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Cosa vendono (davvero) Apple e Amazon

Di Mario Suglia

Partendo da San Tommaso e arrivando a Tolstoj, bisogna capire la differenza tra prodotto e bene. Se il prodotto è ciò che tocchiamo, è l’oggetto della transazione, il bene è ciò che questo oggetto “restituisce”. Amazon non vende pannolini o batterie, ma comodità. E Apple in realtà offre… Il commento di Mario Suglia, general manager di Inarea

A volte, durante incontri in cui ho la necessità di risvegliare l’attenzione o riportare il mio discorso su questioni più “strategiche”, faccio una domanda: “cosa vende Amazon?”. Dopo aver ascoltato la domanda, di solito lo sguardo del mio interlocutore è quasi di stupore, sembra pensare: “Ma questo è proprio così stupido da non sapere che Amazon ormai vende di tutto?”. E in effetti la multinazionale americana ormai vende tanti prodotti e servizi: da oggetti di qualunque tipo ai film, alla musica, oltre ad offrire servizi al mercato b2b. Quindi, la mia domanda, in effetti, sembra un po’ peregrina.

È chiaro che le mie intenzioni sono provocatorie. A me serve a far comprendere come, di fatto, non è il prodotto o il servizio che ti arriva a casa il vero oggetto della transazione ogni volta che utilizzo Amazon (questo lo considero come prerequisito in tutti gli operatori della logistica), ma è il bene che questa grande azienda-piattaforma genera: la comodità! Si, la risposta alla domanda, letta in termini strategici (ovvero, il suo perché), è: comodità. Amazon vende comodità.

La piattaforma efficiente e il delivery efficace non costituiscono quindi la vera proposta di prodotto di Amazon. Diciamo che si tratta di due condizioni necessarie, ma non sufficienti per spiegare il successo dell’intuizione di Jeff Bezos.

Stessa domanda potremmo farla per la stragrande maggioranza delle aziende, quelle che hanno una visione e su questa basano il proprio agire. Cosa vende Apple? Vende “semplicità e bellezza”. E così via, tanti altri esempi. Da qui la differenza tra prodotto e bene. Se il prodotto è ciò che tocchiamo, è l’oggetto della transazione, il bene è ciò che questo oggetto “restituisce”. Nei nostri due esempi, i servizi che queste aziende offrono di fatto generano “comodità”, “semplicità e bellezza”.

Usando la terminologia oggi tanto di moda, è la solita storia della customer experience, che potremmo meglio definire come personal experience, dove al centro dell’agire dell’impresa non c’è il prodotto, ma c’è la persona con i suoi sogni e con i suoi bi-sogni.

Ci si arriva da un’altra parte, ma alla fine riemerge anche qui il tema della “gentilezza”. L’impresa deve essere gentile con tutti i suoi stakeholders e mettere al centro la persona, che il linguaggio del mercato definisce cliente/consumatore.  Gentile vuol dire ascoltare, immedesimarsi nell’esperienza dell’acquisto (dalla scelta al consumo), immaginare le soluzioni più idonee.

La gentilezza è pervasiva ed è l’elemento distintivo della postura, dei comportamenti quotidiani, del linguaggio e di ogni elemento identitario dell’impresa.

Gentilezza per la grande multinazionale americana della logistica trova significato nel distribuire beni e servizi a domicilio, portandoli sul divano di ognuno di noi, facendoci evitare fatiche e rischi inutili. In una parola: comodità. La comodità, prima ancora dell’operazione di delivery, è la consultazione a distanza di prodotti e prezzi. Comodità tanto più ambita durante la crisi sanitaria che stiamo attraversando. Comodità vuol dire anche evitare i rischi inutili di contatto e quindi di possibile contagio.

In tutto ciò c’è qualcosa di bello! La bellezza quotidiana che rivolgiamo a noi stessi o al nostro nucleo familiare, al tempo che riusciamo a dedicare alla nostra persona, senza consumarlo nella compulsiva ricerca da negozio a negozio. C’è tutta la bellezza di un metodo che produce gentilezza nel flusso di contatto che coinvolge il ciclo che va dal produttore al distributore, fino al consumatore finale.

C’è un “metodo bellezza” che funziona nell’anamnesi dei processi produttivi contemporanei e nell’organizzazione stessa delle imprese. Il “metodo bellezza” implica l’applicazione dell’algoritmo di San Tommaso. Sì, il pensatore medievale ha sintetizzato tre parole chiave che fanno riconoscere la bellezza anche ai giorni nostri e la rendono intercettabile anche nella produzione industriale: integritas, consonantia e claritas.

L’integrità è perfezione, nel senso di compiutezza, realizzazione definitiva, che non richiede altro, e per la quale ogni altra cosa è inutile, ridondante. La consonanza è il senso della proporzione del particolare con il tutto, la corrispondenza tra uguali e diversi in un equilibrio perenne. La claritas è la luce – shining? La luce che viene colta da chi ha una sensibilità più profonda per la realtà – che illumina, che si irradia.

Un prodotto o servizio “bello” risponde a questi tre caratteri. La comodità, quindi, intesa come “cum modus” (con modo, che ben si presta o si adatta al nostro agio), più che un prodotto o servizio è un bene bello, perfetto, armonico e “luminoso”. Il “metodo bellezza” è diverso dal metodo canvas o dal metodo sprint, ma è un’opzione per la comprensione delle organizzazioni economiche e del loro successo.

La bellezza, nel suo algoritmo suggerito da San Tommaso, è il metodo che guida la progettazione dell’identità delle imprese nel nostro agire quotidiano.

La bellezza è gentile per definizione. Il tema della bellezza è scivoloso, lo so, ci sono bellezze tragiche e persino mostruose, ma la bellezza gentile è quella che ci consente un massimo comun denominatore, una base che mette tutti d’accordo. La bellezza si somiglia con la felicità, parafrasando Tolstoj: “Le famiglie felici si somigliano tutte tra loro, sono quelle infelici che hanno una infelicità ogni volta diversa tra loro”. E questa bellezza, parente della felicità, produce gentilezza in chi genera beni e in chi ne fruisce.

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