Per accelerare la fine dell’attuale regime che comanda a Mosca e dintorni, si potrebbero estendere le “sanzioni” nei confronti degli oligarchi. Per ora riguardano il sequestro dei loro patrimoni all’estero; ma alcuni di loro hanno avuto il tempo di venderli o di convertirli in fondazioni con finalità umanitaria
La professoressa Flavia Lattanzi ha analizzato, sulla base e della dottrina giuridica e della esperienza internazionale, le problematiche inerenti a portare a giudizio alla Corte Penale Internazionale (CPI), l’attuale Presidente della Federazione Russia Putin e il suo “cerchio magico” per i crimini di guerra e per i crimini contro l’umanità commessi in occasione dell’aggressione contro la Crimea (e di quelle contro la Georgia, la Cecenia e la Crimea).
La CPI è entrata in vigore nel 2002. Il suo statuto definisce l’invasione, l’occupazione militare e il bombardamento come crimini di aggressione e dice che “un attacco diffuso o sistematico diretto contro una popolazione civile” è un ”crimine contro l’umanità”. Alcuni casi di violenza che potrebbero soddisfare i criteri sono stati ripresi sui telefoni cellulari e visti sulle televisioni di tutto il mondo. Ci sono video di bombe a grappolo nel centro di Kharkiv e, orribilmente, un attacco a un asilo a Okhtyrka. La Russia rifiuta la giurisdizione della CPI, come ben documentato dalla prof.ssa Lattanzi. Ma non c’è serio dubbio che la Russia abbia infranto il diritto internazionale.
La procura della CPI ha aperto un’indagine sugli eventi in Ucraina perché “c’è una base ragionevole per credere che sia i presunti crimini di guerra che i crimini contro l’umanità siano stati commessi”. La CPI, ha aggiunto, ha giurisdizione perché l’Ucraina ha accettato due volte il mandato della Corte, una volta nel 2014 dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, e di nuovo nel 2015, quando ha riconosciuto la giurisdizione della corte per “una durata indefinita”. Il pubblico ministero è responsabile della conduzione delle indagini giudiziarie, ma deve prima ottenere l’autorizzazione da una camera preliminare della CPI o facendo in modo che un governo interessato o il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rinviino il caso. Poiché l’Ucraina non ha firmato lo statuto di Roma che ha istituito la CPI, non può (secondo le regole della CPI) deferire l’attuale conflitto al procuratore. Ma supponendo che qualcuno lo faccia, quali sono le possibilità di portare Vladimir Putin ed i suoi stretti collaboratori (non solo militari) a giudizio?
In primo luogo, la stessa apertura dell’indagine potrebbe ampliare il già profondo isolamento diplomatico della Russia. Potrebbe anche aprire altre vie legali contro Putin. Diversi Paesi europei hanno le cosiddette leggi sulla “giurisdizione universale” che consentono loro di intentare cause contro qualcuno indipendentemente dalla nazionalità dell’autore o dal luogo in cui i crimini hanno avuto luogo. La Germania, ad esempio, ha incorporato il trattato CPI nel diritto interno e ha condannato almeno tre persone (non cittadini tedeschi) per coinvolgimento nel genocidio in Ruanda e Bosnia. Rispetto agli orrori del campo di battaglia, i processi in tribunale possono sembrare quasi banali. Ma il pericolo di un processo penale è un modo per contribuire a raggiungerne altri obiettivi. La prospettiva di affrontare accuse legali potrebbe forse dissuadere alcuni dei luogotenenti di Putin dal seguire gli ordini di commettere crimini di guerra. E se, come può ancora accadere, l’invasione dell’Ucraina fallisse e portasse alla fine del regime di Putin, il processo contro di lui e i suoi più stretti affiliati sarà già almeno in parte predisposto.
L’aggressione all’Ucraina si sta rivelando una trappola per Putin non solo in quanto la forte resistenza interna non ha reso possibile un’operazione militare di un paio di giorni ed anche in caso di occupazione da parte della Russia ci sono serie indicazioni che la guerriglia contro l’occupante continuerà. Ma anche e soprattutto perché Mosca è isolata – eloquente il voto all’assemblea delle Nazioni Unite – ed il peso delle sanzioni economiche soffierà sempre di più sulla dissidenza interna. L’insieme di queste determinanti, unitamente all’incerto stato di salute (fisica e mentale) di Putin potrebbe portare alla fine del regime secondo una tradizione ben presente nella storia dell’Impero russo.
Ritengo che ci sarà una “Norimberga per l’Ucraina” (e non solo) in un futuro non troppo lontano. Potrebbe essere, preferibilmente, presso la CPI oppure in un tribunale creato ad hoc.
Per accelerare la fine dell’attuale regime che comanda a Mosca e dintorni, proporrei di estendere le “sanzioni” nei confronti degli oligarchi. Per ora riguardano il sequestro dei loro patrimoni all’estero; in alcuni casi, alcuni oligarchi hanno avuto il tempo di venderli o di convertirli in fondazioni con finalità umanitaria. Molti di loro continuano a vivere a Mayfair, Kensington, Rue Victor Hugo, Lago di Como e simili. Dato che è stata aperta un’indagine da parte della CPI e la loro vicinanza a Putin è nota, si potrebbero emettere mandati internazionali di arresto per concorso a crimini contro l’umanità. Basterebbe arrestare (se del caso nei loro lussuosi domicili) i più noti, perché gli altri prendano le distanze da Putin e si faciliti il cambiamento a Mosca.