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L’economia mondiale divisa in blocchi e la deglobalizzazione infelice

Di Paolo Guerrieri

L’articolo di Luigi Paganetto, “Nulla sarà più come prima” ha innescato un dibattito su come dovranno cambiare, in brevissimo tempo, le politiche economiche europee. L’economista Paolo Guerrieri (Paris School of International Affairs, SciencesPo) parla dei costi della nuova fase di interdipendenza globale e del ruolo geopolitico inedito per l’Unione europea

L’articolo di Luigi Paganetto: “Nulla sarà come prima. L’Europa è pronta?”pastedGraphic.png

L’articolo di Pasquale Lucio Scandizzo: “Come la crisi internazionale si lega alla transizione energetica”

L’articolo di Michele Bagella: “Come l’Occidente può vincere la guerra economica”pastedGraphic.png

L’articolo di Maurizio Melani: “Game changers e nuove politiche europee”

L’articolo di Rocco Cangelosi: Ridisegnare una mappa della sicurezza europea non sarà facile

 

Sono profonde e destinate a durare le ripercussioni che sta avendo sulle relazioni economiche internazionali e sugli equilibri di potere sottostanti la Guerra scatenata da Putin.  L’intera economia mondiale potrebbe uscirne trasformata. Si parla apertamente ormai di fine della globalizzazione. Ma se il riferimento è alla fase aurea dell’economia globale, definita la ‘globalizzazione felice’, perché crescita e liberalizzazioni sembravano affermarsi ovunque nel mondo, va osservato che si tratta di un’era finita ormai da tempo, dopo la grande crisi finanziaria del 2008-2009.

Già nel passato decennio, prima della pandemia, si era delineata una nuova fase dell’economia  globale: un assetto tripolare (USA, Cina ed Europa) caratterizzato da reciprocità e tensioni crescenti nei rapporti tra le maggiori aree e paesi. Il vecchio ordine economico internazionale aveva lasciato il posto a un sistema di relazioni economiche dominato più dai rapporti di forza tra i paesi che dalle regole e istituzioni multilaterali del passato. Una sorta di ‘equilibrio tra le potenze’ (balance of power) esemplificato dallo scontro economico, tecnologico e strategico tra Stati Uniti e Cina, che era nato ancor prima di Trump con la svolta nazionalista e all’insegna dell’espansione nel mondo della Cina di Xi Jinping.

La crisi pandemica ha poi contribuito ad accrescere la frammentazione del sistema economico internazionale e a rimarcare ancor più l’assenza di una leadership globale.  E quanto era avvenuto sul fronte della lotta alla pandemia e della somministrazione dei vaccini, con risposte nazionali disordinate e in contrasto con il carattere globale dei problemi da affrontare, ne era stata una evidente conferma.

Ora le sanzioni di inusitata durezza degli Stati Uniti, dell’Europa, e degli altri maggiori paesi volte a spingere al collasso l’economia di Mosca, aggiungono al quadro economico mondiale il conflitto endemico con la Russia. È uno scontro che segna il ritorno alla guerra fredda in Europa, destinato a durare a lungo e produrre una molteplicità di conseguenze. I riflessi più importanti oltre che sul piano delle materie prime e dell’energia, che renderanno più difficili e molto più costosi i rifornimenti, saranno soprattutto su quello militare e della sicurezza, con il ‘contenimento’ da parte occidentale nei confronti di Mosca e un conseguente forte aumento delle spese per la difesa.

Ma il rischio è una ridefinizione ancora più vasta degli assetti dell’economia mondiale nel caso si consolidasse una più stretta alleanza tra Russia e Cina. Si formerebbe in questo caso un blocco sino-russo di paesi autoritari contrapposto a un blocco di paesi democratici ed economie di mercato imperniato su Stati Uniti ed Europa. Si tratterebbe di uno scenario di ‘decoupling’ ovvero ‘disaccoppiamento’ dell’economia mondiale che figurava già prima del conflitto tra quelli possibili e che avrebbero potuto caratterizzare i rapporti tra Stati Uniti e Cina nella fase post Covid. Ed era il più temuto e si diceva da scongiurare con ogni mezzo per le conseguenze negative di vasta portata sul piano macroeconomico, commerciale e tecnologico da esso derivanti.

Ora la guerra di Putin spingendo gli Stati Uniti, l’Europa, il Canada, il Regno Unito, il Giappone e la Corea del Sud ad unirsi nel punire la Russia con sanzioni finanziarie di una durezza ed estensione senza precedenti ha promosso un riallineamento a carattere geopolitico di gigantesche proporzioni. E ha fatto aumentare a dismisura il rischio del ‘decoupling’, tanto da trasformarlo nelle previsioni di molti nello scenario di base.

Certo, molto dipenderà dalle scelte e strategie della Cina. L’economia cinese è oggi dieci volte più grande di quella russa ed i suoi scambi commerciali con Stati Uniti ed Europa sono dieci volte più sviluppati di quelli con Mosca. Il suo interesse economico dovrebbe essere quello di evitare un costoso divorzio con l’Occidente. Ma resta il fatto che al di là di fumose e furbesche dichiarazioni di neutralità, Xi Jinping si è per ora di fatto schierato dalla parte di Putin, confermando il patto di amicizia ‘senza limiti’ che li lega da qualche tempo. Non va sottovalutato a questo riguardo che per la Cina una stretta alleanza con la Russia sia in prospettiva in grado di offrire ad un tempo sicurezza sul suo confine a nord, un’accresciuta disponibilità di materie prime, in primo luogo energetiche, e un partner di rilevo nella crociata condotta da tempo contro l’ordine politico ed economico occidentale.

Una delle poche certezze è che la divisione in blocchi dell’economia mondiale comporterebbe costi immensi per tutti da sopportare. Visto che la nuova Guerra Fredda a differenza della prima, dove il blocco dell’Unione sovietica e dei paesi satelliti pesava allora circa il 10% dell’economia mondiale, vedrebbe dall’altra parte allineate un insieme di paesi ed economie autoritarie, a partire dalla Cina, il cui peso vale oggi circa tre volte, ovvero il 30% del Pil mondiale. Scongiurare un tale scenario di ‘deglobalizzazione infelice’ è ancora possibile ma è legato alle sorti della guerra scatenata da Putin. Come gestire e mitigare i costi della nuova fase di interdipendenza globale che si aprirà di qui a breve sarà comunque un compito fondamentale di tutti i maggiori paesi, a partire da quelli europei.

In questa prospettiva l’Unione europea sarà chiamata a svolgere un ruolo geopolitico a livello internazionale per molti versi inedito.  Dovrà attrezzarsi anche sul piano della strumentazione. Oggi molto carente. E dovrà farlo al più presto. Visto che il programma di rilancio-ristrutturazione economica all’interno dell’Unione legato al programma NGEU e il rafforzamento del ruolo geopolitico internazionale dell’Europa diverranno sempre più intrecciati e si condizioneranno a vicenda nei loro esiti.



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