Il conflitto potrebbe avere un impatto securitario molto più vasto, anche per i legami transnazionali creati dai gruppi nel corso degli ultimi vent’anni. L’analisi di Stefano Dambruoso, magistrato ed esperto di terrorismo internazionale, e Francesco Conti, ricercatore, Master’s Degree in Terrorism, Security and Society al King’s College London
L’attuale conflitto in Ucraina va sempre più arricchendosi di pericolose iniziative da parte del presidente russo Vladimir Putin che potrebbero portare a conseguenze difficilmente gestibili una volta che queste dovessero avverarsi. Le ultime decisioni relative all’acquisizione del contributo militare di 16.000 miliziani siriani esperti del conflitto, ancor in corso, in Siria, rischiano di innescare spinte al riaccendersi di azioni e strategie terroristiche jihadiste sul continente europeo. Allo stesso tempo è verosimile che lo scontro armato diventi rapidamente un catalizzatore per militanti di estrema destra, sia nuovi così come veterani che hanno già combattuto nel Donbas negli anni precedenti, grazie alla mobilitazione online di numerosi gruppi neo-nazisti europei.
Con l’arrivo in Ucraina di miliziani siriani filo-russi la situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi. Il territorio russo è già stato luogo di attentati jihadisti volti a punire la partecipazione del Cremlino nella guerra civile siriana al fianco del presidente Bashar al-Assad, considerato un tiranno (taghut) dalla propaganda sia qaedista sia dello Stato islamico. L’attentatore alla metro di San Pietroburgo del 2017 (attacco che causò 15 morti) e il jihadista solitario ucciso nei pressi di Mosca nel 2018 mentre stava predisponendo un attacco esplosivo, avevano combattuto in Siria ed erano entrambi originari dell’Asia Centrale. La presenza di milizie siriane potrebbe scatenare una reazione da parte dei sostenitori dello Stato islamico, ancora contrapposti alle forze di Assad, supportate dai militari russi, nelle zone più remote della Siria nei dintorni del deserto del Badia, dove il gruppo fondato da al-Baghdadi continua ad annidarsi. Secondo i dati del Counter Extremism Project, lo Stato islamico ha messo a segno 18 attacchi in Siria solamente negli scorsi due mesi, nonostante la perdita del califfo Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, ucciso in un raid statunitense il 3 febbraio. Data la ancora forte presenza propagandistica online dello Stato islamico, non sarebbe più necessario l’utilizzo di foreign fighter di ritorno per porre in essere attacchi in Russia o in Ucraina (contro obiettivi legati al Cremlino), essendo sufficiente contare sul pool di estremisti radicalizzati online in Russia o comunque nei paesi limitrofi dell’Asia Centrale.
Militanti provenienti dalle ex repubbliche sovietiche sono attualmente presenti a centinaia nell’Afghanistan sotto controllo talebano, arruolati per esempio nelle fila del Movimento islamico dell’Uzbekistan o del gruppo Imam al-Bukhari, con alcuni dei loro membri più esperti che hanno anche esperienza diretta di combattimento contro le forze armate russe durante la guerra civile tajika (1992-1997). Tali jihadisti, a esclusione di quelli impegnati a combattere contro la provincia locale dello Stato islamico (Stato islamico nel Khorasan) si ritrovano ora non operativi in un Afghanistan sotto il controllo dei loro alleati talebani. Essi potrebbero quindi decidere di spostarsi per condurre il jihad in un altro fronte. Il più recente rapporto sul terrorismo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del febbraio 2022 ha evidenziato come tali gruppi armati originari dell’Asia Centrale stiano godendo, con la fine delle ostilità in Afghanistan, di una maggiore libertà di movimento.
La propaganda dello Stato islamico si è subito attivata con lo scoppio del conflitto fra la Federazione Russa e l’Ucraina. Nel più recente numero della rivista settimanale al-Naba’, Daesh ha descritto il conflitto come una guerra civile all’interno del mondo “crociato”, esultando per la distruzione che essa porterà in Occidente, portando a un progressivo indebolimento delle nazioni impegnate a combattere i jihadisti. Eventuali simpatizzanti e seguaci dello Stato islamico potrebbero cogliere tale proclama come un invito ad agire per porre in essere attentati sul suolo europeo. La propaganda dello Stato islamico ha anche criticato le milizie cecene alleate di Putin (i cosiddetti “Kadyrovsky”), additandoli di apostasia per la loro scelta di combattere a fianco della Russia. Anche diversi gruppi jihadisti presenti nella provincia siriana di Idlib, hanno manifestato il proprio disprezzo per la partecipazione dei ceceni al conflitto, arrivando a dichiarare la propria volontà di inviare miliziani a combattere le forze russe in Ucraina, fattore che potrebbe portare jihadisti con vasta esperienza militare in Europa. Inoltre, Paesi come la Germania o l’Austria, dove sono presenti importanti comunità di esuli ceceni e dove alcuni di essi si sono radicalizzati per poi andare a combattere nel teatro siro-iracheno, potrebbero vedere di nuovo aumentare episodi di radicalizzazione alimentati dal conflitto in atto, con possibili spostamenti in Ucraina a compiere attentati contro interessi della Federazione Russa ovunque fosse possibile.
Secondo un rapporto del think tank Institute for Economics and Peace, che ha analizzato il terrorismo nella regione, lo scoppio di un conflitto armato può provocare anche un aumento degli attentati terroristici, indipendentemente dalla loro ideologia. Fenomeno già riscontrato all’indomani del conflitto russo-georgiano del 2008 e dopo l’inizio delle ostilità nel Donbas che seguirono la presa della Crimea nel 2014. Tale possibile escalation dovuta all’invio di veterani siriani potrebbe quindi portare a ritorsioni di parte di gruppi jihadisti, che si attiverebbero con lo scopo di attaccare obiettivi legati alla Federazione Russa, non solo in Ucraina, ma anche in altri paesi del continente. È già accaduto nel recente passato. Nel 2002 venne smantellata una cellula jihadista di origine algerina che era in procinto di attaccare l’ambasciata del Cremlino a Parigi. Il gruppo era composto da terroristi che avevano contatti internazionali con al Qaeda, ma che non avevano l’intenzione iniziale di colpire interessi russi, a cui venne data poi la precedenza in seguito al sanguinoso intervento militare russo durante la Seconda guerra cecena, tristemente noto per la grande quantità di civili che perirono sotto gli indiscriminati bombardamenti delle forze di artiglieria russe. A distanza di vent’anni, un simile intervento militare come quello attualmente in corso in Ucraina potrebbe portare cellule o attentatori solitari di natura jihadista a dirottare le proprie attenzioni nei confronti di obiettivi russi, consapevoli anche del fatto che un riuscito attentato contro interessi legati a Putin avrebbe una notevole eco mediatica, qualcosa di cui i principali gruppi jihadisti attivi hanno disperato bisogno, ora che la guerra in Ucraina sembrerebbe aver sostituito il terrorismo come minaccia prioritaria alla sicurezza.
Inoltre, il conflitto potrebbe anche attirare l’attenzione del nuovo califfo dello Stato islamico, Abu Hasan al-Hashemi al-Qurashi (fratello del ben più noto Abu Bakr al-Baghdadi, fondatore di Daesh), sicuramente desideroso di ottenere successi operativi in un periodo in cui il gruppo terroristico è descritto come indebolito e sulla difensiva dalla maggior parte degli analisti. L’unico fronte geografico dove lo Stato islamico è ancora in grado di sostenere un importante ritmo operativo è quello dell’Africa sub-sahariana, dove i suoi affiliati continuano a porre in essere attentati contro civili ma anche prendendo di mira polizia e militari, approfittando delle deboli istituzioni politiche e securitarie. Negli scorsi mesi, la Federazione Russa ha notevolmente ampliato la propria presenza in Mali e nella Repubblica Centrafricana, inviando sul campo i famigerati contractor del gruppo Wagner (già attivi in Siria e ora anche nel conflitto ucraino) per proteggere gli interessi geopolitici del Cremlino. In entrambi i Paesi, i paramilitari russi sono anche all’opera in funzione anti-terrorismo, dopo la conseguente riduzione delle forze militari occidentali nello stesso teatro. Con un aumento del contingente russo nell’area subsahariana non è pertanto da escludersi anche la pianificazione di attacchi contro elementi russi o strutture legate al Cremlino in Mali o nella Repubblica Centrafricana. Nonostante quindi la distanza geografica, il conflitto in Ucraina potrebbe avere un impatto securitario molto più vasto, anche per i legami transnazionali creati dai gruppi jihadisti nel corso degli ultimi vent’anni. Infine fra gli analisti serpeggia anche il timore di possibili attentati terroristici ritorsivi nelle capitali europee (anche in stile false-flag come già impiegati da Mosca) la prossima estate per reazione al supporto ed alle sanzioni pro Ucraina dei Paesi Europei contro Putin ed i suoi oligarchi. Un fuoco che rischia di infiammarsi sempre di più.