“Bucha è un richiamo all’Europa che sta finanziando la guerra di Vladimir Putin ogni giorno” con gli acquisti energetici, afferma a Formiche.net il sottosegretario agli Esteri. “Le democrazie non possono più chiudere un occhio di fronte alla realtà dei comportamenti di certi autocrati”
Non è semplice ma è doveroso e umano, dunque bisogna provarci. Così Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, parla con Formiche.net dell’ipotesi di stop all’energia russa dopo gli orrori di Bucha.
Dopo quelle immagini è sembrato crescere il consenso per un embargo dell’energia dalla Russia. L’Italia come intende muoversi?
Bucha è un richiamo all’Europa che sta finanziando la guerra di Vladimir Putin ogni giorno acquistando il gas russo. Sospendere l’acquisto di gas russo fino al cessate il fuoco diventa doveroso e umano, e bisogna cercare di renderlo possibile con un piano preciso a livello europeo. So perfettamente che non è semplice e che non si deve caricare di tensioni e paure i nostri Paesi, ma, ripeto, è doveroso provarci e alcune ipotesi sono state fatte, a partire dalla sospensione dei pagamenti diretti a Gazprom con l’apertura di conti vincolanti dove trasferire transitoriamente i compensi per le forniture che verrebbero sbloccati al cessate il fuoco. Ripeto, è un’ipotesi, ma così si rimetterebbe allo stesso Putin una decisone non semplice per lui. È fondamentale che il fronte europeo resti compatto su questo senza fughe in avanti, ma credo che l’opzione debba rimanere sul tavolo e discussa con spirito pragmatico.
Quanta fiducia c’è davanti alle promesse russe di ritiro dall’Ucraina?
Gli annunci di chi ha messo in atto un’aggressione brutale e ingiustificabile vanno presi con le pinze. Quello che è certo è che Putin ha ricevuto una sonora lezione da parte del popolo e dal governo ucraini, la cui resistenza lui pensava di schiacciare in pochi giorni. La realtà è stata molto diversa, non meno tragica per gli ucraini, ma molto più complicata militarmente per i russi di quanto non avessero previsto. Ora Putin si trova costretto a cambiare la narrativa, ad aggiustare la sua propaganda e questo è già un risultato per il fronte delle democrazie. La verità è che non si aspettava una reazione così compatta da parte della comunità internazionale, della Nato e dall’Unione europea per cominciare, ma anche alle Nazioni Unite e al Consiglio d’Europa. E questa è la strada su cui dobbiamo proseguire: una reazione unitaria di sostegno all’Ucraina sia dal punto di vista delle forniture militari che delle sanzioni economiche. Questa strategia, insieme alla determinata resistenza ucraina, è l’unica speranza che abbiamo di costringere Putin a desistere dalla sua azione folle e criminale e sedersi con qualche sincerità al tavolo negoziale, cosa cui si deve arrivare al più presto.
Che cosa comporterebbe per l’Italia essere parte del “gruppo di garanzia”? Qual è lo stato dei negoziati su questo aspetto?
Cosa comporterebbe è ancora presto per dirlo, in quanto, purtroppo, i negoziati sono ancora in una fase iniziale e non sappiamo quale sarà esattamente il compito del gruppo. Il fatto però che il nostro Paese sia stato considerato per l’inclusione nel gruppo, del quale faranno parte le principali potenze mondiali (i cosiddetti P5 – Cina, Federazione Russa, Francia, Regno Unito, Stati Uniti) è un segnale importante della credibilità che il governo Draghi ha acquisito sulla scena internazionale. Nei continui contatti che il ministro Luigi Di Maio e io abbiamo con la leadership ucraina, viene ribadito continuamente come l’Italia si stia dimostrando uno dei principali partner e amici di Kiev in queste drammatiche settimane, con una solidarietà concreta ed effettiva.
Nelle ultime settimane sono state molte le visite istituzionali da parte del ministro Di Maio e dei sottosegretari come lei in Paesi oggi diventati ancora più cruciali per l’approvvigionamento energetico dell’Italia. Come procedono questi sforzi per sganciarci dalla dipendenza russa?
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le conseguenti sanzioni impongono di considerare attentamente le ripercussioni sul settore dell’energia, non solo in Italia ma nell’intera Unione europea. Difatti, il tema è stato il punto centrale dell’ultimo Consiglio europeo a Bruxelles, dove si è parlato – anche con il presidente statunitense Joe Biden che ha partecipato in via straordinaria al vertice – di approvvigionamenti comuni e di possibili interventi per limitare i prezzi dell’energia. Da quando è scoppiata la crisi in Ucraina il ministro Di Maio si è speso in un vero tour de force per rafforzare i legami con Paesi produttori – Qatar, Algeria, Mozambico, Angola, Congo, Azerbaijan – per renderci autonomi dai ricatti russi, ma anche in termini quantitativi per tutelare i nostri cittadini e le nostre imprese, diversificando le forniture per rafforzare il mix energetico e accelerando ulteriormente sulle rinnovabili, perché dobbiamo essere meno dipendenti non solo dal gas russo ma dal gas in generale. Il piano nazionale di sicurezza energetica punta proprio a questo. Vede, io non ho mai pensato che Putin fosse un interlocutore politicamente affidabile, e la realtà a un certo punto ha presentato il conto. Abbiamo da scontare, in Italia e in Germania ma non solo, la sottovalutazione del grande rischio politico di affidare a Putin il nostro approvvigionamento energetico, ora dobbiamo accelerare sulla diversificazione delle fonti e sulle energie rinnovabili.
Nelle scorse settimane abbiamo visto un ritorno dell’Italia in pianta stabile nel formato Quint. A che cos’è dovuto?
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, in occasione del suo insediamento, ha sottolineato l’ancoraggio europeo e atlantico del suo governo. Non ne poteva quindi che conseguire un cambiamento di postura dell’Italia rispetto ai due governi precedenti nell’attuale legislatura, in particolare il Conte I, che questo ancoraggio avevano messo in discussione. Nell’aprile 2021 abbiamo ripreso la nostra partecipazione al formato Quint, assieme a Stati Uniti e gli altri tre più grandi Paesi europei, Francia, Germania e Regno Unito. Dobbiamo ora rendere tale coinvolgimento irreversibile e non più soggetto a sbandamenti improvvisi dettati spesso da un elevato grado di miopia politica.
Che cosa implica il ritorno al Quint per l’Italia in termini di condivisione di informazioni e decisioni?
Significa trovarsi nella stessa stanza con i nostri principali alleati per discutere temi cruciali per il presente e il futuro dei nostri cittadini. Per la loro sicurezza, per il loro benessere, per la tranquillità delle loro famiglie. Non è certo con confuse posture sovraniste e populiste che, purtroppo, hanno caratterizzato i primi anni della legislatura, che si ottiene di partecipare alle informazioni e alle decisioni che, altrimenti, verrebbero prese comunque e sulla nostra testa. La difesa e la promozione dei nostri valori e interessi, si gioca avendo un ruolo riconosciuto in Europa e nei contesti multilaterali.
Un altro attore della crisi ucraina potrebbe essere la Cina. Venerdì si è tenuto il summit con l’Unione europea. Guardando anche alle ambiguità della Repubblica popolare cinese sulla guerra in Ucraina, vede profilarsi all’orizzonte uno scontro tra modelli, con le democrazie da una parte e le autocrazie dall’altra?
Per definizione e per esperienza storica, le democrazie sono pacifiche, mentre le autocrazie a un certo punto diventano ostili verso i vicini. L’aggressione all’Ucraina ne è la dimostrazione plastica. Putin non può tollerare che l’area della democrazia e della libertà si sia allargata, pericolosamente per lui, anche all’interno dell’ex Unione Sovietica: diventa una sfida alla sua stessa leadership a Mosca. Dal nostro punto di vista di democrazie liberali, nessuno scontro viene cercato. Dal nostro punto di vista vi è tutto l’interesse a mantenere rapporti franchi ma amichevoli con tutti, frontiere il più possibile aperte e canali di commercio funzionanti. Purtroppo, quello che è accaduto deve servire da ammonimento: non cerchiamo lo scontro, ma siamo costretti a difenderci. Soprattutto, dobbiamo imparare ad agire in modo preventivo, evitando di esporre il fianco a Paesi ostili, come abbiamo fatto creando questa dipendenza energetica dalla Federazione Russa della quale ora stiamo pagando il prezzo. Le democrazie non possono più chiudere un occhio di fronte alla realtà dei comportamenti di certi autocrati come Putin, la cui vera natura era ben chiara da tempo a chi voleva accorgersene.