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Quelle connessioni tra politica e diritto per decifrare il conflitto in Ucraina

Russia e Ucraina sono Stati perennemente e rispettivamente suscettibili di spinte di netto istinto separatista laddove il senso patriottico d’unità e indivisibilità non basti a calmierare quello nazionalistico. Il commento di Angelo Lucarella

Da quando è scoppiata la guerra in terra ucraina, le analisi più appassionate e scandite da dati, studi geopolitici e militari stanno contribuendo a cercare strade di comprensione (non umana ovviamente ma solo del fatto in sé) di quel che sta accadendo.

Quel che sembra un po’ stivarsi nelle retrovie dell’attenzione comune è comprendere anche da quali strutture costituzionali dei rispettivi Paesi si debba partire per elaborare ulteriori spunti di riflessione.

Un punto primario è che la Costituzione ucraina riconosce l’autogoverno locale (articoli 5 e 7): il ché non equivale, assolutamente, a significare “autonomia locale” (come invece la Costituzione italiana prevede all’articolo 5).

Sullo stesso concetto di fondo, valgasi per la Costituzione della Federazione russa (benché più articolata per far fronte alla continentale estensione di territorio): il riconoscimento dell’autogoverno locale è all’articolo 12, addirittura, specificandosi che tali governi sono indipendenti.

Già da questi pochi elementi si può comprendere come questi Stati siano, perennemente e rispettivamente, suscettibili di spinte di netto istinto separatista laddove il senso patriottico d’unità e indivisibilità non basti a calmierare quello nazionalistico (da qui il fatto per cui i due termini non si equivalgono).

Se la questione della guerra attuale origina, dapprima, dalle dinamiche della Crimea e, successivamente, dalle evoluzioni nei territori in Donbass, ciò è sufficiente a giustificare un’azione militare solitaria, a prescindere dalla nomenclatura (speciale o meno che sia), tenendo debito conto che nel preambolo stesso della Costituzione russa si enuncia il principio di riconoscimento “dell’essere all’interno della comunità mondiale”.

Perché questo termine costituzionale non trova nell’attualità della vita socio-politico-giuridica russa una radice solida nonché, al tempo stesso, seme fondante di quel concreto “comunitarismo di pace” che dovrebbe indurre a risolvere le spinte separatiste in una chiamata mondiale alla definizione nel bene?

In buona sostanza si poteva immaginare un interessamento Onu su richiesta russo-ucraina dato che entrambi gli Stati in ballo ne sono membri (il sito ufficiale dell’Onu riporta l’elenco e i tempi di entrata)?

D’altronde l’articolo 2 della Costituzione russa afferma: “L’uomo, i suoi diritti e le sue libertà costituiscono il valore più alto. Il riconoscimento, il rispetto e la difesa dei diritti e delle libertà dell’uomo e del cittadino sono un dovere dello Stato”.

Ma se il dovere del rispetto della vita umana non è possibile in condizioni di guerra (modernamente intesa anche se la “guerra è sempre guerra”), allora non potrebbe che considerarsi la guerra incostituzionale. Con tutto ciò che ne deriva, sul piano della contraddizione, per chi si “autodetermina” credente sul piano religioso e incarnante la democrazia. Eppure le democrazie non possono, idealmente, legittimare le guerre.

E se l’unica giustificazione ufficiale, a oggi, parrebbe essere caratterizzata da una operazione di peacekeeping, è l’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, giustappunto, che stabilisce quanto segue: “I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale ed a questo scopo: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace…”.

I calcoli della guerra quindi, alla luce di queste considerazioni, a che cosa ci portano inevitabilmente?

A decifrare che la tattica della geopolitica, come la storia ciclicamente insegna, ci impone di ripensare i processi di pace ripartendo dalla conoscenza allenata degli scacchi.

Nel frattempo le vite delle persone, benché inviolabili secondo le diverse declinazioni costituzionali, vanno verso il disastro esistenziale.

Direttamente o indirettamente è quel l’umanità libera, cioè quella che esprime un voto democratico, dovrebbe ricordare ben a mente.

Ma anche su questo fronte, la ciclicità dell’umanità è al contempo bellezza e insidia.

Direbbe Aldo Moro che “la libertà si vive faticosamente tra continue insidie”.

Lo sforzo per la pace appartiene a tutti. Singolarmente e collettivamente.


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