Al di là del successo o meno della campagna di Ucraina, Putin ha messo in moto meccanismi e forze che non aveva preventivato, che potrebbero dominare la politica globale nei prossimi mesi e potrebbero militare contro di lui. L’analisi di Francesco Sisci
La stampa russa lo annuncia con grande enfasi: le loro truppe si stanno ritirando dal confine ucraino anche se le manovre militari continuano. Mosca sostanzialmente dichiara vittoria e smorza la tensione. Non è arrivato ancora il sereno ma forse il peggio è passato. Quindi, come in tutte le crisi, è giusto che chi fa un passo indietro si dica vincitore. Nella politica che funziona bene non ci devono essere vinti ma tutti devono tornare a casa pensando di avere ottenuto di più.
In effetti Vladimir Putin, geniale presidente della Russia, può vantare vari risultati. Ha destabilizzato l’Ucraina e ha allontanato lo spettro dell’adesione di Kiev all’odiata Nato. L’aumento dei prezzi del gas per la crisi poi ha portato un cospicuo profitto nelle sue tasche, che se non ripaga le spese delle esercitazioni belliche certo non lo lascia a mani vuote. Inoltre ha lasciato l’Europa spaventata e ha provato che il suo ricatto sui deboli paesi occidentali funziona sempre. Quindi può battersi il petto e tornare a casa trionfatore.
Ma fu vera gloria? In America e in Europa nessuno ha interesse a fare scoppiare il palloncino dell’orgoglio putiniano, però la questione Ucraina potrebbe essere vista anche da altri punti di vista. Prima della crisi di inizio di gennaio in Kazakistan, dove Mosca sembra abbia ordito un colpo di Stato, gli americani e la Nato pareva volessero piegarsi al gioco di Putin e tenere la questione Ucraina in sordina.
Senza che i russi avessero cominciato esercitazioni militari, e senza in realtà che avessero anche spostato truppe sufficienti a un’invasione, gli americani avevano già annunciato lo stato di allerta. Avevano ordinato al loro personale diplomatico non essenziale di ritirarsi dal paese, facilitando così di fatto l’offensiva politica russa sull’Ucraina.
I russi sembravano facilitati consciamente o inconsciamente nelle loro manovre destabilizzanti da Washington che aveva altre priorità, e forse voleva mostrarsi in qualche modo conciliante con Putin. Dopo il Kazakistan però la retorica politica americana è cambiata. Il Kazakistan era un paese effettivamente neutrale con un governo in buoni rapporti con Mosca, Pechino e Washington. Era essenziale agli sforzi politici e diplomatici americani nella regione anche perché impediva sia alla Russia e alla Cina di sfondare pacificamente e senza interruzioni nel centro Asia.
Il suo gas è una risorsa strategica in linea di principio sia per l’Europa dove poteva essere trasportato attraverso il Caspio e poi la Turchia, sia per la Cina dove poteva arrivare a Pechino e Shanghai attraverso i deserti del Xinjiang. Il pieno controllo da parte russa del Kazakistan sposta invece questi equilibri per la Cina subito dopo il grande patto di amicizia pronunciato a Pechino. Questo significa una Russia forte, forse anche troppo forte per la Cina.
Il gas Kazako a Pechino poteva essere una alternativa strategica alle forniture energetiche russe. La mancanza di alternative strategiche alle forniture che vengono oggi dalla Siberia naturalmente non è una notizia piacevole in Cina.
Per Europa ed America la questione è parallela. Se anche nel medio, lungo termine le forniture russe non hanno alternative, Mosca assume un potere di ricatto eccessivo verso l’Europa e il silenzio sull’allargamento russo all’Ucraina diventa una notizia pericolosa, quasi un appeasement a tentativi di espansione putiniana senza limiti verso l’Europa. È l’inizio di una seconda guerra fredda nel vecchio continente.
In questo caso quindi al di là della pace ritrovata, voluta da tutti nel breve periodo, iniziano invece sforzi di preparazione di medio lungo termine su vari fronti. La Nato, che era un’organizzazione di fatto moribonda, oggi è resuscitata. Tutti ne capiscono e ne sentono il bisogno. Paesi vicini alla Russia come i Baltici, la Polonia, la Romania, la Bulgaria considerano di riorganizzare le loro difese per far fronte a una eventuale futura aggressione russa.
La stessa Ucraina che qualche mese fa sembrava potesse venire sacrificata come il classico agnello al lupo moscovita oggi è stata riempita di armi e consiglieri militari per attrezzarsi a una eventuale aggressione.
Stati europei come Germania e Francia che pensavano di cercare una via propria politica e di difesa nei confronti della Russia e della Cina rispetto agli Stati Uniti oggi si trovano a guardare sempre di più a Washington per un sostegno politico e militare per far fronte da un lato alla Russia e forse domani anche alla Cina. La via di comprarsi e addomesticare solo con zuccherini l’orso russo pare impossibile. Se lo è con Mosca forse lo potrebbe essere anche con la Cina.
Il Washington Post festeggia quindi la sveglia russa all’occidente, mentre l’intelligence americana si chiede se il macchiavellico Putin non ha un piano recondito dietro l’apparente buco dell’acqua ucraino. Sono cambiate i modi di pensare la politica. Quindi se Mosca usa logiche ottocentesche di proiezione di potere, alleanze militari, esibizioni di muscoli con colpi di Stato organizzati con successo in mezzo mondo allora non basta più comprarsi i suoi favori con beni di consumo. Tornano criteri ottocenteschi anche per l’Europa. Quindi di fatto si apre uno spazio nuovo di ritorno in grande stile per l’America e per la Nato.
Sul gas e l’energia per esempio, se oggi il 30, 40% delle forniture europee vengono dalla Russia e la Russia è disposta a usarle come arma politica e strategica di pressione è chiaro che l’Europa deve diversificare.
Tutte queste logiche si sono già viste. La Nato è nata alla fine degli anni ‘40 proprio per tutelare l’Occidente europeo dalla proiezione politica dell’Armata Rossa. La ricerca di petrolio e gas in tutto il mondo, e anche lo stesso uso di energia sovietica, è cominciata negli anni ‘70 dopo il ricatto dell’Opec.
Cioè oggi si sono messi in moto forze storiche al di là della volontà dei governi di Berlino, Parigi o Washington. Esse estendono la guerra fredda, cominciata in Asia, anche in Europa. Naturalmente il termine “seconda guerra fredda” è improprio, se non erroneo. La prima guerra fredda aveva delle caratteristiche diverse dal confronto che si sta aprendo oggi.
Oggi c’è una interconnessione economica e commerciale tra Russia Cina e il resto del mondo che non c’era allora. Ora c’è una vaghezza ideologica, che non c’era in quei tempi.
Nella prima guerra fredda i comunisti volevano esportare il proprio sistema ideologico ed economico a tutto il mondo, e così volevano fare i paesi liberali. Oggi non ci sono questi tentativi. Le tensioni attuali sono un misto di questioni di potenza ottocentesche e piena integrazione in un sistema commerciale e finanziario molto delicato e non senza pecche. C’è soprattutto ancora una grande confusione nelle alleanze. I paesi europei che pure oggi guardano a Washington con più interesse di un paio di mesi fa non sono certo piegati alle logiche americane.
D’altro canto Russia e Cina non sono pienamente allineati. Sul Kazakistan appunto avevano mire diverse.
Inoltre la Russia fornisce armi a India e Vietnam, parte sostanziale di una alleanza militare che l’America sta rafforzando in Asia in funzione anticinese. I cinesi non vogliono essere immischiati in un pantano ucraino e se non vogliono una Russia troppo debole non vogliono nemmeno una Russia troppo forte.
Gli europei temono che l’America si assenti nel momento del bisogno o gli ordini di affossarsi in avventure militari con poco senso come è stato in Medioriente negli ultimi due decenni.
Ma queste differenze a loro volta sono diverse fra loro.
Russia e Cina temono storicamente di essere tradite l’una dall’altra. Entrambi temono di essere venduti dall’altro all’America in cambio di vantaggi piccoli o grandi. Gli europei invece sanno che il “tradimento“ americano sarà sempre minore, un errore di pastrocchio, confusione, al di là delle intenzioni. Ma se si tratta di combattere per l’Europa l’America in qualche modo ci sarà, anche se lascerà forse più pasticci di quanti ne aveva trovati.
Difficile paragonare differenze, ma certo l’avventura kazako-Ucraina sull’Atlantico da una parte assottiglia le differenze, dalla parte russo-cinese invece le approfondisce. Tutto è in divenire, non ci sono grandi certezze su come andrà la situazione.
Nella vecchia, cinica Europa la forza della intellettualità razionale russa basata sul vecchio principio di potenza ha un fascino conosciuto e rispettabile. Viceversa l’America divisa tra la sinistra immersa nel politicamente corretto woke e la destra innamorata del suo strampalato Trump appare incomprensibile. Queste differenze tra il pensiero dominante in America e quello invece nel resto del mondo è provato anche dalla spaccatura nella chiesa cattolica l’unica religione unitaria del mondo. Anch’essa in America ha perso la sua unità ed è divisa tra una destra e una sinistra che fanno fatica a parlarsi fra loro.
Cioè le logiche che muovono la politica interna americana al di là di essere giuste o sbagliate diventano sempre più estranee a quelle del resto del mondo dove la Guerra Fredda 2 è una realtà e si muove secondo logiche antiche, lontano dalle demagogie trumpiane o della purezza catara dei woke.
Anche prima della seconda guerra mondiale e durante la guerra fredda l’America era divisa. Ma le spaccature riflettevano divisioni “europee”, con o contro il fascismo, con o contro il comunismo. Questi erano movimenti globali. Trump e il woke sono cose invece molto più americane, che il mondo fa fatica a riconoscere.
Ciò porta ancora a nuovi paradossi. Le logiche politiche interne, americane-americane, isolano gli Usa dal resto del mondo. Ma l’ordine mondiale, che fa perno sugli Usa, il suo “impero” ha bisogno dell’America. Inoltre la proiezione finanziaria, commerciale, tecnologica e militare Usa rendono l’impero globale essenziale alla sua stessa esistenza.
In ciò, la Russia è anche questo per gli europei. È il fascino dell’antico, dell’antipatico ma comprensibile. E ciò potrebbe valere anche per la Cina, nei suoi stessi dintorni. Il Giappone, la Corea del sud riconoscono lo sforzo di ordinare i rapporti secondo il vecchio sistema gerarchico della centralità cinese.
Ma davvero chi vuole tornare all’antico?
Così a scavare solo con l’unghia poi si vede che questo ordine antico non funziona, perché tutto è cambiato, al di là della facile comprensibilità. Allora se l’America sembra non sapere cosa fare oggi e nel medio termine, la sua proiezione spasmodica, disordinata verso il futuro appare più promettente del ripristino di vecchie sfere di influenza.
Allora, al di là così del successo o meno della campagna di Ucraina, Putin ha messo in moto meccanismi e forze che non aveva preventivato, che potrebbero dominare la politica globale nei prossimi mesi e potrebbero militare contro di lui. E non è chiaro che impatto ciò potrebbe avere nella politica interna russa stessa.