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Phisikk du role – C’è qualcosa di antico oggi nell’aria. Anzi di nuovo

Pino Pisicchio registra quel che vede attraverso i reportage dei giornalisti nei luoghi dell’invasione e vede una strana asimmetria. Domande sulla guerra, e collaterali

Il non essere un analista di teatri bellici e di strategie militari mi esime dall’esercizio pericoloso di diagnosi e prognosi sul bruttissimo affaire ucraino. D’altro canto ho letto e ascoltato solo una manciata di ore prima dell’attacco più potente mai registrato dalla fine della seconda guerra mondiale, cose bizzarre come le affermazioni assertive di esperti togati del tipo: “Putin non invaderà mai l’Ucraina”.

Allora, se le predizioni degli strateghi erano quelle, chi sono io per aspirare, da dilettante, a dire cose che abbiano a che fare con le dinamiche guerresche? Ovviamente la colpa degli errori previsionali non è sempre dell’esperto che ha preso il posto del virologo nei talk che invadono (come i russi) i canali televisivi, ma della imprevedibilità delle tattiche offensive dei generali sovietici. Pardon: russi.

Mi limito, pertanto, a registrare quel che vedo attraverso i reportage dei giornalisti nei luoghi dell’invasione e vedo una strana asimmetria. Siamo nell’era del conflitto cibernetico, il passo prima dell’atomica, eppure, per quel che appare in questa diretta infinita dall’angoscia a qualche passo da casa, sembra di avere a che fare con una guerra antica, novecentesca, che talvolta ricorda persino la trincea del ‘15/’18 raccontata nelle poesie di Ungaretti e, insieme, riporta immagini viste nei film di genere dove al posto dei tedeschi coi panzer e le bombe, ci sono i soldati di Putin. Di contorno le narrazioni guerresche, che sono l’origine della “comunicazione politica”così come la concepiamo modernamente: si tratta di “versioni” degli eroismi dei belligeranti, di quella “propaganda” che ebbe nel ministro nazista Goebbels il suo massimo cultore nel secolo scorso, e che oggi chiameremmo sublimazione delle fake news.

E allora questo ansiogeno serial a puntate, che va in onda anche sulle tv europee, che continua a far entrare in casa cascami ideologici, che costruisce sceneggiature di storie personali toccanti, nulla dice delle strategie negoziali di quell’occidente che non entra in guerra, ma entra in armi, in questo mosaico mostruoso di ambiguità e nascondimenti. Perché la prima domanda che ad ogni uomo europeo non ancora rintronato dagli ipnotismi televisivi verrebbe in mente riguarda il pensiero razionale. C’è, infatti da chiedersi se crediamo davvero che il tavolo negoziale tra la delegazione ucraina (peraltro-si scopre-arricchita dalla presenza di spioni dell’altra parte) e quella putiniana in quel posto sperduto della Bielorussia fidelis, in un contesto in cui bombe, centrali nucleari, carri armati e missili terra-terra piovono, scoppiano e passano come confetti ad un matrimonio, possa combinare qualcosa? Non pensiamo che per dare senso a quel tavolo bisognerebbe che l’Europa ci fosse e con un unico interlocutore in grado di parlare per tutti, e che magari non fosse in campagna elettorale?

E sarebbero solo le prima domande, perché altre, altrettanto cruciali, andrebbero fatte, a cominciare dal chiedersi se qualcuno di quelli che dichiarano, comunicano, straparlano, digrignano, ha una idea di come questa storia possa finire, sinceramente: Putin si prende tutta l’Ucraina? Si allarga verso la Moldavia? O qualcuno spera che la cosa si spenga così, per incanto, perché abbiamo sequestrato la barca di qualche boiardo in quel di Portofino? E, ancora: chi sta parlando con quel sornione di Xi? Perché è di palmare evidenza che l’intervento negoziale del capo del Celeste Impero, in questo momento alla finestra in attesa di sfiancamenti reciproci tra i contendenti, potrebbe avere un significato decisivo ai fini della chiusura di questo dramma.

Poi ci sono delle domande collaterali, come quelle relative alla capacità dell’Europa di offrire un’accoglienza adeguata ai profughi, milioni, superando l’impianto securitario fino ad oggi riservato ai profughi dal mediterraneo. Tra le collaterali anche una curiosità: ci pare evidente che di fronte alla tragedia delle famiglie ucraine in fuga sembrerebbe un insulto chiedere loro di esibire il super green pass: non ci pare che il certificato vaccinale sia la prima cosa che uno si porta dietro se fugge dalle bombe. Ma, a questo punto, la giusta apertura senza burocratismi a chi cerca riparo dalla guerra si rivelerebbe una disparità di trattamento per gli italiani a cui viene chiesto il super green pass anche per prendere il caffè al bar. Dunque dobbiamo attenderci l’abolizione per decreto del Covid e di tutta la sua bella famigliola di varianti?


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