Luca Balestrieri insegna Economia e gestione dei media alla Luiss. Nel libro “Le piattaforme mondo. L’egemonia dei nuovi signori dei media” (Luiss University Press) racconta la rivoluzione in corso nel mondo dei consumi culturali. Ne pubblichiamo un estratto
Un progetto di media 4.0, che disegni un percorso di sovranità culturale per l’Europa, deve misurarsi con gli elementi di forza e di debolezza non solo del sistema della comunicazione, ma di quello tecno-industriale nel suo complesso. Capitalismo delle piattaforme e quarta rivoluzione industriale sono due aspetti della stessa trasformazione, che anche territorialmente crea vincenti e perdenti.
La debolezza dell’Europa sta nella mancanza di propri campioni: gli ecosistemi a proiezione globale che stanno rifondando anche la produzione culturale, ossia le piattaforme-mondo, sono statunitensi o – in prospettiva – anche cinesi. È una debolezza che proietta nel presente la storica mancanza di grandi media companies europee in grado di incidere, nei decenni passati, sulle dinamiche della globalizzazione. La forza dell’Europa è invece da ricercare nella vitalità diffusa delle sue industrie creative, talvolta capaci anche di conquistare dimensione industriali apprezzabili, come per esempio nella produzione di serie o di format; ed è soprattutto da individuare nella potenzialità da parte delle sue istituzioni di esprimere progettualità e mobilitare risorse nella ricerca, nelle politiche industriali e nella regolamentazione dei mercati.
Fino a un recente passato, questi elementi di forza e queste debolezze hanno determinato una sorta di equilibrio, venuto a mancare nel momento in cui le piattaforme hanno iniziato a incidere seriamente, anche in Europa, sulla tenuta dei sistemi nazionali dei media. La possibilità di progettare un sistema dei media 4.0 si trova di conseguenza stretta in una finestra temporale di opportunità, destinata a chiudersi abbastanza rapidamente con lo sviluppo, negli anni Venti, della nuova fase di globalizzazione mediale governata dalle piattaforme-mondo.
Nonostante alcune somiglianze tra le proposte in discussione negli Stati Uniti per riportare sotto controllo il potere politico ed economico delle piattaforme e i progetti in tal senso elaborati dalla Commissione europea, vi è una differenza sostanziale tra le condizioni oggettive nei due mercati. Negli Stati Uniti, il tema è ridimensionare l’eccessivo potere concentrato in un pugno di soggetti, in grado di condizionare l’opinione pubblica, il processo democratico e le dinamiche di mercato. In Europa, il problema si presenta con un duplice aspetto: un eccesso di potere nelle piattaforme, ma anche la dipendenza dell’apparato tecno-industriale da queste piattaforme. Anche qualora negli Stati Uniti prevalesse la soluzione più radicale, quella del breakup dei giganti digitali, resterebbe pure in questo scenario estremo il problema della dipendenza dalle piattaforme statunitensi e l’esigenza di costruire l’autonomia strategica dell’industria europea. In ogni caso, l’Europa dovrebbe ripassare la lezione coreana su come accettare la sfida del capitalismo delle piattaforme con una strategia di sovranità digitale.
La riorganizzazione dei mercati secondo linee di appartenenza geopolitica rende più acuto questo problema. La guerra fredda digitale tra Stati Uniti e Cina, dichiarata in modo teatrale da Trump ma proseguita, con un pensiero strategico più ordinato, da Biden, ha spinto l’Europa, sin dalla fine degli anni Dieci, a cercare un nuovo orientamento della politica industriale. Nell’era della sicurezza e del capitalismo delle piattaforme, anche i media richiedono all’Europa una politica industriale, e non solo la tutela della concorrenza e della privacy.
La visione di un sistema di media 4.0 deve misurarsi con vincoli di scenario. Il primo riguarda l’integrazione tra tecnologie e processi creativi. Le tecnologie, innanzitutto l’intelligenza artificiale, sono ormai parte ineliminabile della produzione culturale: perché l’ideazione e la distribuzione di contenuti sono indirizzate dalla raccolta e dall’interpretazione dei dati; perché la qualità e la competitività dei contenuti post-televisivi, dai social ai videogiochi al video-sharing, dipendono dalla continua capacità d’innovare le tecnologie; perché il contenuto culturale dei consumi mediali riguarda anche la creazione di forme mentali che acculturino al nuovo ambiente cyber-fisico della quarta rivoluzione industriale.
La lezione della Corea – una periferia mediale che si sposta verso il centro del sistema – è quella di una visione interdipendente delle industrie creative e del loro retroterra tecnologico. All’Europa non mancano le risorse, le eccellenze tecnologiche e le strutture su cui basare progetti molto più ambiziosi degli attuali.
Si tratta di immaginare un processo di sviluppo lungo, che possa acquisire forza nel tempo, e che nell’immediato richiede un’elevata capacità di fare sistema; un processo che sia soprattutto espressione di una visione più ampia del posizionamento dell’Europa nell’economia e nella geopolitica dei prossimi decenni. I media 4.0 hanno l’orizzonte avvolgente della quarta rivoluzione industriale – e sono necessari per darle consapevolezza e soft power.