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Così la Chiesa ortodossa russa entra nel conflitto ucraino

Mentre Putin arruola il metropolita Hilarion e lo trasforma da ministro degli esteri della Chiesa ortodossa (parole sue) in “ministro della difesa”, il Papa nell’Angelus parla del conflitto tra “popoli fieri di essere cristiani”. In estate il secondo incontro tra Pontefice e Patriarca Kirill. A Mosca?

Prendendo spunto dal Vangelo di domenica 20 febbraio 2022, Papa Francesco ha affermato all’Angelus, con evidente riferimento alla crisi ucraina: “Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi la guerra!”. Un rigo e mezzo, non di più, eppure quanto basta per accendere un riflettore sul fatto che patriarchi e pope, cristiani, stanno giocando un ruolo non secondario nella crisi ucraina.

Tutto è cominciato nel 2014 quando l’invasione e l’annessione da parte della Russia della Crimea ha avuto come conseguenza l’allontanamento della Chiesa ortodossa ucraina dal Patriarcato di Mosca. Il 15 dicembre 2018, il cosiddetto “Concilio di riconciliazione” portò all’unificazione tra il Patriarcato di Kiev (fino ad allora “legato” a quello di Mosca) e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. La nuova Chiesa, la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, è stata infatti riconosciuta dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che ha concesso alla nuova entità religiosa i diritti connessi all’autocefalia, cioè il principio di autodeterminazione e di vera e propria indipendenza.

Una simile decisione presa dal Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, successore sulla cattedra dell’apostolo Andrea, fratello di San Pietro, e legato da stretti di vincoli di fraternità con Papa Francesco, è stata però fortemente contestata dalla Chiesa ortodossa russa, che di colpo si è vista privata di milioni e milioni di fedeli. Il Patriarca di Mosca Kirill ha denunciato lo sconfinamento di quello di Costantinopoli, ha rotto le relazioni con Bartolomeo, e dichiarato illegale il Concilio del 2018 e “scismatica” la nuova Chiesa , guidata dal Metropolita di Kiev Epifanij.

Questi problemi intraortodossi sono alla base del raffreddamento dei rapporti del Vaticano sia con Costantinopoli, sia con il Patriarca di Mosca, dopo lo storico incontro avvenuto all’aeroporto di Cuba, nel febbraio del 2016, tra Francesco e Kirill, prima dello scisma ucraino ortodosso.

Un loro secondo incontro è sempre stato rimandato, ma il 18 febbraio 2022, l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeyev, ha annunciato nel corso di una conferenza stampa a Genova, rilanciata dalla Tass: “Sono in corso preparativi per un secondo incontro tra Papa Francesco e il patriarca Kirill, intorno a giugno-luglio”. Precisando che “il luogo non è ancora stato scelto”. Lo stesso Francesco ha menzionato i preparativi per l’incontro con Kirill nella conferenza stampa di ritorno dal viaggio in Grecia e Cipro all’inizio di dicembre 2021. E ha dichiarato di essere sempre pronto ad andare a Mosca.

Nel frattempo però la crisi ucraina è divampata. E la posizione della Chiesa ortodossa russa, pur tradizionalmente ancillare nei confronti del potere di Mosca, si è schiacciata ancora di più su quella di Putin. Il presidente russo infatti all’inizio di febbraio ha insignito il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca (e spesso in Vaticano) di una delle massime onorificenze russe: l’Ordine di Aleksandr Nevskij, il santo nobile russo, principe di Kiev, sepolto a San Pietroburgo, la città natale di Putin, di cui è patrono.

Nel Salone di San Giorgio del Cremlino, Hilarion si è rivolto a Putin non solo ringraziandolo per l’aiuto ai cristiani in Siria contro i terroristi, e per quello che sta facendo in Africa. Ha aggiunto, con un riferimento trasparente all’Ucraina: “Il nostro Dipartimento è talvolta chiamato Ministero degli Affari Esteri della Chiesa, il che non è esatto, poiché ci occupiamo non solo di affari esteri, ma anche di relazioni interreligiose nella nostra Patria. E negli ultimi anni ci sentiamo sempre di più una sorta di dipartimento di difesa, perché dobbiamo difendere le sacre frontiere della nostra Chiesa”.

Aggiungendo: “La Chiesa russa si è formata nel corso di più di dieci secoli e l’abbiamo ereditata entro i confini in cui è stata creata. Non l’abbiamo creata noi, e non possiamo distruggerla. Per cui continueremo a resistere alle sfide esterne che dobbiamo affrontare oggi”.

L’eventuale guerra della Russia all’Ucraina ha anche questo risvolto religioso per il Patriarcato di Mosca: riannettersi quello che, a suo parere, le sarebbe stato tolto.

C’è nella crisi “una prospettiva Nevskij “, come si chiama la strada principale di San Pietroburgo (immortalata da Gogol) che finisce proprio davanti al monastero in cui a metà del XIII secolo morì il santo guerriero, protettore di Hilarion.

(In foto: Vladimir Putin e il metropolita Hilarion insignito dell’Ordine di Nevskij )



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