E’ noto che i mercati internazionali non hanno simpatia per il socialismo, ma temono ancor più i disordini sociali. Le prime reazioni all´elezione di François Hollande e ai disordini in Grecia sono in linea con questa sperimentata conoscenza. Non sappiamo quale sarà il modo in cui il nuovo presidente francese saprà conciliare rigore fiscale e crescita, ma quasi certamente si troverà immerso nelle stesse contraddizioni in cui si dibatte la Banca centrale europea.
Nella conferenza stampa seguita alla riunione di Barcellona, Mario Draghi respinge l´idea che vi sia una relazione tra creazione monetaria «non standard» e inflazione europea; questa viaggia al saggio del 2,6% (in Italia al 3,3%) ma è dovuta ad «aumenti del prezzo dell´energia e delle tasse indirette». Né ha origine in eccessi di domanda dato che la Bce confermavi sia una crescita fiacca dell´euroarea (0,7%, con la sola Germania all´1,5%).
Fin qui tutto bene. Dove invece l´analisi tecnica incontra la politica comincia a vacillare. Draghi ha precisato che, se l´inflazione si mantenesse sopra il livello di medio periodo del 2%, la Bce tornerà senza esitazioni a politiche «standard» con ulteriori conseguenze sulla crescita. Perché ciò non avvenga è necessario completare la «stabilizzazione fiscale» e le «riforme strutturali» per sospingere «una maggiore competizione sui mercati dei prodotti e una migliore capacità delle imprese di aggiustare salari e occupazione», così facilitando «le iniziative imprenditoriali, lo start-up di nuove imprese e la creazione di posti di lavoro». In breve la ricetta anticrisi sarebbe meno Stato e più mercato. Vedremo se Hollande e i colleghi di governo vecchi e nuovi saranno d´accordo.
Che l´Europa abbia bisogno di una dose di ciò che la Banca centrale europea chiede è fuori dubbio, ma questo non è oggi il principale problema da affrontare. Draghi, che ha finora ben operato, sa bene che governa un´area monetaria non ottimale e sa anche che essa richiede l´impegno congiunto dei Paesi aderenti per un libero movimento del lavoro e dei capitali e/o politiche fiscali compensative e/o flessibilità nei cambi all´interno. La strategia di lungo periodo perla crescita da lui invocata non può quindi essere quella di insistere su stabilizzazioni fiscali e riforme liberiste, quanto di propiziare una o un misto delle tre necessarie condizioni di convergenza delle economie dell´euroarea, senza le quali si creano danni economici e sociali dagli sbocchi imprevedibili.
L´attuale politica europea conduce a una situazione simile a quella causata dal Regno Sabaudo tra Nord e Sud d´Italia per avere omesso di curare le radici dei divari di produttività e imposto liberismi a senso unico e statalismi discriminanti tra aree. Emerge quindi sempre più chiaramente che le scelte economiche europee sono una mistificazione logica e pratica; è il caso di chiederci quali conflitti politici è destinata a causare. Urge quindi una risposta.
Panorama Economy