L’Ungheria si ritrova con le spalle al muro, costretta a occupare una posizione netta: o con gli alleati euro-atlantici o con la Russia putiniana. Questa sua scelta inciderà non solo sugli equilibri internazionali, ma anche sui rapporti che determinano l’equilibrio all’interno del Gruppo di Visegrad. La lezione per la Polonia nelle parole del deputato Maciej Gdula
Viktor Orbàn non ha vinto le elezioni in Ungheria. Le ha stravinte. Sbaragliando la corazzata dei verdi, dei socialisti, dei nazionalisti di Jobbik, dei progressisti e dei liberali; eclissando la Große Koalition capeggiata da Péter Márki-Zay. Perciò, il “tutti uniti contro Orbàn” non è bastato, o meglio ha peggiorato le cose.
L’alleanza Fidesz- KDNP strappa il 53,10% ottenendo 135 seggi su 199, mentre il fronte d’opposizione “Uniti per l’Ungheria” sfiora un deludente 35% eleggendo 56 deputati all’Assemblea Nazionale. Soprattutto, sorprende (forse neanche tanto) l’avanzata di Mi Hazánk Mozgalom (Movimento Nostra Patria), il partito di estrema destra guidato da László Toroczkai, che raggiunge il 6,17% conquistando ben 7 scranni.
Come avevamo predetto, subito dopo il voto di domenica, l’Ungheria si ritrova con le spalle al muro, costretta a occupare una posizione netta: o con gli alleati euro-atlantici o con la Russia putiniana. Questa sua scelta inciderà non solo sugli equilibri internazionali, ma anche sui rapporti che determinano l’equilibrio all’interno del Gruppo di Visegrad. Infatti, se in precedenza Budapest poteva contare sul sostegno del governo polacco nella schermaglia contro Bruxelles, dove l’oggetto della contesa era la tutela dello stato di diritto e delle minoranze e la sovranità nazionale, oggi, nello scontro corpo a corpo tra i figli adottivi dell’Occidente e i nostalgici della Grande Madre Russia, Varsavia prende le distanze dalla strategia orbaniana. Ma lo fa in maniera lesta, senza dare nell’occhio.
Il simbolo del potere costituito, ovvero il vicepremier Jarosław Kaczyński ,che in Polonia detiene un’egemonia politica e mediatica molto simile a quella ostentata dal vicino ungherese, ha rilasciato un’intervista al settimanale Sieci.
“Cerchiamo di fare un’analisi lucida e pacata della situazione”, cerca di contenersi il presidente del PiS, “l’Ungheria ha sostenuto tutte le sanzioni inferte alla Russia. Certo, sono contrari al divieto di importazione di petrolio dalla Russia, ma purtroppo questo è lo stesso atteggiamento che contraddistingue la Germania e molti altri importanti paesi dell’Ue. Dobbiamo prendere consapevolezza delle condizioni in cui versa l’economia ungherese, una situazione totalmente diversa rispetto alla realtà polacca. La profonda dipendenza dalla Russia espressa in molte dimensioni è avvenuta durante il periodo del primo ministro post-comunista Ferenc Gyurcsány. Sappiamo che si tratta di un legame difficile da recidere, come sappiamo benissimo che l’Ungheria ha una storia diversa dalla nostra; quindi, tende ad affrontare il conflitto russo-ucraino in modo diverso. Inoltre, ricordiamo che vi è una grande minoranza ungherese in Ucraina. Ovviamente, noi valutiamo in modo critico l’atteggiamento di Budapest e contiamo sul loro maggiore impegno. Ciò non significa, tuttavia, che dobbiamo smettere di cooperare su sentieri finora battuti. Bisogna anche dire onestamente che abbiamo sempre saputo delle differenze tra l’atteggiamento del primo ministro Orban e il nostro campo politico nei confronti della Russia e della Germania. Era già visibile durante la nostra lunga conversazione a Nidzica, avvenuta qualche anno fa. Ci conoscevamo prima, ma era la prima volta che riuscivamo a riconoscere le nostre posizioni in modo più profondo”.
Quindi, cosa ne sarà della tenuta di Visegrad? Come possono quattro stati membri allontanati dall’eterogeneità dei propri interessi nazionali, quasi in rotta di collisione, continuare a collaborare in una prospettiva politica ed economica comune?
“Non miniamo in alcun modo il nostro legame. Il primo ministro Morawiecki ha concordato con il primo ministro Orban e altri partner di sospendere per diverse settimane i lavori del gruppo di Visegrad, che tornerà sicuramente alle sue utili attività”, prosegue Kaczyński, tentando ancora una volta di dissimulare un imbarazzo più che evidente: “Sottolineo: ci sono differenze, ma abbiamo a che fare con un partner che non ha mai nascosto la sua posizione o tradito. In altri ambiti di cooperazione, come l’Unione, non ci ha mai deluso”.
Anche il premier Mateusz Morawiecki si barcamena in una difesa fragile, utilizzando l’ambiguità tedesca come un argine verso le accuse che piovono a dirotto su Orbàn.
“Chiunque può accorgersi che la Germania è il principale freno a sanzioni molto forti”, ha osservato il capo del governo polacco, “Victor Orbàn ha accettato le sanzioni. Gli ostacoli principali sono i grandi paesi, quelli che hanno paura per i loro affari. Orbàn ha avuto un successo plebiscitario in Ungheria. E il responso elettorale, come ogni meccanismo che regola un sistema democratico, va rispettato”.
L’opposizione polacca, invece, capta una sentenza didascalica dal risultato delle elezioni ungheresi: le accozzaglie di simboli e nomi non bastano per sradicare vere e proprie fabbriche di potere che controllano il sistema mediatico, politico e giudiziario di una nazione. A tal proposito, riportiamo le dichiarazioni che Maciej Gdula, deputato di Lewica e membro del Comitato parlamentare relazioni internazionali, ha rilasciato a Formiche.net dopo il trionfo plebiscitario di Orbàn e il collasso della coalizione rivale.
“Le elezioni ungheresi si sono rivelate essere una lezione importante per i partiti di opposizione polacchi”, afferma Gdula, “l’idea di una lista contro Kaczyński sta diventando uno scenario molto improbabile. Quando ti limiti ad assemblare sigle partitiche contro un leader (che sia Orban o Kaczyński non ha importanza) non fai altro che rafforzarlo. Riduci tutte le differenze e i valori politici importanti che identificano le famiglie politiche che costituiscono il cosiddetto fronte d’opposizione. In questo modo, resteranno solo macerie. È molto difficile vincere le elezioni per un puro ‘andare contro qualcuno’. Le persone vogliono proposte e meritano visioni positive della governance. Questo li condurrà a votare con convinzione e orgoglio per una vera alternativa allo stato di cose presente”.
Eppure, al di là delle dichiarazioni che mirano a sedare i malumori che agitano i fondatori di Visegrad, la riconferma di Orbàn produrrà senza dubbio degli effetti negativi sul rapporto bilaterale Varsavia-Budapest. La “puntinofobia” che connota il senso comune polacco non tollererà a lungo esternazioni come quelle espresse da Orbàn a urne chiuse.
“Ho dovuto combattere contro la sinistra in patria, la sinistra internazionale, i burocrati di Bruxelles, contro il denaro e le organizzazioni di George Soros, i media mainstream di tutto il mondo, e infine contro il Presidente dell’Ucraina. Mai avuti così tanti avversari contemporaneamente”.
Ecco, se i polacchi sono ben lieti di aprire il fuoco sui tecnocrati dell’Ue, non sono però disposti a perdonare il massacro di Bucha (le cui immagini brutali sono state diffuse lo stesso giorno del voto in Ungheria) né le fiamme che hanno raso al suolo Mariupol, dato che il calore dell’incendio russo rischia di ustionare l’ex satellite sovietico.
Sarà proprio l’Ungheria di Orbàn con il suo atteggiamento mellifluo nei confronti di Mosca ad appiccare il fuoco anche all’impalcatura del castello di Visegrad? L’ipotesi non è poi così improbabile. Di certo, la Polonia saprà dimostrare la sua fedeltà alla Nato e difendere un legame che più di una cooperazione militare è un vero cordone ombelicale.