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Stop ai cantieri. Dall’edilizia il rischio di un contagio

Di Michele Fioroni

L’impatto sull’edilizia dell’aumento del prezzo di molteplici materiali, a causa del caro energia e dell’aumento del prezzo delle quote di CO2 è un esempio plastico delle principali supply chain andate sotto stress. L’intervento di Michele Fioroni, assessore allo Sviluppo economico, innovazione, digitale e semplificazione della Regione Umbria

La notizia dello stop dei cantieri da parte di Ance è l’ennesima conferma che stiamo vivendo una seconda stagione di crisi ben più letale della precedente.

Una situazione paradossale, perché si colloca in un contesto temporale di forte ripresa, con gli ordinativi industriali mai così alti negli ultimi anni e l’edilizia trainata dell’effetto superbonus.

Al netto delle critiche a una misura che ha probabilmente la pecca di non aver considerato le caratteristiche della domanda e dell’offerta e che in un generale quadro di carenza di manodopera specializzata e di un numero d’imprese ridotto rispetto alle richieste, ha probabilmente “drogato” il mercato, il settore dell’edilizia aveva fortemente beneficiato di questo straordinario impulso, uscendo dalle paludi di una recessione mai così duratura e che aveva lasciato molti cadaveri alle spalle.

Non si può ignorare che la guerra in Ucraina abbia accentuato dinamiche già preesistenti. Oltre ai punti di Pil persi il Covid ha lasciato alle spalle un forte elemento di vulnerabilità rappresentato dalla destrutturazione delle catene di approvvigionamento.

La lontananza dei mercati di approvvigionamento come fattore di debolezza dei sistemi produttivi occidentali era già emersa in maniera chiara. La necessità di reinternalizzare alcune catene di subfornitura, riducendo la dipendenza e le interconnessioni da paesi lontani in cui erano state delocalizzazione larghe quote di produzione, ora diventata la nuova priorità.

Rivedere le catene globali del valore diventa quindi, ormai, una scelta non più procrastinabile, e di fronte alla fine, di fatto, del modello della globalizzazione, “autarchia” diventa la nuova parola d’ordine, una parola che in realtà nuova non è ma che sembrava dimenticata.

Ma la storia ci insegna che non si può essere del tutto indipendenti se comunque dipendi da altri paesi per energia e materie prime, ed è per questo che l’Europa e in particolare l’Italia, sono maggiormente esposti agli effetti della crisi Ucraina e non solo per prossimità geografica.

Ma se le miniere non si creano per decreto governativo, una politica energetica più adeguata sì, ma richiede comunque tempi lunghi e ciò su cui nel frattempo si può lavorare è equilibrare il livello di dipendenza da un numero troppo limitato di Paesi.

Lo scenario che ci propone la guerra in Ucraina fa quindi da cassa di risonanza ad un contesto già molto fragile e complesso, creando un effetto ancor più devastante, con impatti allargati ad un numero ampio di settori che impone di rivedere, obtorto collo, le fonti di approvvigionamento.

Non è più la sola mancanza di semiconduttori o la grave carenza di microchip ad arrestare la produzione, come durante la pandemia. La distruzione o comunque le turbolenze di alcune catene di fornitura impatta un numero di settori ben più ampio rispetto ai soli di matrice tecnologica, fino a manifestare le conseguenze sulla tavola degli italiani.

Si pensi come il settore del food risenta di queste dinamiche su un duplice versante. Da un lato quello agricolo, con l’aumento del prezzo dei fertilizzanti a base di potassio e fosforo, i cui carichi sono bloccati nel Mar Nero, dall’altro l’aumento del prezzo di materie prime fondamentali per l’industria alimentare italiana come grano e frumento.

Dinamiche tutte strettamente interconnesse tra di loro, con il grano, sempre per usare lo stesso esempio, che non solo non può partire dall’Ucraina, ma è è impattato anche in termini di semina e applicazioni di fertilizzanti, che sarebbero dovute avvenire proprio in questo periodo ma che a causa del conflitto rischiano di saltare. La tanto amata italica pasta rischia così di diventare sempre più costosa.

Il quadro che ci troviamo di fronte è quello di dinamiche inflative delle commodities che hanno spinte diverse. Le principali Supply Chain, erano già andate sotto stress prima della guerra in Ucraina e non solo per l’effetto del Covid.

L’impatto sull’edilizia dell’aumento del prezzo di molteplici materiali, a causa del caro energia e dell’aumento del prezzo delle quote di CO2 ne é un esempio plastico, ed il cui effetto è drammatico soprattutto perché riguarda un settore che si trova, con il Pnrr, di fronte alla più grande sfida dai tempi della ricostruzione.

Si pensi inoltre alle criticità di approvvigionamento in Europa dovuti alle interruzioni di prodotti siderurgici intermedi e finiti, come ad esempio ghisa e lastre.

A preoccupare sono inoltre le possibili carenze di metalli essenziali come palladio, alluminio e nichel, che rischiano di creare ulteriori interruzioni nelle catene di approvvigionamento globali già indebolite dalla pandemia, come nel caso dei semiconduttori.

Il palladio, ad esempio, viene utilizzato nella produzione automobilistica, nei telefoni cellulari e persino nelle otturazioni dentali, mentre il nichel per produrre batterie e auto elettriche.

In questo contesto sempre più complesso, in cui gli elementi di fragilità sono così strettamente legati tra di loro da metterci in un costante “rischio di effetto domino”, risulta sempre più fondamentale per chi governa capire in anticipo i rischi e l’impatto che potranno avere su ogni settore produttivo queste dinamiche, cercando di individuare, come si sta facendo per l’energia, fonti di approvvigionamento alternative, potenziare la produzione interna, per riequilibrare le catene globali e rafforzare la capacità di resilienza del nostro Paese.

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