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Jackson, ritratto della nomina alla Corte suprema

La giustizia come argine al potere e garanzia di uguaglianza. Se il buongiorno si vede dal mattino, la nomina di Ketanji Jackson come giudice della Corte Suprema americana è di buon auspicio per gli Stati Uniti. Il commento di Joseph La Palombara, professore emerito di Yale

Diversi senatori della Commissione giustizia del Congresso americano, come prevedibile, hanno provato a gettare una cattiva luce sulla nuova giudice afroamericana della Corte Suprema Ketanji Jackson. Le è stato chiesto ad esempio in cosa consista la sua “filosofia giudiziaria”. Domanda cui, giustamente, Jackson si è rifiutata di rispondere, spiegando che, da giudice che onora la Costituzione americana, ha semplicemente il dovere di tener conto di tutte le parti prima di prendere una decisione.

A differenza dell’Italia, dove spesso politici in vista sono eletti alla Corte Costituzionale, la Costituzione americana richiede ai giudici di essere sempre politicamente neutrali. Anche per questo i giudici federali sono nominati a vita sulla base di meriti personali.

Durante l’audizione al Congresso i senatori repubblicani hanno fatto di tutto per mettere in imbarazzo Jackson. Il conservatore Lindsey Graham ha più volte fatto riferimento all’etnia e al sesso della nuova giudice, litigandovi con insistenza. Temi come la pornografia infantile, la regolazione climatica, l’aborto e perfino le dimensioni stesse della Corte suprema sono stati messi sul piatto da un gruppo di senatori, per lo più repubblicani, con l’intenzione di mettere in difficoltà l’interlocutrice.

Jackson non si è scomposta. Ha ripercorso il successo, merito di un paio di generazioni, nella lotta al razzismo ancora così radicato negli Stati Uniti. Ha rievocato la storia dei suoi genitori, entrambi cresciuti in Florida in tempi in cui il razzismo non era un metodo, ma una pratica ufficializzata al grido “separati ma uguali”. Con questa frase, ha ricordato, si giustificava in passato la segregazione, a scuola come altrove. Grazie al movimento per i diritti civili, per fortuna, quel tipo di razzismo è ormai consegnato ai libri di storia.

Eloquente il passaggio di Jackson sulla Costituzione americana e il ruolo dei giudici in un sistema tripartito che separa i rispettivi poteri giudiziario, esecutivo e legislativo. In cui, ha spiegato la giudice nominata dal presidente Joe Biden, non a caso il potere giudiziario è l’unico obbligato dalla Carta a rendere conto per iscritto delle ragioni che sottendono le sue decisioni.

Ho in passato sostenuto dell’errore politico commesso da Biden nel nominare una donna di colore alla Corte Suprema in un Paese che, forse, non era ancora pronto. Osservando le sue reazioni alle domande, specie alle più difficili, posso dire di essermi sbagliato: è stata una scelta saggia. Jackson è straordinariamente preparata, e non solo per quanto riguarda la comprensione della legge. Se sarà confermata, gli Stati Uniti faranno un enorme passo avanti.

Lo dimostra un suo passaggio in audizione sul ruolo e la missione delle corti. Che non servono solo a far rispettare la Costituzione o a insegnare cosa sia la democrazia, né tantomeno a mostrare, come spesso fanno, che perfino i pareri più strampalati e discussi possono trasformarsi in legge.

No, ha detto Jackson, in una democrazia le corti esistono, o dovrebbero esistere, anche per contenere gli eccessi e gli abusi del governo. È infatti una tendenza dura a morire di qualsiasi governo di mettere all’angolo gli oppositori e reagire in modo sproporzionato contro l’opposizione. I giudici, e la separazione dei poteri che sottende il loro lavoro, quando sono onesti diventano l’argine per evitare che un governo democratico si trasformi in autocratico.

Kethanji Jackson, ne sono sicuro, sarà un argine contro questa tendenza. E la sua audizione non lascia alcun dubbio a riguardo.

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