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Ecco perché la Cina non ha una posizione chiara sull’Ucraina

Solo quando si potranno comprendere in maniera chiara gli esiti della guerra e le conseguenze dell’invasione russa in Europa, la leadership del Partito comunista cinese deciderà una linea di azione univoca. Una scelta pienamente coerente con l’approccio cinese che però si scontra con le esigenze della realpolitik. L’analisi di Stefano Pelaggi, docente alla Sapienza Università di Roma

La Repubblica Popolare cinese è immancabilmente citata in ogni analisi sulla guerra in Ucraina, sin dal primo giorno dell’invasione russa tutti gli articoli o i servizi dedicati agli sviluppi del confitto evidenziano il ruolo di Pechino.

Nell’ultimo decennio la sfida revisionista della Cina all’ordine globale si è delineata in maniera molto chiara e la centralità di Pechino nelle dinamiche geopolitiche è evidente. Pur rimanendo apparentemente legata alla formula della “non ingerenza negli affari degli altri Paesi”, l’influenza – e spesso l’ingerenza – di Pechino negli equilibri mondiali è palese, dall’America latina al continente africano, dalle isole del Pacifico sino ai Paesi balcanici.

Le visita, negli scorsi giorni, del ministro degli Esteri cinese Wang Yi in Afghanistan e in India sono l’ennesima conferma della proiezione di Pechino sullo scacchiere internazionale. Anche se Pechino non ha raggiunto gli Stati Uniti nella competizione egemonica, la Cina è l’unica potenza – oltre a quella americana – che può avere la capacità e la statura per un ruolo da mediatore.

Fino a questo momento, Pechino ha tentato in tutti i modi di restare fuori, per quanto possibile, da un coinvolgimento eccessivo nella guerra in Ucraina. Gli elementi sensibili sono molteplici, dalla partnership strategica siglata con la Russia poche settimane prima dell’invasione in Ucraina, alla necessità di mantenere dei buoni rapporti sia con l’Unione europea sia con i singoli Paesi del Vecchio continente, dal timore di restare isolati insieme a Mosca dagli scambi commerciali globali al pericolo di scatenare un conflitto aperto con il competitor strategico statunitense, che è anche la principale destinazione dell’export cinese.

Il ruolo di Washington nella soluzione del conflitto sarà essenziale ma la possibilità di vedere gli Stati Uniti come mediatore nella crisi è altamente improbabile. I toni usati dal presidente Joe Biden in Polonia, pur ridimensionati dall’amministrazione statunitense nelle ore successive, nei confronti della leadership russa – Vladimir Putin “non può restare al potere” – sottolineano l’impossibilità di Washington di condurre un processo di mediazione. La posizione neutrale della Cina, con dichiarazioni che auspicano il dialogo e la pace, gli aiuti umanitari in Ucraina e le invettive dei diplomatici contro l’avanzata della Nato in Europa Orientale insieme a comunicati ufficiali volti a rinforzare la partnership strategica “senza limiti” con Mosca, potrebbe costituire un possibile percorso verso la mediazione cinese sul conflitto in Ucraina.

Ma la prospettiva di un fallimento cinese di fronte al primo tentativo di incidere in maniera sostanziale negli equilibri dell’ordine mondiale resta enorme e gli equilibri, sia sul terreno di guerra sia nei mercati globali, non sono ancora ben definiti. Solo quando si potranno comprendere in maniera chiara gli esiti della guerra e le conseguenze dell’invasione russa in Europa, la leadership del Partito comunista cinese deciderà una linea di azione univoca. Una scelta pienamente coerente con l’approccio cinese, dalla “non ingerenza negli affari degli altri Paesi” alla “crescita armoniosa”, che tuttavia si scontra con le esigenze della realpolitik. Se Pechino non riesce a esprimere una chiara visione rispetto a un evento che segnerà in maniera indelebile l’assetto strategico dei prossimi decenni la sua ambizione di ridisegnare l’ordine internazionale verrà inevitabilmente sminuita.

Il possibile ruolo di mediazione prevede un intervento attivo del mediatore nel periodo di post conflitto, con una partecipazione sul territorio in una fase che tutti gli osservatori indicano come estremamente delicata vista la peculiare morfologia dell’Ucraina. Ma soprattutto con le parole del professor Gabriele Natalizia (Sapienza Università di Roma e Geopolitica.info) serve un “mediatore serio. E un mediatore serio è solo un grande Paese che è capace di compensare le rinunce che fanno i soggetti seduti intorno al tavolo con delle sue concessioni”.

La neutralità non costituisce un requisito fondamentale per la possibile mediazione, l’esempio più lampante è quello del fallimento delle Nazioni Unite nel tentativo di risoluzione della disputa tra India e Pakistan sul Kashmir. Mentre la capacità di garantire il rispetto delle condizioni raggiunte, non necessariamente con una presenza attiva ma soprattutto attraverso il prestito percepito da entrambi le parti, negli anni successivi è fondamentale. Pechino non sembra pronta a un ruolo di peacekeeping ma soprattutto non è in grado di garantire a entrambe le parti le condizioni necessarie per ricompensare le rispettive rinunce. La stampa generalista italiana cita quotidianamente la Cina come l’unico attore in grado di rivestire il ruolo di mediatore nel conflitto. Mentre i “lupi guerrieri” della diplomazia cinese continuano a usare la guerra in Ucraina per sottolineare la fragilità dell’ordine globale a guida statunitense, il fronte della propagando pro Pechino in Italia ha mostrato in maniera chiara il supporto nei confronti delle ragioni russe o della necessità di una neutralità immancabilmente venata di un palese antiamericanismo. Pechino appare sempre più riluttante ad assumere le responsabilità connesse al ruolo di superpotenza mondiale.

La citazione fatta da Xi Jinping durante la telefonata con Joe Biden per discutere della crisi ucraina ha allertato i sinologi di tutto il mondo che si sono affrettati a tradurre e interpretare la frase idiomatica “jiě líng hái xū jì líng rén”. I chéngyǔ sono degli aforismi spesso tratti dai pensatori classici cinesi che sono entrati nella cultura popolare e la citazione è stata tradotta letteralmente come “chi ha creato un problema deve anche risolverlo”. Bisognerebbe comprendere per quanto tempo il mondo si dedicherà a tradurre dotte citazioni della dinastia Ming, ma l’attribuzione è sempre complessa, di fronte ai tragici eventi in Ucraina. Soprattutto se l’incapacità di Pechino di una posizione chiara e univoca sull’invasione russa potrà compromettere le ambizioni cinesi.



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