Intervista con il presidente della commissione Esteri della Camera: “Dalle cancellerie occidentali sono arrivate risposte nette di ferma condanna, che preludono a un fronte comune contro questa aggressione folle e ingiustificabile”
“Se l’obiettivo di Vladimir Putin era dividere l’Occidente mi pare che abbia ottenuto l’esatto contrario”, dice Piero Fassino, deputato del Partito democratico e presidente della commissione Esteri della Camera, a Formiche.net. “In queste prime ore di reazioni di tutte le cancellerie occidentali vi sono state risposte nette e chiare, di ferma condanna e che preludono a un fronte comune, unitario e coeso nella risposta a questa aggressione folle e ingiustificabile”, aggiunge.
Le sanzioni sono uno strumento sufficiente dopo l’invasione a cui stiamo assistendo?
Questo è un tema su cui certamente i governi dovranno discutere sulla base degli sviluppi degli eventi. Certo è che il sistema economico russo, oggi molto più che in passato, dipende dagli investimenti e dalle relazioni commerciali con l’Europa e gli Stati Uniti. Faccio fatica a immaginare una condivisione della scelta di Putin da parte della potentissima oligarchia russa al danno così grave che le sanzioni provocheranno ai loro interessi. E non so quanto possano a lungo sostenere questa invasione né, presumo, possano tanto facilmente accettare una Russia che guardi a Pechino, ben sapendo che la Cina sarebbe assolutamente preponderante in una futura e ipotetica partnership.
L’Italia aveva sempre lasciato aperta la porta del dialogo. Ora la Russia ha tradito ogni fiducia della comunità internazionale?
La strada del dialogo è sempre aperta. Lo dice la nostra tradizione diplomatica così come lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Dialogo però non può essere arrendevolezza e di questo Mosca dovrà prima o poi prenderne atto. E in ogni caso condizione per riprendere il dialogo è l’immediata cessazione delle operazioni militari e il ritiro di tutte le forze militari russe da suolo ucraino. La Russia ha compiuto un passo che non solo è antistorico, ma che ci riporta prepotentemente ai tempi più bui dei conflitti europei, quelli scatenati da ideologie e demagogie. Putin ha violato i patti in modo palese facendo carta straccia di accordi sottoscritti a suo tempo anche da Mosca, giustificando tale intervento con motivi che non corrispondono alla realtà. Da parte dell’Ucraina, così come da parte occidentale non vi è stata, non vi è, alcuna minaccia alla Russia. La verità è che Putin ha cercato il conflitto sin dall’inizio.
In occasione del summit di Madrid a fine giugno, la Nato presenterà il suo nuovo Concetto strategico. Che impatti può avere l’invasione russa dell’Ucraina su quel documento?
Deve essere l’occasione per porre finalmente all’ordine del giorno dell’agenda internazionale un nuovo patto per la sicurezza d’Europa. È necessario, ineludibile direi, che Nato e Unione europea rafforzino la loro partnership non solo per motivi di contingenza con la questione ucraina, ma anche perché alle porte di casa vi sono numerosissime emergenze su vari fronti. Dal Sahel ai Balcani, dalla Libia all’instabilità del Medio Oriente, non possiamo più farci trovare impreparati. Il mondo sta cambiando a una velocità disarmante e cambiano quegli equilibri geopolitici che richiedono nuove strategie rispetto a quelli di cinquant’anni fa.
Una domanda sull’Unione europea, che sta cercando una sua via per una maggiore autonomia strategica mentre gli Stati Uniti guardando sempre di più all’Indo-Pacifico. Gli sviluppi dell’Ucraina potrebbero cambiare la rotta di entrambi?
Non solo potrebbero, ma dovrebbero. È essenziale un cambio di passo, non tanto nei rapporti tra Paesi aderenti, ma nelle relazioni dell’Europa con i nostri vicini. Non aver tenuto in debita considerazione l’attenzione che l’Ucraina ha rivolto all’Europa ha esposto Kiev a un drammatico isolamento. Proprio alla luce di quel che accade l’Unione europea deve sentire la responsabilità di aprire le proprie porte all’Ucraina, includendola sempre di più nelle politiche europee. Solo così potremo evitare di generare delusione nei governi e nei popoli che aspirano a entrare nell’Unione europea, evitando che si leghino ad altre potenze ostili e antidemocratiche.