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Le 7 sfide della comunicazione secondo l’Ecm

«Quando smettete di parlare, avete perso il vostro cliente» diceva Estée Lauder, l’imprenditrice più influente del ventesimo secolo. La stessa cosa devono pensare 7 professionisti su 10 che sono sempre più convinti non solo che la comunicazione internazionale rappresenti una parte fondamentale dell’attività quotidiana ma che, nei prossimi tre anni, avrà un peso sempre maggiore nel determinare il successo di un’organizzazione o di un’azienda.
Questo è il quadro che emerge dalla settima edizione dell’European Communication Monitor (Ecm), la più importante indagine internazionale sul tema della comunicazione, condotta su un panel di oltre 2.700 professionisti del settore, di 43 Paesi europei.

I risultati dell’analisi sono però in netto contrasto con lo status delle imprese del Vecchio Continente: solo una minoranza di aziende in Europa ha predisposto strutture e programmi adeguati per la comunicazione internazionale. In Italia lo dichiara solo il 44.6% dei professionisti, rispetto ad una media europea del 47.3%. A dispetto di quanto si possa pensare il Bel Paese, insomma, si difende bene.

Ecco le sette principali sfide che il settore dovrà affrontare da qui al 2016:
– Allinearsi alle strategie di business globali delle aziende; affrontare con le giuste competenze i temi del digitale e del social web; costruire un dialogo con il proprio target e mantenerne la fiducia generando consenso; affrontare pubblici e canali diversificati con risorse limitate e rafforzare il ruolo della comunicazione quale strumento di supporto al processo decisionale del top management.

– Internazionalizzare la comunicazione. In questo ambito sono tre le principali questioni su cui focalizzarsi: lo sviluppo di strategie coerenti con la sensibilità sociale, culturale e politica del paese, il monitoraggio dell’opinione pubblica e la comprensione dei sistemi multimediali locali.

– Sviluppare strategie efficaci per la comunicazione di crisi istituzionali, crisi relative alle performance dell’organizzazione e crisi di leadership, privilegiando soprattutto i social media.

– Ottenere risorse e definire ruoli proporzionali all’effettiva rilevanza della comunicazione. Insomma meno tagli al budget per stare al passo con l’importanza crescente di questo settore nelle imprese.

– Monitorare la reputazione del CEO per monitorare quella dell’azienda. Perché le attività di comunicazione dell’amministratore delegato o della persona al vertice di un’organizzazione sono fondamentali per definire l’immagine dell’impresa.

– Imparare in maniera approfondita e saper sfruttare appieno i social media. I professionisti hanno competenze limitate soprattutto del quadro giuridico che regola i social media e non sono ancora in grado di avviare un dialogo via web con gli stakeholder.

– Utilizzare strategie e canali diversi a seconda del pubblico, in modo da comunicare efficacemente sia con i “nativi digitali” (sotto i 30 anni) che con i “nativi analogici” (sopra i 30 anni).

 di Alma Pantaleo



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