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Se per la Russia internet è un complotto occidentale

Di Irina Borogan e Andrei Soldatov
Se per la Russia internet è un complotto occidentale

In questa terza parte della serie “La nuova cortina di ferro”, Soldatov e Borogan (senior fellow di Cepa e cofondatori di Argentura.ru) ripercorrono gli sforzi sistematici della Russia per rendere il proprio internet “sostenibile e autosufficiente”, ossia controllabile

Questa serie racconta gli albori e lo sviluppo della censura digitale russa. Leggi la prima e la seconda parte de “La nuova cortina di ferro”.

Per anni gli ex generali del Kgb hanno guardato alla crescita di internet con sospetto, credendo che fosse una minaccia alla sicurezza nazionale della Russia. Hanno giurato di disabilitarlo.

Il loro leader era Vladislav Sherstyuk, un ufficiale di carriera del Kgb. Nel 1998 è diventato direttore del Fapsi, la divisione dei servizi segreti incaricata di spiare le comunicazioni straniere e la protezione delle reti più sensibili del governo. L’anno successivo il presidente Vladimir Putin ha promosso Sherstyuk al potente Consiglio di sicurezza, dove ha supervisionato il dipartimento di sicurezza delle informazioni. E nel 2000 il suo team ha creato la “Dottrina della sicurezza delle informazioni della Federazione Russa”, un piano per il futuro dell’internet russo.

La sua dottrina riflette la mentalità del Kgb: il libero flusso di informazioni, proveniente dall’Occidente, rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale della Russia. Le minacce vanno da una “svalutazione dei valori spirituali” a una “riduzione del potenziale spirituale, morale e creativo della popolazione russa”, così come la “manipolazione delle informazioni (disinformazione, occultamento o travisamento)”. Putin ha firmato il documento, e il Consiglio di sicurezza è diventato il centro ideologico delle operazioni per frenare la libertà di internet russa e la forza dietro il nascente internet sovrano.

Nel novembre del 2017 il Consiglio ha incaricato il Ministero delle Comunicazioni di presentare “proposte per la creazione e l’attuazione di un sistema informativo statale per garantire l’integrità, la stabilità e la sicurezza del segmento russo di internet, così come la sostituzione dei root server per i nomi di dominio nazionali di massimo livello.” L’ente ha anche avvertito che “una grave minaccia per la sicurezza della Federazione Russa è l’aumento delle capacità dei Paesi occidentali di condurre operazioni offensive nello spazio di informazione, assieme alla disponibilità ad usarle”.

Ufficialmente, il Consiglio di sicurezza mirava a rendere internet russo sostenibile e autosufficiente. In realtà, il Cremlino voleva costruire un efficace sistema di controllo. Aveva identificato sei sfide da superare:

1) La principale minaccia alla narrativa del Cremlino non viene dall’estero, ma dall’interno della Russia

Durante la guerra fredda, il Cremlino vedeva i contenuti più pericolosi provenire dai media occidentali. Questi contenuti potevano essere trovati su internet, ma i russi preferivano e si fidavano dei contenuti nazionali.

I documentari del leader dell’opposizione Alexei Navalny sulla corruzione del Cremlino hanno attirato un pubblico record su YouTube. Nel 2017, il video di Navalny sulla presunta corruzione del primo ministro russo Dmitri Medvedev è stato visto più di 22 milioni di volte. Da allora, l’organizzazione di Navalny ha prodotto video anti-corruzione su YouTube su scala industriale. Questi video sono più popolari dei contenuti creati da Radio Free Europe, Voice of America o la Bbc.

Così il Cremlino inziò a fare pressione sulle aziende tecnologiche locali e occidentali per eliminare i contenuti dell’opposizione critici nei confronti delle autorità.

2) I russi ordinari che sono testimoni di qualcosa di straordinario e lo pubblicano online sono più pericolosi degli attivisti

Quando la gente comune è testimone di un disastro naturale, di una catastrofe tecnica o della brutalità della polizia – e ne condivide le prove, attraverso video o foto – i post diventano virali. Le informazioni si diffondono troppo velocemente perché il sistema di censura possa affrontarle.

Così il Cremlino creò un centro di controllo a Mosca, dandogli la capacità di supervisionare l’accesso all’intera rete internet russa.

3) I russi preferiscono le app globali a quelle locali

I censori sanno che gli attivisti usano app come Signal o software come Tor per oscurare le loro comunicazioni, ma i russi comuni dipendono dalle app di consumo tradizionali come WhatsApp, Viber (un’app di comunicazione di proprietà della società giapponese Rakuten), Telegram e TikTok.

Così il Cremlino decise di sostituire la dipendenza dalle app occidentali spingendo gli utenti verso le app locali, che i servizi di sicurezza potevano controllare e censurare.

4) Il video è il tipo contenuto online che più probabilmente è in grado di generare proteste di massa

La crescita esplosiva di YouTube e TikTok ha colto di sorpresa le autorità russe. Nel 2017 il documentario di Navalny sulla corruzione di Medvedev ha incoraggiato gli YouTuber russi a diffondere video che mostrano la brutalità della polizia usata per reprimere le proteste. Gli scolari russi hanno filmato i loro insegnanti che infierivano sui nemici dello stato e hanno postato i video.

Così il Cremlino ha concentrato i suoi sforzi di censura sui post video, presentando numerose denunce a YouTube sui video di Navalny, e arrestando l’editore di Navalny Live.

5) La rete decentralizzata permette di pubblicizzare e promuovere eventi non solo a Mosca o San Pietroburgo, ma da qualsiasi punto del vasto Paese

Nell’agosto 2018 sono aumentate le tensioni nella regione a maggioranza musulmana dell’Inguscezia, per via di un accordo di modifica dei confini con la vicina Cecenia, sostenuto dal Cremlino (per via del quale l’Inguscezia ha perso circa il 9% del proprio territorio a favore della Cecenia, ndr). Il giorno della firma dell’accordo, un centinaio di persone si sono riunite per protestare nella capitale inguscia, Magas.

La connessione internet in Inguscezia fu tagliata. Le autorità soppressero lo streaming dal vivo. Nelle settimane seguenti, gli ingusci continuarono a scendere in strada per protestare, e i servizi segreti dell’Fsb decretarono la chiusura del web.

Nonostante gli sforzi, le informazioni sulle proteste continuavano a trapelare. Così il nuovo sistema del Cremlino, controllato attraverso un unico centro a Mosca, è stato costruito per tagliare internet a intere regioni, consentendogli di agire senza fare affidamento su esecutori regionali.

6) Le compagnie di telecomunicazione russe non sono disposte a pagare il conto della censura e degli strumenti di sorveglianza

A partire dagli anni 90 le compagnie di telecomunicazione russe sono state obbligate a comprare e aggiornare le attrezzature per la sorveglianza online. Dal 2018 sono costretti a conservare i dati completi di tutti gli utenti per sei mesi, e i metadati per tre anni.

Le compagnie di telecomunicazioni hanno protestato. Talvolta la loro resistenza è diventata pubblica – i funzionari delle aziende hanno espresso le loro preoccupazioni in conferenze e ai giornalisti. Nella maggior parte dei casi, la resistenza è rimasta privata. Le aziende hanno cercato di trovare un modo per aggirare la legislazione, per esempio, affittando attrezzature di sorveglianza dai grandi operatori. Questa resistenza ha minato l’efficacia della sorveglianza e del filtraggio a livello nazionale russo.

Così i censori del Cremlino capirono che avevano bisogno di pagare le aziende per installare strumenti di censura e sorveglianza. Hanno iniziato a fornire ai fornitori di servizi internet (Isp) attrezzature speciali che hanno garantito al governo i mezzi per sopprimere e reindirizzare il traffico al centro di controllo di Mosca.

Così nacque l’internet sovrano. Sarebbe stato costruito nel corso degli anni successivi, in anticipo sulla decisione di invadere l’Ucraina.

L’articolo originale in lingua inglese è apparso sul sito del Center for European Policy Analysis (CEPA) con il titolo “The New Iron Curtain Part 3: The Internet is a Western Plot”.

Andrei Soldatov è nonresident senior fellow del CEPA, un giornalista investigativo russo, ed è cofondatore ed editore di Agentura.ru, un osservatorio sulle attività dei servizi segreti russi. Si occupa di servizi di sicurezza e terrorismo dal 1999.

Irina Borogan è nonresident senior fellow del CEPA, una giornalista investigativa russa, ed è cofondatrice e vicedirettrice di Agentura.ru.


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