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Dalla pandemia alla guerra, come cambia la società

Di Biagino Costanzo

Se il Covid ci ha educati alla distanza individuale, alla necessità oggettiva del digitale “buono” e ha ridotto al minimo le occasioni di interazione sociale, la guerra ibrida russo-ucraina non può che guidarci verso la totale alienazione

È da qualche tempo che riflettiamo sull’individualismo sfrenato che anno dopo anno si alimenta di superficialità, imbarbarimento civile e sociale: le cose succedono sì, ma “altrove”. Tutti – o quasi – leggiamo i quotidiani di questi giorni e seguiamo le notizie dei media e, senza dar oltremodo spazio ai tuttologi o a chi, anche in questo caso, per darsi un tono incede nei distinguo, negli antichi, nefasti, “né con uno né con l’altro”, fino ad arrivare al sempreverde negazionismo, ci troviamo davanti ad una sola e triste verità, una guerra, vera, in Europa.

Se il 2022 sembrava lasciare finalmente spazio ad una rinascita, purtroppo le prospettive sembrano essere ben peggiori rispetto al precedente biennio pandemico.

Nel Paese dei No a tutto, ecco che la storia, all’improvviso, si incarica di metterci di fronte alle emergenze da gestire, con l’inevitabile rischio di tornare indietro e con inquietanti risultati.

Basti pensare, per fare un esempio, che nel nostro Paese, noto anche per essere la terra del sole e di abbondante suolo da coltivare, si importa circa il 64% del fabbisogno di grano, una follia.

E solo negli ultimi tempi, abbiamo percepito la necessità di pensare ad un piano sostenibile inerente il settore energetico e terziario, per limitare la dipendenza da Paesi extracontinentali e solo ultimamente è stato concepito un piano europeo che mettesse al centro la digitalizzazione per arginare la subordinazione dai Paesi asiatici.

A ragion veduta, sembrano essere questi i motivi principali di questo folle conflitto, (che porterà oltre a distruzione e morte una catastrofe umanitaria con migliaia anzi, milioni di profughi in fuga), anche perché nessuno, immagino, abbia creduto, per un solo istante, alle deliranti dichiarazioni del nostalgico dello Zar Alessandro III, in cui si è rivendicata l’appartenenza del territorio ucraino al grande impero russo (se in Italia qualcuno reclamasse i confini dell’Impero Romano, ci copriremmo solo di ridicolo, segnando un auto-goal epocale).

Tutto questo, se non altro, segna la fine dello scetticismo europeista ed ha, dunque, un solo significato: l’Europa deve esistere compatta così da essere incisiva nei suoi progetti sociali, politici e tecnologici.

Tuttavia, tralasciando per un momento tali aspetti, il mio pensiero si incupisce quando immagino il riflesso di tutto questo sulla società, sulla socialità e sulla percezione della realtà che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare.

Se il Covid ci ha educati alla distanza individuale, alla necessità oggettiva del digitale “buono” ed ha ridotto al minimo le occasioni di interazione sociale, questa guerra ibrida non può che guidarci verso la totale alienazione.
La paura sembra segnare, ormai, un’unica strada: la diffidenza nel prossimo.

Poco importa che sia questi un immigrato, un profugo, un keniota, un russo, un ucraino, un cinese, un malato.

Fatte queste premesse, suona inquietante l’annuncio del ceo di Facebook in cui il 2022 veniva definito l’anno del metaverso: uno spazio virtuale, in cui attraverso degli avatar, gli utenti potranno interagire e fare esperienze tridimensionali. Non solo realtà aumentata, dunque, ma un vero e proprio universo immersivo.

È davvero una evoluzione di internet, o si tratta solo di involuzione dell’uomo? Pensiamo davvero che, grazie al metaverso, avremo meno paura?

Sono fermamente convinto che tutto questo non solo non sia arricchente dal punto di vista culturale e morale, ma lo sarà sicuramente per le tasche di chi ha già intuito una facile strada per ulteriori commercializzazioni di cui, francamente, non abbiamo bisogno.

Ma è l’impazzimento generale, ci si lamenta ma al tempo stesso si è obesi di ogni novità che, possa distrarci dal pensare.

A tal proposito, è di qualche giorno fa la notizia che, nel mondo virtuale di Ertha, la stessa Roma, comprensiva della Città del Vaticano, è stata acquisita da un utente misterioso per un totale di 120mila dollari: monumenti dal valore inestimabile, storia e cultura, messi in vendita e acquistati da qualcuno che probabilmente tra qualche tempo potrà tranquillamente speculare e trarre vantaggio da tanta e immane demenza.

Vogliamo davvero che, anche, i nuovi modelli di business e di sviluppo economico riguardino solo il metaverso? O crediamo, inversamente, che sia davvero tempo di un colpo di reni, di coraggio, di tirar fuori la testa dalla comoda e calda sabbia e di capire che nulla sarà più come prima in termini economici, sociali, geopolitici, storici?

Come mirabilmente afferma Ian McEwan, “siamo qui in prima fila a guardare in tv e su Twitter un circo sanguinario, presi in trappola fra un’infinita pietà e un razionale interesse egoistico… La fibbia che trattenente l’Occidente è la realistica paura di una guerra nucleare.”

Le bombe russe sul territorio ucraino non sono realtà aumentata. I bambini stesi a terra, morti, rannicchiati nei bunker o che piangono per il distacco dai genitori, non sono avatar. Un presidente che resiste non è realtà virtuale. Ma almeno questo, noi italiani, lo sappiamo bene.

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