Il riassestamento non è semplice. Il cambiamento fondamentale consiste nell’inserire in un processo decisionale volto a massimizzare il risultato economico nel presente anche una variabile che tenga conto degli interessi delle generazioni future. L’obiettivo è cercare di allineare, non contrapporre, il valore economico a quello sociale.

A tal fine occorre considerare due aspetti. Il primo è il livello d’intervento necessario, che può variare da internazionale a locale, da pubblico a privato. In alcuni casi – cambiamenti climatici, deforestazione, inquinamento degli oceani, fame e povertà nel mondo, rischi di epidemie, gestione dei flussi migratori – sono inevitabili azioni coordinate a livello mondiale perché, come ricorda papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (2015) «l’interdipendenza ci obbliga a pensare a un mondo con un piano comune». In altri casi – inquinamento di città, campagne e fiumi, dissesto idrogeologico, modelli di sfruttamento del suolo, consumo energetico, smaltimento e riciclo dei rifiuti, gestione dell’acqua, sprechi alimentari – servono iniziative a livello nazionale e locale, che coinvolgano settore pubblico, imprese e cittadini.

Il secondo aspetto riguarda la modalità degli interventi, che possono essere coercitivi, sanzionatori, incentivanti, disincentivanti e di persuasione. Oppure investimenti in ricerca e sviluppo finalizzati ad aumentare la sostenibilità. In alcune situazioni sono necessarie regole chiare che proibiscano comportamenti non sostenibili e prevedano, in caso d’inosservanza, sanzioni pesanti e certe. Si pensi a norme su emissione di gas serra, bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, trattamento di rifiuti industriali, divieto di circolazione per specifiche categorie di veicoli inquinanti. Questo approccio ha alcune debolezze, che sono anche gli aspetti su cui intervenire per aumentarne l’efficacia. Intanto l’eccessiva burocrazia, perché i divieti sono troppi e oltremodo complessi. In secondo luogo, la percezione del rischio nel caso d’illeciti in questi ambiti rimane molto bassa, soprattutto se confrontata con altre tipologie di reati. Infine, imposizioni e divieti sono spesso determinati senza fare un’adeguata analisi costi-benefici.

Marco Magnani

Nei casi in cui è difficile o inutile proibire i comportamenti non sostenibili, è possibile disincentivarli attraverso una tassazione che compensi, almeno in parte, le esternalità negative generate. Un esempio è la green tax nelle sue varie applicazioni: carbon tax che colpisce fonti energetiche che emettono biossido di carbonio nell’atmosfera, pedaggi per transito urbano, contributo ambientale sui sacchetti di plastica del supermercato. Meccanismi analoghi possono essere pensati per disincentivare gli sprechi in campo idrico, alimentare ed energetico, anche se sollevano talvolta problemi di equità.

Esistono peraltro situazioni in cui comportamenti poco sostenibili – come lo sfruttamento di certe risorse naturali – sono incoraggiati. In molti paesi vi sono sussidi su combustibili fossili, agricoltura, pesca, acqua, anche se queste attività aggravano consumo di materie prime, emissioni di gas serra e inquinamento. Per esempio, i sussidi a combustibili fossili – centinaia di miliardi di dollari l’anno – hanno l’effetto negativo di ridurre sia il costo della plastica vergine sia la competitività di quella riciclata. Perché non abolire questi sussidi “ambientalmente dannosi” e implementare disincentivi fiscali e quote per incoraggiare la circolarità?

Il tema è più complesso di quanto possa sembrare. Infatti, abolire questi sussidi può in certi casi danneggiare i soggetti o i paesi più deboli e quindi un beneficio per l’ambiente può avere una ricaduta sociale o politica dannosa. È il caso di molti sussidi per agricoltura e trasporti – diretti o mediante minore tassazione del carburante – che talvolta sorreggono attività economiche, e relativi posti di lavoro, che altrimenti sarebbero a rischio. Come acutamente osserva Ferruccio de Bortoli, «se vogliamo creare una diversa sensibilità, dobbiamo scongiurare l’antipatica divisione tra chi la sostenibilità se la può permettere e chi no».

Vi sono poi circostanze in cui, anziché punire o tassare, è più efficace introdurre meccanismi d’incentivo, che rendano conveniente perseguire un comportamento sostenibile, anche dal punto di vista economico. Le strategie sono diverse: premi alle imprese che convertono i propri comportamenti inquinanti o investono in tecnologie verdi, ecobonus per detrazioni su spese per lavori che consentono risparmi energetici, contributi per sostituire veicoli inquinanti o per acquisto di auto elettriche, meccanismi premiali per i pescatori che portano a riva plastica e altri rifiuti pescati in mare, (1) bonus per chi si prende cura di aree verdi private, riduzione della tassa sui rifiuti per aziende ed esercizi commerciali che donano cibo.

Attribuire una dimensione economica alla sostenibilità può contribuire a cambiare il comportamento dei consumatori razionali, a promuovere la conversione dei cicli produttivi da parte delle imprese, a sensibilizzare sui temi di sostenibilità. Tuttavia incentivi e disincentivi sono strumenti da maneggiare con cautela. E non solo per una questione di equità ma, talvolta, anche di efficacia. In certi casi, infatti, è preferibile indirizzare quelle medesime risorse verso investimenti in ricerca finalizzata alla soluzione diretta, piuttosto che al contenimento, dei problemi. Per esempio, nel caso della plastica è meglio sviluppare tecnologie che la riciclino e nuovi materiali ecosostenibili che la sostituiscano, anziché tassarne l’utilizzo. L’attività di ricerca potrebbe anche essere finanziata da obbligazioni ad hoc che, grazie a trattamento fiscale agevolato, garantiscano ritorni interessanti.

Infine, vi sono situazioni in cui non sono necessarie norme, tasse o incentivi. La behavioral economics – che studia il processo decisionale e di scelta delle persone partendo da concetti di psicologia e dall’analisi sperimentale – insegna che talvolta può essere sufficiente, e anzi più proficua, la persuasione. Secondo la teoria del nudge, o del “pungolo”, è possibile migliorare il benessere delle persone orientando le loro decisioni, senza togliere loro la libertà di scelta e senza fornire incentivi significativi.

Come dimostrano Cass Sunstein e il Nobel per l’Economia Richard Thaler in Nudge (2008), persuadere e pungolare può essere più efficace che imporre e sanzionare. Perché i «sostegni positivi e suggerimenti o aiuti indiretti possono influenzare […] il processo di decisione di gruppi e individui, almeno con la stessa efficacia d’istruzioni dirette, legislazione o adempimento forzato». Il nudge non impone un comportamento ma aiuta la scelta. E lo fa semplicemente, rendendo una scelta più facile, gradevole o socialmente accettabile rispetto a un’altra. Il nudge può essere uno strumento importante per favorire i comportamenti sostenibili. Alcuni economisti di Harvard hanno dimostrato che le policy basate sulla persuasione sono molto meno costose e possono essere fino a quaranta volte più efficaci rispetto a bonus economici e campagne di educazione.

Qualunque sia il mix di meccanismi prescelti per migliorare il modello tradizionale di crescita, la diffusione di una cultura della sostenibilità è essenziale.

Inoltre, all’aggiustamento del modello deve seguire l’introduzione di un metodo di misurazione dei risultati che dia un peso ai tanti fattori che contribuiscono al benessere delle persone, senza dimenticare che crescita economica e innovazioni non sono nemiche della sostenibilità ma possono essere i migliori strumenti per perseguirla.

È poi fondamentale sottolineare l’importanza di mantenere un approccio pragmatico alla sostenibilità, basando le scelte importanti su un’analisi costi-benefici. A tal proposito Nordhaus sostiene che l’adozione di politiche volte a ridurre l’impatto negativo dei cambiamenti climatici deve essere valutata alla luce dei costi da sostenere, in termini di crescita sacrificata, e dei benefici attesi. In alcuni scenari, infatti, i secondi potrebbero essere inferiori ai primi. In altre parole, Nordhaus pone un tema di efficacia rispetto al costo. Da un lato sarebbe miope e scellerato ignorare il problema delle emissioni inquinanti, ma una transizione ecologica troppo aggressiva e priva di sistemi di compensazione potrebbe risultare controproducente.

Le pesanti crisi degli ultimi anni – quella economico-finanziaria iniziata nel 2008 e quella economica seguita alla pandemia del 2020 – e la maggiore attenzione ai temi della sostenibilità hanno spinto alcuni a ritenere fallito il modello di crescita capitalista-liberale. Tra le diverse proposte per sostituirlo tuttavia nessuna sembra rappresentare un’alternativa pienamente convincente. È però importante prendere atto che da alcune di queste emergono spunti innovativi che possono aiutare a migliorare il sistema tradizionale rendendolo più sostenibile.

È difficile dire se l’umanità sarà capace di fare (per tempo) quel cambio di mentalità necessario per riportare la crescita nei binari della sostenibilità. La cosa certa è che la situazione attuale non lascia spazio per errori o indecisioni. È necessario più che mai fare le scelte giuste. Con urgenza.

(1) Prima che la legge “Salva mare” introducesse in Italia un meccanismo incentivante, chi riportava a terra la plastica commetteva reato per trasporto illecito di rifiuti e doveva pagare i costi di smaltimento.

Endorsements

“Ho visto con i miei occhi, in orbita e sulla Terra, gli effetti catastrofici del cambiamento climatico: Marco Magnani ci ricorda che il pianeta non ci appartiene, ma che il suo futuro è nelle nostre mani” (Luca Parmitano, Astronauta)

“In questo affascinante libro, Marco Magnani coglie brillantemente la stretta relazione tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale e spiega l’importanza di perseguire la crescita in equità, tema centrale dell’Economia di Francesco”. (Cardinal Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna)

 

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